“Le agenzie umanitarie hanno faticato a capire quale tipo di assistenza fornire, perché è difficile determinare lo status di queste persone”, afferma Shaun Lummis, coordinatore medico di MSF nel Northern Bahr el Ghazal. “Ma per MSF non fa differenza se siano rimpatriati, sfollati interni o rifugiati”.
Roma/Juba – Più di 20.000 persone sono sostanzialmente tagliate fuori dall’assistenza umanitaria nello Stato del Northern Bahr el Ghazal, in Sud Sudan, dopo la fuga dalle violenze nella regione di confine contesa con il vicino Sudan. Il cibo e l’acqua potabile scarseggiano, mentre nei campi le persone vivono in condizioni precarie, ricorda l’organizzazione medico umanitaria Medici Senza Frontiere (MSF), in occasione del secondo anniversario dalla nascita dello stato del Sud Sudan che cadrà domani, martedì 9 luglio.
Le équipe di MSF hanno avviato un progetto di emergenza per aiutare le 20.000 persone arrivate negli ultimi 12 mesi, le quali stanno ricevendo una assistenza umanitaria minima, non solo perché la regione è molto remota, ma anche perché non è ancora chiaro se debbano essere considerati sfollati interni (IDP), rifugiati o rimpatriati.
Dall’avvio del processo, culminato due anni fa con il referendum che ha portato il Sud Sudan all’indipendenza, molte persone hanno fatto ritorno nella regione, a causa di una serie di ragioni, che vanno da quelle di natura sociale, a quelle economiche o legate alla sicurezza. Ma negli ultimi mesi, ondate di sfollati in fuga dalle violenze soprattutto lungo il fiume Kiir/Bahr al Arab, si sono riversate nella regione di confine contesa.
“Le agenzie umanitarie hanno faticato a capire quale tipo di assistenza fornire, perché è difficile determinare lo status di queste persone”, afferma Shaun Lummis, coordinatore medico di MSF nel Northern Bahr el Ghazal. “Ma per MSF non fa differenza se siano rimpatriati, sfollati interni o rifugiati”.
Gli sfollati, che hanno quasi raddoppiato la popolazione della regione, vivono principalmente in 11 campi di fortuna sparsi in zone isolate del Northern Bahr el Ghazal, anche se alcuni sono stati accolti dalle comunità del luogo. In assenza di specifici insediamenti, molte persone hanno dovuto spostarsi più volte.
“Quando siamo arrivati, a febbraio, molte persone in realtà vivevano nella boscaglia. Migliaia di sfollati si sono riversati in questa regione, ma è stato fatto ben poco per rispondere ai loro bisogni”, prosegue Lummis.
MSF sta aiutando sia gli sfollati, che la comunità che li ha accolti. Ha istituito cliniche mobili e fa formazione agli operatori sanitari locali per contribuire a combattere diarrea, malaria e malnutrizione, le tre principali cause di morte tra la popolazione. MSF fornisce anche assistenza sanitaria di base nella città di Pamat, gestendo una clinica per bambini sotto i cinque e donne in stato di gravidanza.
“Nel nostro villaggio, vicino al fiume Kiir, potevamo coltivare tutto ciò che volevamo”, racconta Anthilio Akon, leader della comunità nel campo di Ajok Wol, dove è quasi impossibile trovare teli di plastica per allestire i rifugi, nonostante l’imminente stagione delle piogge. “Qui cerchiamo solo di sopravvivere”.
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