Il sistema dei Centri di identificazione ed espulsione viola l’articolo 13 della Costituzione, quello della libertà personale, perché la detenzione, simile a quella del carcere, non è regolata da legge. “L’intero sistema dei centri di identificazione ed espulsione, come attualmente disciplinati nell’ordinamento italiano, è incostituzionale”.
È quanto sostiene il rapporto dal titolo “Criminalizzazione dell’immigrazione irregolare: legislazione e prassi in Italia”, a cura della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che presentiamo in anteprima. Lo studio prende in esame il pacchetto sicurezza e il diritto penale sull’immigrazione e, per quanto riguarda la parte relativa ai Cie, arriva alla conclusione della loro incostituzionalità. “Tenuto conto dell’assimilabilità dei Cie alle strutture carcerarie - si legge nel rapporto - l’intero sistema di detenzione risulta incostituzionale, dal momento che viola l’articolo 13 della Costituzione posto a baluardo del diritto più elementare e fondamentale in una società democratica: quello della libertà personale.
Questa disposizione dichiara solennemente che la libertà personale è inviolabile e che la privazione o restrizione della libertà personale può aver luogo soltanto ‘nei casi e secondo le modalità previsti dalla legge” - e questo limite protegge tutti, cittadini e immigrati allo stesso modo.
Tuttavia, la detenzione nel Cie non è regolata da legge, ma da provvedimenti amministrativi e a volte prassi di mero fatto. La conseguenza di questa omissione non è solo formale ma ha favorito la diffusione di pratiche disomogenee sul territorio e sostanziali disparità di condizioni di trattenimento tra i vari Cie.
La violazione dell’articolo 13 ha quindi comportato anche la violazione del principio di uguaglianza: in assenza di una legge generale, ogni Cie ha le sue regole, scritte o non scritte”. Il carattere penale della detenzione nei Cie è dedotto da alcune considerazioni. Innanzitutto “i centri sono generalmente progettati seguendo lo schema architettonico delle strutture carcerarie, circondati da alte mura e sotto videosorveglianza; l’ingresso dell’edificio è sotto sorveglianza; la sorveglianza è assicurata da unità di polizia sotto il controllo della Questura e da parte del personale militare; l’ingresso è consentito solo previa autorizzazione di un’autorità pubblica e previa identificazione; le visite sono consentite in determinati giorni e orari per i parenti che si trovano regolarmente in Italia, e con la preventiva autorizzazione per gli avvocati, ministri di culto, il personale diplomatico, associazioni ed enti che hanno accordi con la prefettura locale”.
E ancora, “i soggetti trattenuti sono alloggiati in cellule o in unità abitative separate l’una dall’altra per mezzo di barriere metalliche o di plexiglas e non possono spostarsi liberamente da un’unità all’altra; non è possibile per i trattenuti lasciare il centro senza autorizzazione; gli uomini e le donne sono rigorosamente separati; oggetti che potrebbero essere utilizzati come armi sono proibite, tra cui penne con tappi, graffette, materiale infiammabile, e sono vietati oggetto infiammabile tra cui anche giornali e riviste; il personale interno percepisce il Cie come struttura carceraria”. Infine, “la natura penitenziaria dei Cie è ammessa nella relazione della commissione speciale per la difesa e la promozione dei diritti umani”.
Queste considerazioni sono frutto di visite ufficiali ai Cie che hanno dato l’autorizzazione, di interviste al garante delle persone private della libertà personale della regione Lazio e agli operatori esperti del settore immigrazione (in particolare gli avvocati dell’associazione Asgi). Per quanto riguarda la raccolta dei dati, il ministero dell’Interno ha fornito solo quelli relativi al numero complessivo di presenze annue nei Cie ma nessuna prefettura, ad eccezione delle prefetture di Caltanissetta e Torino - che comunque hanno inviato dati parziali ed incompleti - ha fornito le informazioni richieste né i regolamenti interni e le circolari ne ha inviato un diniego formale e motivato alle richieste inoltrate. Questo fa dire ai ricercatori che il sistema dei Cie viola anche “il principio democratico, perché l’oscurità delle fonti che regolano effettivamente il governo dei Cie crea una situazione di notizie riservate nell’interesse dello Stato al di fuori della normativa prevista specificamente in materia di segreti di Stato e notizie riservate, appunto, nell’interesse dello Stato. C’è una sottrazione di parti del territorio dello Stato, se non alla vista, all’effettivo controllo democratico”.
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