Negli ultimi mesi sono stati pubblicati due rapporti che affrontano il tema dei centri di identificazione ed espulsione in Italia: Arcipelago Cie (realizzato da Medici per i diritti umani) e Costi disumani (dell’associazione Lunaria).
Il primo è il frutto di una ricerca condotta su 11 dei 13 Cie italiani ed evidenzia alcune delle criticità come, per esempio, l’alta presenza di persone provenienti dal carcere mai identificate durante la detenzione; l’assenza degli spazi ricreativi; la difficoltà per le Asl ad accedere ai centri e, per rimanere in ambito sanitario, l’ampio uso di psicofarmaci non sempre prescritti da personale specializzato. Non solo.
È stata segnalata l’assenza di strutture specifiche in grado di cogliere situazioni di vulnerabilità, come per esempio casi di donne vittime di tratta. È indicativa la vicenda di una giovane, rapita nel proprio Paese d’origine da un connazionale e costretta a prostituirsi in Italia. Dopo anni di soprusi trova la forza di denunciare il suo «protettore» rivolgendosi al posto di polizia di un piccolo paese del Sud. Da qui il trasferimento al Cie è stato immediato come se, alla sua condizione di donna vittima, prevalesse quella di persona priva di documenti. Fortunatamente in questo posto è venuta in contatto con gli operatori di una cooperativa sociale che, lì, svolgono un’attività di assistenza legale e psicologica a donne coinvolte nella tratta. Con il loro sostegno, tra qualche giorno, intraprenderà il percorso del rimpatrio volontario assistito, ossia un programma che permette di ritornare in modo consapevole, e in condizioni di sicurezza, nel proprio Paese. Ma perché per questa giovane donna non è stato previsto da subito l’ingresso in un centro specializzato? Il funzionario di polizia che ha raccolto la denuncia ha detto di non sapere che per tali casi è prevista una procedura di supporto e protezione delle donne che hanno subito violenza. Ci auguriamo che una simile lacuna sia subito colmata. La vicenda qui riportata è in linea con quanto emerge anche dal Rapporto di Lunaria. Ossia che, nella maggior parte dei casi, la persona priva di documenti viene immediatamente trattenuta ai fini dell’identificazione e, poi, dell’espulsione, senza che però siano mai prese in considerazione delle forme alternative alla reclusione. È stata inoltre dimostrata, in entrambi i testi, l’inefficacia del trattenimento rispetto al suo scopo poiché appena il 46% delle persone trattenute viene, poi, rimpatriata. E i costi di questo periodo sono molto alti, come ben documentato da Lunaria.
La chiusura dei Cie sarebbe cosa buona e giusta ma, comunque, rimane il fatto che per «contrastare l’immigrazione irregolare» è necessario approvare delle riforme che facilitino l’ingresso e il soggiorno regolare dei migranti in Italia. Ecco perché i Radicali in questi mesi hanno promosso una raccolta firme per proporre due referendum abrogativi, uno della legge Bossi-Fini e l’altro del pacchetto sicurezza Maroni, le principali cause dell’irregolarità.
di Luigi Manconi, Valentina Brinis, Valentina Calderone
di Luigi Manconi, Valentina Brinis, Valentina Calderone
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