Corriere della Sera - Amnesty InternationalCi sono voluti quasi due anni e mezzo. Oltre 27 mesi di uccisioni di manifestanti, di torture, di processi farsa contro i dissidenti e i difensori dei diritti umani, di gas lacrimogeni usati come mai negli ultimi 100 anni.
Poi, l’Unione europea ha battuto un colpo.
L’occasione è stata, il 1° luglio, la XXIII riunione ministeriale tra l’Ue e il Consiglio di cooperazione dei paesi del Golfo.
In quell’occasione, l’Alta rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e le politiche di sicurezza, Catherine Ashton ha chiesto l’attuazione delle raccomandazioni della Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrein, istituita dal governo nel 2011, e ha sollecitato l’avvio di un percorso di riconciliazione nazionale che richiederebbe, tra le varie misure, “il rilascio di tutte le persone arrestate nel contesto di pacifiche attività politiche”.
Parole rese urgenti dal j’accuse pubblicato la settimana prima di Zainab al-Khawaja, una delle figlie del più importante difensore del paese, Abdulhadi al-Khawaja, condannato in via definitiva all’ergastolo.
Parole cui la giustizia bahreinita, priva di indipendenza dal potere politico, ha reagito nel solito, sprezzante modo: assolvendo due poliziotti accusati di tortura e confermando, in Cassazione, le condanne di due insegnanti e sindacalisti, Mahdi ‘Issa Mahdi Abu Dheen e Jalila al-Salman, a 10 e tre anni per aver promosso uno sciopero della loro categoria.
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