Sono 1500 i detenuti condannati all’ergastolo più duro che non prevede permessi nè sconti. Come resistono?Sui certificati di alcuni detenuti c’è una scritta che dice così: «Fine pena: mai».
La leggono, accanto al proprio nome, uomini e donne che hanno commesso crimini terribili: spesso, che hanno ucciso. In Italia è aperto da tempo un dibattito. C’è chi dice che l’ergastolo è giusto perché se certi colpevoli sono condannati a stare in carcere tutta la vita, le loro vittime sono già sotto terra. Altri obiettano che l’ergastolo è contrario ai principi stessi della Costituzione, la quale prevede la rieducazione del reo e il suo reinserimento nella società.
In Italia esistono due tipi di ergastoli. C’è quello cosiddetto semplice, che dà la possibilità al condannato di uscire, se ha mostrato di meritarlo, dopo trent’anni; e dopo quindici, a metà pena, per qualche permesso.
Millequattrocento nostri detenuti hanno invece l’ergastolo «ostativo»: il più duro, quello che non prevede, fino alla morte, né permessi né semilibertà.
Ho incontrato tre ergastolani nel carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova. Due di loro, Musumeci e Cataneo, hanno l’ergastolo ostativo; Dinja quello semplice. Ho chiesto loro se si può vivere anche così, apparentemente senza speranza.
Ho incontrato tre ergastolani nel carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova. Due di loro, Musumeci e Cataneo, hanno l’ergastolo ostativo; Dinja quello semplice. Ho chiesto loro se si può vivere anche così, apparentemente senza speranza.
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