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sabato 20 aprile 2013

Bambini a Rebibbia - Continua l'emergenza dei piccoli sotto i tre anni costretti a vivere nelle celle con le madri.

Corriere della Sera
ROMA - Sedici bambini sotto i tre anni sono «ospiti» incolpevoli del carcere femminile di Rebibbia. Si tratta perlopiù di figli di rom e donne nigeriane che scontano condanne superiori ai sei anni, ma soprattutto detenute ree di recidiva. Resta di attualità, dunque, il problema del «nido» di Rebibbia Femminile, da sempre molto affollato, con punte in passato fino a 30 bambini. Ne hanno parlato spesso i parlamentari in visita al penitenziario romano, promettendo iniziative e interventi, ma l’emergenza continua. La legge del 21 aprile 2011 – «madrina” Anna Finocchiaro – ha teso ad estendere le misure alternative e a eliminare soprattutto questa detenzione di piccoli incolpevoli (se non di essere figli di detenute, cui la recidiva prelude soluzioni alternative).

LEDA COLOMBINI - Del problema si è tornati a parlare mercoledì 17, in occasione della cerimonia nel carcere femminile per intitolare il nido a Leda Colombini. Perché l’ex parlamentare scomparsa nel dicembre del 2011, è stata per oltre venti anni la promotrice dell’attività di «A Roma insieme», l’associazione di volontari che hanno cercato di offrire una vita a migliore ai bambini reclusi con le loro mamme. In ricordo della Colombini è stata apposta una targa, in ceramica e mosaico, realizzata dal Liceo Artistico Statale Enzo Rossi indirizzo arti figurative per la pittura e per la scultura. Progetto ed inserti in ceramica sono stati realizzati dalle detenute-allieve che frequentano la sezione staccata dell’Istituto all’interno della Casa Circondariale, mentre il mosaico è stato realizzato dagli allievi della sede centrale della Scuola.

VOLONTARI - E poi ci sono le gite del sabato. Si chiamano Giovanna, Gioia, Giovanni – solo per fare qualche nome – i volontari che al sabato prendono in carcere questi bambini e li portano in gita, nel mondo esterno. Con i volontari i bimbi hanno scoperto il mare, i parchi, perfino la neve. Ma anche l’interruttore che in ogni casa permette di accendere la luce, ma che in carcere non esiste perché l’illuminazione è centralizzata. «Ricordo quel bimbo che a casa mia ha passato mezza giornata ad assistere al miracolo provocato dall’interruttore – ricorda Anna Maria Rossilli dell’Ufficio del Garante dei detenuti -. Aveva scoperto la notte e il giorno con un semplice pulsante».

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