La Repubblica
Sono 2.393 i nostri connazionali in attesa di giudizio. In 677 sono stati già condannati e solo 33 persone sono in attesa di essere estradati per scontare la pena nei nostri penitenziari, condizione che dovrebbe essere garantita dalla "Convenzione di Strasburgo" del 1983 e da diversi "Accordi bilaterali". I casi più clamorosi in India, Tailandia e negli Usa
Tanti, troppi, sono i nostri connazionali detenuti all'estero, e tanto, purtroppo, il silenzio che li circonda. Un silenzio che è diventato assordante per i 3.103 italiani detenuti oltre confine. Questo numero, in crescita dagli anni passati, ci viene fornito dall'Annuario statistico 2013 pubblicato recentemente dalla Farnesina. In particolare, 2.323 italiani sono imprigionati nei Paesi dell'Unione europea, 129 nei Paesi extra-Ue, 494 nelle Americhe, 64 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 17 nell'Africa sub-sahariana e 76 in Asia e Oceania.
In Europa il record degli italiani detenuti se lo aggiudicano le carceri tedesche che ospitano 1.115 nostri connazionali, segue la Spagna con 524. Nel resto del mondo, il maggior numero di detenuti italiani si trova in Venezuela con 81 persone recluse nelle carceri amministrate dal governo di Caracas.
Oltre 2.000 in attesa di processo. Il dato più allarmante è che, secondo i dati forniti dal ministero degli Affari esteri, sono 2.393 gli italiani detenuti in attesa di giudizio. In 677 sono stati già condannati e solo 33 persone sono in attesa di essere estradate in Italia per scontare la pena nei nostri penitenziari, condizione che dovrebbe essere garantita dalla "Convenzione di Strasburgo" del 1983 e da diversi "Accordi bilaterali" nei casi che riguardano le persone già condannate.
Innocenti o colpevoli poco importa. Tutti i detenuti, in qualsiasi parte del mondo si trovino, dovrebbero avere diritto ad un giusto processo.
Ma così non è. In diversi Paesi, infatti, sono negati anche i più elementari diritti sanciti dalle convenzioni internazionali come l'assistenza di un avvocato e la presenza di un interprete durante gli interrogatori. In molti casi le poche notizie che vengono lasciate trapelare dalle autorità sono così poche e generiche che è impossibile farsi un'idea dettagliata del processo.
Due connazionali all'ergastolo in India. In India non sono solo i marò ad essere detenuti nelle carceri indiane. Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sono rinchiusi a Varanasi, condannati all'ergastolo con l'accusa di aver assassinato il loro amico e compagno di viaggio Francesco Montis. I giudici indiani hanno "ipotizzato" che tra Bruno e la Boncompagni vi fosse una relazione sentimentale e che quindi avrebbero organizzato l'omicidio.
Tuttavia, "per insufficienza di prove", il movente è assente dal verdetto di condanna. I due giovani italiani sono stati condannati all'ergastolo nella sentenza di primo grado e in quella d'appello ma recentemente la Corte Suprema indiana ha giudicato "ammissibile" il ricorso. La prossima tappa è fissata per il 3 settembre 2013, data in cui si dovrebbe svolgere l'udienza del massimo tribunale indiano.
L'incubo di tornare in prigione. In Thailandia, Fernando Nardini ha vissuto un tormento durato due anni e quattro mesi. Arrestato con l'accusa di essere il complice per l'omicidio di un cittadino tedesco è stato poi assolto in appello nel febbraio del 2011. Ma la paura di tornare in qualche buia prigione del Paese asiatico è sempre alle porte: Nardini, infatti, non può lasciare la Tailandia prima di aver affrontato il terzo grado di giudizio che si dovrebbe tenere alla fine del 2013.
Il carcere a vita, in Usa, per "sensazioni". Negli Stati Uniti Enrico Forti sta scontando l'ergastolo con l'accusa di omicidio. La sua storia, pur essendo egli un produttore televisivo, non ha niente a che fare con gli effetti speciali dei film hollywoodiani. Il suo calvario inizia la mattina del 16 febbraio del 1998 quando, in una spiaggia della Florida, viene ritrovato il corpo senza vita di Dale Pike.
Di questo omicidio viene accusato Forti, che era in trattativa con il padre di Dale per l'acquisto di un albergo. Nonostante si sia sempre dichiarato innocente e le prove a suo carico siano inconsistenti, la giuria americana lo ha condannato all'ergastolo affermando che "La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l'istigatore del delitto".
Morti sospette. In queste drammatiche storie di italiani detenuti all'estero c'è anche chi ha perso la vita. Mariano Pasqualin, un giovane di Vicenza, è stato arrestato per traffico di droga nella Repubblica dominicana, meglio conosciuta con il nome della sua capitale, Santo Domingo, nel giugno del 2011. In una galera del posto, dopo pochi giorni dal suo arresto, ha trovato la morte in circostanze piuttosto dubbie. Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare la salma in Italia per effettuare un'autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità della Repubblica dominicana hanno, senza autorizzazione, deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri.
La scarsa sensibilità delle istituzioni italiane. Queste sono soltanto alcune delle tante storie di sofferenza e, spesso, anche di ingiustizia, che colpiscono i nostri connazionali all'estero e, di conseguenza, anche i loro familiari.
Distruggere il muro di silenzio che li circonda dovrebbe essere dovere di tutti, in particolar modo della nostra diplomazia che non sempre riesce a far fronte in maniera adeguata a queste tragiche situazioni. Per uno Stato, i diritti e la sicurezza dei propri cittadini, anche quando si trovano al di là dei confini nazionali, dovrebbero essere di primaria importanza. Purtroppo però, in alcuni casi, secondo le testimonianze raccolte, questo non succede.
di Fabio Polese autore, assieme a Federico Cenci, del libro-inchiesta "Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all'estero" (Eclettica Edizioni)
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