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giovedì 16 maggio 2013

Genova: così detenute straniere senza un tetto scontano la pena alternativa in una onlus

La Repubblica
La Veneranda Compagnia di misericordia ospita immigrate che ottengono la parziale libertà ma non hanno un domicilio
La libertà, a volte, è tutta dentro un mazzo di chiavi. “Quando consegniamo quelle dell’appartamento, per qualcuno è uno shock. Perché in carcere è tutto cadenzato. Qui, invece, ci si riabitua alla quotidianità, a organizzarsi la giornata”.

 Blassy e Irene le chiamano casa, le stanze all’ultimo piano di via San Donato 6, una grande cucina e un terrazzino pieno di sole, proprio sotto al campanile. “Lo sarà, per alcuni mesi - spiega Titti Figari, vicegovernatore della Veneranda Compagnia di Misericordia - questa è una Casa famiglia femminile, per detenute in misura alternativa. Che possono scontare la pena restante a domicilio, appunto”. 

Solo che loro, due ragazze nigeriane di 29 e 34 anni, un domicilio non ce l’hanno. Come i tanti detenuti stranieri che passano di qui, “quasi sempre hanno alle spalle reati di spaccio, spesso sono senza permesso di soggiorno”, racconta Paolo Pittaluga, un volontario. 
Così, la Veneranda Compagnia di Misericordia, onlus nata nel 1400 per aiutare i condannati e le loro famiglie, consegna loro le chiavi di questo appartamento. Dove possono restare fino alla fine della pena, e nel frattempo imparare un lavoro. Provare a rattoppare lenzuola e tutto quello che, nella loro vita, si è strappato. 

“È una specie di educazione alla libertà - fa strada Paolo Pittaluga, mostrando la sala dove le ragazze si esercitano a cucire, e poi la stanza da letto con i collage alle pareti - al piano di sotto c’è il laboratorio: quindici allieve all'anno imparano a ricamare. Il 5 giugno faremo una mostra di biancheria per la casa”.

 In vico Biscotti, dietro l’angolo, c’è la lavanderia industriale, aperta da lunedì a venerdì: i clienti sono enti pubblici, ma anche ristoranti e case di riposo. Blassy lavora qui, dentro si sente odore di pulito e di vapore. Con lei c’è Milù, una ragazza ucraina che ha ricevuto le chiavi della Casa famiglia prima di lei. Per un anno e mezzo. “Ora lavoro in lavanderia al mattino - spiega, lisciandosi la divisa bianca - e al pomeriggio frequento la scuola per diventare parrucchiera. Tra qualche mese mi diplomo”. Milù adesso vive da sola in un piccolo appartamento in centro. “Qui non ho famiglia - racconta - non ho nessuno. Sono loro, la mia famiglia”.

 Sono tante, le storie che passano da questa casa nei vicoli. “Sotto l’appartamento abbiamo una struttura dove si svolgono i colloqui - mostra Titti Figari - qui si incontrano i familiari con gli ex detenuti. Una delle nostre attività consiste nelle visite in carcere: ne facciamo circa quattromila all’anno, su richiesta. E poi, accogliamo i detenuti in permesso premio. Molti lo richiedono anche solo per andare a rinnovare il permesso di soggiorno, altri si precipitano subito in un Internet Point per parlare via Skype con la famiglia in Africa. In ogni caso, è molto importante far sentire loro il calore. Farli sentire a casa”. 

Sul vetro della sala colloqui hanno appeso un foglio giallo. È un verso di Alda Merini: “Se diventi farfalla, nessuno pensa più a ciò che sei stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali”.

“Casa Mandela”… dopo il soggiorno una relazione
Si chiama Casa Mandela, e ospita i detenuti in permesso premio con i loro familiari, l’appartamento su due piani gestito dalla “Veneranda Compagnia di Misericordia”. 

L’ingresso è in via Mezzagalera, “senza ironie”, sorridono i volontari facendo strada, attraverso i Giardini Luzzati sopra piazza delle Erbe. “Questa struttura ha aperto nel 2010 ed è l’unica a Genova - spiega Titti Figari, vice governatrice della Veneranda Compagnia di Misericordia - la gestiamo noi con il supporto della rete Conferenza regionale volontariato Giustizia Liguria, il Comune ha concesso gli spazi in affitto agevolato”. 
Qui, per un massimo di cinque giorni, possono fermarsi i detenuti (uomini) che hanno qualche giorno di permesso premio. “I loro familiari non saprebbero dove andare, sono quasi tutti stranieri - spiega Paolo Pittaluga, che qui lavora come volontario - dunque dormono qui e per qualche giorno riescono a ricreare una vita normale”. Cucina, salotto con divanetto rosso, due bagni e una scala stretta che porta di sopra, alle stanze da letto: “Ogni detenuto, quando arriva qui, ha una prescrizione. Noi ci atteniamo all'orario di rientro, diamo dei buoni pasto, una mappa della città, e alla fine stiliamo una relazione - continua Pittaluga - qualcuno arriva qui dopo dieci anni di carcere, non si ritrova più”.

Human Rights - Diritti Umani - Droits de l'Homme - Derechos Humanos - For a World Without the Death Penalty - Rights of prisoners - No Justice Without Life


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