Corriere della Sera - Amnesty International
Dopo la caccia alle streghe, il ritorno della pena di morte dopo quasi 30 anni e i continui arresti di pacifici oppositori politici e di esponenti religiosi, all’elenco delle violazioni dei diritti umani nel Gambia si è aggiunta una nuova normativa contro la libertà d’espressione.
Il governo del presidente Yahya Jammeh, che già aveva chiuso radio e quotidiani, espulso i giornalisti esteri e arrestato quelli locali, ora ha deciso di occuparsi passa a Internet.
L’Emendamento alla legge sull’informazione e le comunicazioni del 2009, presentato dal governo all’Assemblea nazionale e approvato il 3 luglio, prevede fino a 15 anni di carcere e pesanti multe (64.000 euro) per “colui che istiga alla violenza contro il governo o i pubblici ufficiali”, così come per “colui che ritrae con una caricatura le autorità, o pubblica dichiarazioni offensive nei loro confronti o ne assuma le sembianze”.
Insomma, basterà una vignetta o un video satirico, in cui un attore imiti il presidente o un ministro per finire in carcere e passarci molto tempo.
Il ministro per l’informazione e le comunicazioni, Nana Grey-Johnson, ha presentato l’emendamento come “punizione deterrente” per chi svolge “campagne di tradimento” in patria o all’estero e inciti a tenere “comportamenti non patriottici”.
Il Gambia aveva già una delle legislazioni più repressive della libertà d’espressione di tutto il continente africano. Ora, colpendo l’unico spazio in cui quella libertà poteva ancora essere esercitata, esprimere una critica sarà semplicemente impossibile.
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