Domenica scorsa, il tribunale militare di Gaza ha condannato all’impiccagione Faraj Abed Rabbo, un impiegato civile di 23 anni, per reati di collaborazione col nemico. Detto in modo più semplice, spia per conto di Israele.
Dal 1994, anno dell’istituzione dell’Autorità nazionale palestinese, le condanne a morte sono state 133 (di cui 107 emesse a Gaza e 26 in Cisgiordania), 27 delle quali eseguite (25 a Gaza e 2 in Cisgiordania).
Da quando Hamas ha assunto il controllo di Gaza, nel 2007, i suoi tribunali hanno emesso 47 condanne a morte, compresa quest’ultima, 14 delle quali eseguite.
La condanna a morte di Faraj Abed Rabbo ha mobilitato le organizzazioni internazionali per i diritti umani e, non è una novità, quelle palestinesi, tra cui la Commissione indipendente per i diritti umani e il Centro palestinese per i diritti umani.
Le due organizzazioni hanno definito “estrema e inumana” la condanna a morte di Faraj Abed Rabbo e ne hanno chiesto la sospensione, sollecitando un nuovo processo, equo e di fronte a un giudice civile.
Le loro preoccupazioni e richieste, però, vanno al di là del singolo caso.
A essere chiamato in causa è quel ginepraio di legislazioni contraddittorie e in parte illegali, applicate nei processi capitali: la legge n. 74 del 1936, la legge giordana n. 16 del 1960, il codice penale rivoluzionario dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina del 1979 e il codice di procedura penale palestinese n. 3 del 2001.
Da un punto di vista strettamente giuridico, nessuna di queste leggi è stata ratificata dal parlamento palestinese. Inoltre, nessuna condanna a morte eseguita a Gaza dal 2007 è stata firmata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. Hamas non riconosce questa prerogativa ma ciò non rende comunque legittima la procedura d’esecuzione delle condanne a morte.
L’obiettivo finale delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani è quello di sospendere l’uso della pena di morte in vista della sua abolizione.
Dal 1994, anno dell’istituzione dell’Autorità nazionale palestinese, le condanne a morte sono state 133 (di cui 107 emesse a Gaza e 26 in Cisgiordania), 27 delle quali eseguite (25 a Gaza e 2 in Cisgiordania).
Da quando Hamas ha assunto il controllo di Gaza, nel 2007, i suoi tribunali hanno emesso 47 condanne a morte, compresa quest’ultima, 14 delle quali eseguite.
La condanna a morte di Faraj Abed Rabbo ha mobilitato le organizzazioni internazionali per i diritti umani e, non è una novità, quelle palestinesi, tra cui la Commissione indipendente per i diritti umani e il Centro palestinese per i diritti umani.
Le due organizzazioni hanno definito “estrema e inumana” la condanna a morte di Faraj Abed Rabbo e ne hanno chiesto la sospensione, sollecitando un nuovo processo, equo e di fronte a un giudice civile.
Le loro preoccupazioni e richieste, però, vanno al di là del singolo caso.
A essere chiamato in causa è quel ginepraio di legislazioni contraddittorie e in parte illegali, applicate nei processi capitali: la legge n. 74 del 1936, la legge giordana n. 16 del 1960, il codice penale rivoluzionario dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina del 1979 e il codice di procedura penale palestinese n. 3 del 2001.
Da un punto di vista strettamente giuridico, nessuna di queste leggi è stata ratificata dal parlamento palestinese. Inoltre, nessuna condanna a morte eseguita a Gaza dal 2007 è stata firmata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. Hamas non riconosce questa prerogativa ma ciò non rende comunque legittima la procedura d’esecuzione delle condanne a morte.
L’obiettivo finale delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani è quello di sospendere l’uso della pena di morte in vista della sua abolizione.
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