Pavel Selyun è stato condannato a morte dal tribunale regionale di Grodno, il 12 giugno 2013, per l'omicidio di sua moglie e del suo amante commesso ad agosto 2012. Il suo avvocato ha presentato ricorso contro la sentenza alla Corte di Cassazione.
Firma L'Appello
Attualmente è detenuto nella prigione n°1 a Grodno, in isolamento. Da quando la sentenza è stata pronunciata, sua madre, Tamara Selyun, che vive a più di 300 km di distanza, non ha ricevuto da lui alcuna lettera; teme possa suicidarsi. Ha detto ad Amnesty International: "Mio figlio merita di dare un contributo al suo paese e non dovrebbe essere seduto dove è adesso".
La Bielorussia è l'unico paese in Europa che ancora compie esecuzioni: nel 2012 ha messo a morte tre uomini. Dall'inizio dell'anno sono state emesse tre condanne a morte: Rygor Yuzepchuk è stato condannato il 24 aprile e Alyaksandr Harynou il 14 giugno.
Il 21 giugno, a una tavola rotonda sulla religione e la pena di morte organizzata dal Consiglio d'Europa, il capo della Chiesa ortodossa in Bielorussia, Metropolita Filaret ha parlato contro la pena di morte: "Noi, cristiani, non possiamo legittimare la pena di morte in quanto tale perché rappresenta il peccato dell'omicidio... Noi, popolo di peccatori, non concediamo la vita a una persona, non dobbiamo decidere sull'esistenza di una persona".
Informazioni aggiuntive
In Bielorussia, le condanne a morte sono spesso imposte al termine di processi iniqui, che prevedono anche confessioni forzate; sono attuate in completa segretezza e senza dare un adeguato preavviso ai detenuti stessi, alle loro famiglie o ai rappresentanti legali.
Le autorità si rifiutano di restituire i corpi dei condannati ai loro parenti né li informano sul luogo della sepoltura. Le esecuzioni procedono nonostante le richieste del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite al governo di non eseguire condanne a morte. Il Comitato dei diritti umani ha riscontrato che l'applicazione della pena di morte in Bielorussia viola i diritti umani dei condannati e delle loro famiglie.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni. Essa viola il diritto alla vita, come sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani. È una punizione crudele, disumana e degradante.
Attualmente è detenuto nella prigione n°1 a Grodno, in isolamento. Da quando la sentenza è stata pronunciata, sua madre, Tamara Selyun, che vive a più di 300 km di distanza, non ha ricevuto da lui alcuna lettera; teme possa suicidarsi. Ha detto ad Amnesty International: "Mio figlio merita di dare un contributo al suo paese e non dovrebbe essere seduto dove è adesso".
La Bielorussia è l'unico paese in Europa che ancora compie esecuzioni: nel 2012 ha messo a morte tre uomini. Dall'inizio dell'anno sono state emesse tre condanne a morte: Rygor Yuzepchuk è stato condannato il 24 aprile e Alyaksandr Harynou il 14 giugno.
Il 21 giugno, a una tavola rotonda sulla religione e la pena di morte organizzata dal Consiglio d'Europa, il capo della Chiesa ortodossa in Bielorussia, Metropolita Filaret ha parlato contro la pena di morte: "Noi, cristiani, non possiamo legittimare la pena di morte in quanto tale perché rappresenta il peccato dell'omicidio... Noi, popolo di peccatori, non concediamo la vita a una persona, non dobbiamo decidere sull'esistenza di una persona".
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In Bielorussia, le condanne a morte sono spesso imposte al termine di processi iniqui, che prevedono anche confessioni forzate; sono attuate in completa segretezza e senza dare un adeguato preavviso ai detenuti stessi, alle loro famiglie o ai rappresentanti legali.
Le autorità si rifiutano di restituire i corpi dei condannati ai loro parenti né li informano sul luogo della sepoltura. Le esecuzioni procedono nonostante le richieste del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite al governo di non eseguire condanne a morte. Il Comitato dei diritti umani ha riscontrato che l'applicazione della pena di morte in Bielorussia viola i diritti umani dei condannati e delle loro famiglie.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni. Essa viola il diritto alla vita, come sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani. È una punizione crudele, disumana e degradante.
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