Ieri a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) si è tenuta una manifestazione per chiedere la chiusura immediata del CIE, considerato – per le condizioni in cui versano gli immigrati lì trattenuti – il peggiore d’Italia.
Nel CIE di Gradisca non esistono spazi comuni, né una mensa: nelle stesse stanze in cui si dorme, si consumano i pasti e passano le ore i ragazzi rinchiusi. Ai trattenuti, qui tutti uomini, non è permesso fare una partita di calcetto, e nemmeno è concesso avere fogli di carta per scrivere una lettera. Sono sorvegliati 24 ore su 24 da polizia ed esercito. Spesso – denunciano gli organizzatori della manifestazione – vengono anche somministrati psicofarmaci.
La protesta di ieri, promossa dai Centri sociali Nord Est e altri collettivi autonomi, ha visto anche la partecipazione di esponenti di SEL, Rifondazione Comunista e M5S, nonché di diversi assessori regionali e comunali del Friuli.
Nei giorni scorsi, peraltro, erano già intervenute la parlamentare di SEL, Serena Pellegrino che, in seguito alla visita del centro, ha chiesto un immediato incontro con il prefetto per «garantire i principi umanitari e la tutela dei diritti civili in questo luogo di disperazione. Diritti che riguardano tutti: detenuti e forze dell’ordine»; e la presidentessa della Regione, Debora Serracchiani, la quale ha dichiarato essere necessaria la chiusura immediata dei centri e l’auspicio che il governo si occupi quanto prima della questione.
Tra altoparlanti, striscioni e testimonianze, i trattenuti hanno preso parte alla manifestazione dal tetto interno della struttura al grido «noi non siamo criminali, vogliamo la libertà e grazie a tutti voi per essere qui», lamentando, tra l’altro, il fatto che gli fosse precluso avere notizie del ragazzo scivolato dal tetto qualche giorno fa in un tentativo di fuga: «non sappiamo nemmeno se sia vivo o morto, non ci dicono niente!».
Anche a chi ha provato a visitarlo all’ospedale, secondo quanto dichiarato da una tra gli organizzatori, non è stata fornita alcuna informazione sulle sue condizioni di salute.
La situazione del centro per ora resta invariata. In mancanza di un’azione di governo e del Ministero degli Interni, le possibilità di azione sui centri da parte dei governi territoriali resta limitata, ma se non altro l’agitazione di questi giorni ha portato maggiore consapevolezza alle istituzioni regionali, che ora possono provare a operare congiuntamente a quelle di altre regioni perché, a livello nazionale, si muova qualcosa.
La legge Bossi-Fini va ripensata, la sua inefficienza è stata ormai più volte dichiarata dalle organizzazioni, enti e operatori che lavorano in questo campo.Tuttavia, pare che la riforma della legge sull’immigrazione non sia una delle priorità dell’attuale governo.
La situazione dei CIE non può però essere ricondotta nell’alveo della stessa riforma, e rimandata a data da destinarsi: prima che un problema politico, i CIE pongono un problema di violazione dei diritti della persona. L’Italia, che aderisce alla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei diritti dell’Unione Europea, non può più permettersi di portare avanti politiche di questo tipo incuranti del rispetto della libertà personale e dei diritti umani.
La politica migratoria è una cosa, l’umanità è un’altra e costituisce un limite per la prima. E qui, è di umanità che si tratta.
Giulia Travain
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