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Ieri una delegazione di avvocati dell'Unione delle Camere Penali composta dai membri della Giunta Vinicio Nardo e Manuela Deorsola, dai membri dell'Osservatorio carcere Antonella Calcaterra, Michele Passione e Mirko Mazzali, dal presidente della Camera Penale di Milano Salvatore Scuto e dai membri del direttivo Giovanni Bellingardi e Francesco Sbisa, si è recata in visita presso il Centro di Identificazione ed Espulsione di Milano. Qui i penalisti hanno potuto registrare la presenza di 52 uomini e 5 transessuali, per una capienza massima di 84 posti consentita dai settori attualmente aperti. Oltre agli operatori della Croce Rossa - 31 a rotazione - nella struttura prestano servizio due mediatori, un medico dalle ore 12 alle 21 e un infermiere 24 ore su 24.
"I Cie sono dei luoghi di detenzione a tutti gli effetti e privi delle garanzie che sono proprie delle carceri", affermano i penalisti. Infatti, "sebbene manchino le condizioni di sovraffollamento tipiche degli istituti di pena e le stanze rimangano aperte, i reparti dove vivono le persone trattenute sono chiusi a chiave e gli spazi all'aperto loro riservati sono angusti. Inoltre - spiegano - rispetto al carcere, dove i detenuti sanno di cosa sono accusati e quanto dovranno rimanere ristretti, all'interno del Cie gli ospiti non sanno quando usciranno; e li preoccupa constatare che dentro con loro ci sono persone trattenute anche da un anno, in balia dell'incertezza ma anche dell'ozio, visto nella struttura non ci sono biblioteche, né corsi di alfabetizzazione o attrezzature sportive. Ne deriva un'atmosfera di spaesamento che si traduce in molteplici, quanto generiche, domande di aiuto che il trattenuto rivolge al visitatore.
Se si aggiunge che per due terzi si tratta di ex detenuti che sono passati direttamente dal carcere al Cie, vedendosi così negare non solo la libertà che avevano atteso contando i giorni, ma anche l'assistenza sanitaria di cui godevano in carcere, allora si capisce come il tasso di afflizione di questi centri sia addirittura maggiore del carcere.
Nel Cie - continuano i penalisti - si rimane per lo più "in attesa di identificazione" e, considerato che al 95 per cento gli ospiti sono stati ristretti in un carcere, quindi sono stati certamente identificati da varie amministrazioni dello Stato, appare evidente come la struttura non serva a risolvere, ma semmai costituisca essa stessa un problema. Un problema che, peraltro, detto per i duri di cuore, ha un notevole costo economico per le pubbliche finanze".
L'unica riforma possibile è la chiusura dei Cie
"L'unica riforma possibile è la chiusura dei Cie". A dirlo è il presidente della Camera Penale di Milano, Salvatore Scuto, all'uscita del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) in via Arcangelo Corelli a Milano. Secondo gli avvocati aderenti alle Camere Penali dunque, non ci sono possibilità di riforma ma l'unica via è la chiusura dei centri. Secondo i dati della Croce rossa, nel 2012 in via Corelli ci sono stati 871 nuovi ingressi, (734 maschi e 137 trans). Le uscite, in totale, 843.
Questa mattina una delegazione dell'Unione delle Camere Penali italiane e della Camera Penale di Milano, ha visitato il Cie per verificare le condizioni degli ospiti e della struttura. Ad entrare nel Centro di identificazione ed espulsione, oltre a Scuto, sono stati Vinicio Nardi e Manuela Deorsola (giunta dell'Ucpi); Antonella Calcaterra, Mimmo Passione e il consigliere comunale Mirko Mazzali (componenti Osservatorio carceri Ucpi); Giovanni Bellingardi, Giampaolo Del Sasso e Francesco Sbisa (membri del direttivo degli avvocati aderenti alle Camere Penali).
"Questo - ha commentato Scuto - non è un carcere, è peggio. È un non carcere, una struttura ideologica e inutile che serve solo a tranquillizzare la pancia di questo Paese". All'interno del Cie "la situazione non è delle migliori" e "chi è dentro, non capisce perché si trova qui e non sa quando uscirà". C'è un extracomunitario, ad esempio, "che si trova nel centro da oltre un anno". Inoltre "si tratta di persone che non hanno fatto nulla e si trovano qui solo perché non sono identificabili". Secondo gli avvocati il Cie "è un cucchiaino d'oro (perché costa molto) con cui si cerca di svuotare il mare dell'immigrazione". Mazzali, infine, riferisce di aver visto una dozzina di poliziotti "che controllano le persone nel centro e che, invece, potrebbero essere reimpiegati in modi più utili".
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