di Nello Scavo
Neanche al ministero della Giustizia sanno esattamente quanti siano gli "uomini ombra": 1.500 secondo alcune stime, 3mila secondo le associazioni di volontariato nelle carceri. Gli ergastolani ostativi sono dei fantasmi la cui voce ogni tanto riesce a superare le barriere di acciaio e cemento.
Sono la prova vivente che il fine pena mai non è una leggenda. Che davvero nelle prigioni della Penisola ci sono uomini che ne usciranno solo da morti.
Come Giuseppe Barreca, rinchiuso a Spoleto, che per non aver rivelato i nomi dei complici non lascerà mai la galera. Il carcere, però, lo ha cambiato. “Ho capito peraltro che il sacrificio ripaga e che il sudore versato per raggiungere uno scopo è quanto di più nobile l’uomo possa aspirare”, ha scritto di recente in occasione della sua laurea.
“Ecco perché ritengo un vanto potere affermare che giorni, mesi e anni ingobbito sui libri hanno rivoluzionato e fatto crollare tutto ciò che di inutilmente nocivo albergava in me”. Ed oggi “mi sembra incredibile che io possa essere stato diverso di come invece sono diventato. Ma tant’è. E nessuno può negarlo”. Le ragioni che spingono i giudici a comminare l’ergastolo ostativo sono quasi unicamente legate alla mancata collaborazione del detenuto giudicato colpevole di reati particolarmente gravi e cruenti. In alcuni casi, però, può arrivare il ravvedimento.
“Ma nessuno - ci ha recentemente scritto uno di loro - tiene conto delle conseguenze”. Pentirsi, mettersi in discussione, riscoprirsi diversi da come si era fino al momento in cui si è premuto il grilletto o si è dato l’ordine di ammazzare qualcuno, non è una strada in discesa. A volte ci vogliono anni. “E gli anni sono una condanna in più”, spiega l’ergastolano che non ha perso la speranza di riabbracciare, un giorno, i suoi cari.
“Ero giovane, sono passati vent’anni da allora, e se adesso dicessi che avevo dei complici e chi essi sono, per la mia famiglia sarebbe una catastrofe”. L’uomo in questione nel frattempo è perfino diventato nonno. “Questo vorrebbe dire che la mia famiglia, i miei figli, le mie nuore, i miei nipotini, dovrebbero cambiare identità, cambiare città, vivere una vita blindata”. E lui, dopo avere inflitto anni di dolore ai suoi, cari, non se la sente di affliggere un altro colpo ad una famiglia “che mia moglie è stata in grado di tenere unita nonostante me”.
Storie come quella di Carmelo Musumeci, che per il suo lavoro di scrivano-bibliotecario presso il carcere di Spoleto guadagnava 26 euro al mese. Una remunerazione “non decorosa, umiliante e non rieducativa”, per questo Carmelo Musumeci, aveva scritto al ministro Severino una lettera aperta. “Sono un uomo ombra, un ergastolano ostativo, cattivo e colpevole per sempre secondo la legge”, scrisse Musumeci. Entrato in cella con la licenza elementare, mentre era all’Asinara in regime di 41-bis, riprese gli studi e da autodidatta completò le scuole superiori. Nel 2005 la laurea in Giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”.
Nel maggio 2011 la laurea a Perugia in Diritto penitenziario. Attraverso alcuni volontari dell’associazione Giovanni XXII fondata da don Oreste Benzi, Musumeci aggiorna anche un suo blog dedicato esclusivamente a quelli come lui. L’ultimo è del primo marzo: “Oggi pensavo che mi sono rimasti solo i miei sogni. Solo loro sono ancora vivi”. A meno che il legislatore non voglia ascoltare le loro voci e quelle dei tanti giuristi che cominciano a scardinare l’assurdo giurisprudenziale del “fine pena mai”.
Come Giuseppe Barreca, rinchiuso a Spoleto, che per non aver rivelato i nomi dei complici non lascerà mai la galera. Il carcere, però, lo ha cambiato. “Ho capito peraltro che il sacrificio ripaga e che il sudore versato per raggiungere uno scopo è quanto di più nobile l’uomo possa aspirare”, ha scritto di recente in occasione della sua laurea.
“Ecco perché ritengo un vanto potere affermare che giorni, mesi e anni ingobbito sui libri hanno rivoluzionato e fatto crollare tutto ciò che di inutilmente nocivo albergava in me”. Ed oggi “mi sembra incredibile che io possa essere stato diverso di come invece sono diventato. Ma tant’è. E nessuno può negarlo”. Le ragioni che spingono i giudici a comminare l’ergastolo ostativo sono quasi unicamente legate alla mancata collaborazione del detenuto giudicato colpevole di reati particolarmente gravi e cruenti. In alcuni casi, però, può arrivare il ravvedimento.
“Ma nessuno - ci ha recentemente scritto uno di loro - tiene conto delle conseguenze”. Pentirsi, mettersi in discussione, riscoprirsi diversi da come si era fino al momento in cui si è premuto il grilletto o si è dato l’ordine di ammazzare qualcuno, non è una strada in discesa. A volte ci vogliono anni. “E gli anni sono una condanna in più”, spiega l’ergastolano che non ha perso la speranza di riabbracciare, un giorno, i suoi cari.
“Ero giovane, sono passati vent’anni da allora, e se adesso dicessi che avevo dei complici e chi essi sono, per la mia famiglia sarebbe una catastrofe”. L’uomo in questione nel frattempo è perfino diventato nonno. “Questo vorrebbe dire che la mia famiglia, i miei figli, le mie nuore, i miei nipotini, dovrebbero cambiare identità, cambiare città, vivere una vita blindata”. E lui, dopo avere inflitto anni di dolore ai suoi, cari, non se la sente di affliggere un altro colpo ad una famiglia “che mia moglie è stata in grado di tenere unita nonostante me”.
Storie come quella di Carmelo Musumeci, che per il suo lavoro di scrivano-bibliotecario presso il carcere di Spoleto guadagnava 26 euro al mese. Una remunerazione “non decorosa, umiliante e non rieducativa”, per questo Carmelo Musumeci, aveva scritto al ministro Severino una lettera aperta. “Sono un uomo ombra, un ergastolano ostativo, cattivo e colpevole per sempre secondo la legge”, scrisse Musumeci. Entrato in cella con la licenza elementare, mentre era all’Asinara in regime di 41-bis, riprese gli studi e da autodidatta completò le scuole superiori. Nel 2005 la laurea in Giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”.
Nel maggio 2011 la laurea a Perugia in Diritto penitenziario. Attraverso alcuni volontari dell’associazione Giovanni XXII fondata da don Oreste Benzi, Musumeci aggiorna anche un suo blog dedicato esclusivamente a quelli come lui. L’ultimo è del primo marzo: “Oggi pensavo che mi sono rimasti solo i miei sogni. Solo loro sono ancora vivi”. A meno che il legislatore non voglia ascoltare le loro voci e quelle dei tanti giuristi che cominciano a scardinare l’assurdo giurisprudenziale del “fine pena mai”.
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