Almeno 300 i detenuti in sciopero della fame. Protestano contro la legge che introduce il reato di immigrazione. In un anno arrestati oltre 2.400 immigrati.
Gerusalemme, Sivan Weitzman dell'amministrazione penitenziaria israeliana ridimensiona la portata della protesta dei migranti nel centro di detenzione di Saharonim. «Per ora non siamo di fronte a uno sciopero della fame dichiarato, i detenuti hanno solo mandato indietro per due giorni i loro pasti», dice gettando acqua sul fuoco. Non è servito. A Saharonim la protesta si fa più intesa con il passare dei giorni. E in ogni caso, si tratta di uno sciopero della fame a tutti gli effetti, in linea con le iniziative portate avanti nel carcere all'inizio di maggio e nei mesi precedenti, non poche volte avviate da donne che si oppongono alla deportazione nel Sinai egiziano dove, dicono, sarebbero esposte a sequestri di persona e a violenze sessuali.
La comunità eritrea a Tel Aviv fa sapere che il rifiuto del cibo da parte di almeno 300 detenuti è iniziato domenica in 3-4 blocchi della prigione e che andrà avanti per giorni. I prigionieri chiedono l'annullamento di quello che si configura come un reato di immigrazione a tutti gli effetti per l'inasprimento delle leggi che dalla scorsa estate prevedono il carcere (tre anni e più) per le persone che entrano illegalmente nel Paese.
Saharonim è in funzione già dal 2007, quando accoglieva i migranti in «transito», che dopo una veloce registrazione, nella maggior parte dei casi venivano rilasciati. È stata riabilitata in vista dell'entrata i vigore dei provvedimenti del governo volti a fermare l'immigrazione degli africani dal Sinai e per rispedire a casa quelli già presenti in Israele, peraltro bersaglio di attacchi e proteste da parte di migliaia di israeliani nei quartieri periferici di Tel Aviv. In un anno a Saharonim i detenuti sono passati da poche centinaia agli oltre 2.400. Confini sbarrati anche per i richiedenti asilo. Si contano sulle dita di una mano le richieste accettate da Israele, sebbene a presentarle siano stati sudanesi, eritrei e altri africani che nella maggior parte dei casi scappano da guerre e massacri.
Hotline for Migrant Workers, l'associazione che assiste i migranti, ieri ha esortato le autorità carcerarie a permettere ai giornalisti e a medici esterni di poter incontrare in carcere i richiedenti asilo. Non tutto avviene alla luce del sole. A febbraio Haaretz pubblicò la notizia dell'espatrio forzato e segreto di oltre mille sudanesi, in violazione della Convenzione del 1951, sottoscritta anche da Israele, che proibisce il rimpatrio di rifugiati verso un Paese dove rischiano persecuzioni. Il governo replicò che quei sudanesi avevano accettato volontariamente l'espatrio. Una versione che deve aver insospettito il Procutore dello Stato, Yehuda Weinstein, che proprio ieri ha affermato che queste dichiarazioni di espatrio volontario devono essere filmate e avvenire in presenza di un traduttore.
di Michele Giorgio
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