Mohamad Hasan era fuggito dal suo paese senza pace, anche se ci ostiniamo a pensare che in Afghanistan vada tutto bene. Era arrivato in Grecia dopo aver attraversato quattro frontiere, per chiedere asilo politico.
Era stato arrestato nel settembre 2012 e portato nel centro di detenzione per immigrati di Corinto, uno dei tanti operativi in Grecia.
Per mesi, invano, aveva detto agli agenti di avere dei forti dolori al petto. Invisibile, inesistente, inascoltato. All’ospedale ci è arrivato 10 mesi dopo, il 7 luglio di quest’anno. Gli è stata riscontrata una grave infezione polmonare. Alla metà del mese, è stato trasferito in un ospedale di Atene.
Mohamed Hasan è morto il 27 luglio.
Il centro di detenzione dove i dolori al petto di Mohamed Hasan sono stati ignorati per quasi un anno era stato visitato da Amnesty International lo scorso novembre: privo di riscaldamento e acqua calda, letti sporchi e insufficienti, niente sapone né carta igienica, pestaggi frequenti.
Dopo una nuova denuncia, nell’aprile di quest’anno Amnesty International era tornata per vedere se la situazione fosse migliorata. La direzione del centro le aveva rifiutato l’ingresso. Ciò nonostante, aveva potuto parlare con alcuni detenuti: per ascoltare, di nuovo, e riferire di nuovo alla direzione del centro, le proteste per l’assenza di acqua calda, l’igiene inesistente, le richieste di cure mediche non prese in considerazione. Di fronte al ricercatore di Amnesty International, un agente aveva chiamato un gruppo di detenuti “ratti”.
Giorni fa, la Camera della Corte europea dei diritti umani ha dato ragione a un rifugiato sudanese, che aveva denunciato di aver subito trattamenti degradanti durante la detenzione in Grecia.
Ora, la morte di Mohamad chiama nuovamente in causa le autorità di Atene, già al centro delle polemiche per i respingimenti di richiedenti asilo in fuga dalla guerra.
di Riccardo Noury
Era stato arrestato nel settembre 2012 e portato nel centro di detenzione per immigrati di Corinto, uno dei tanti operativi in Grecia.
Per mesi, invano, aveva detto agli agenti di avere dei forti dolori al petto. Invisibile, inesistente, inascoltato. All’ospedale ci è arrivato 10 mesi dopo, il 7 luglio di quest’anno. Gli è stata riscontrata una grave infezione polmonare. Alla metà del mese, è stato trasferito in un ospedale di Atene.
Mohamed Hasan è morto il 27 luglio.
Il centro di detenzione dove i dolori al petto di Mohamed Hasan sono stati ignorati per quasi un anno era stato visitato da Amnesty International lo scorso novembre: privo di riscaldamento e acqua calda, letti sporchi e insufficienti, niente sapone né carta igienica, pestaggi frequenti.
Dopo una nuova denuncia, nell’aprile di quest’anno Amnesty International era tornata per vedere se la situazione fosse migliorata. La direzione del centro le aveva rifiutato l’ingresso. Ciò nonostante, aveva potuto parlare con alcuni detenuti: per ascoltare, di nuovo, e riferire di nuovo alla direzione del centro, le proteste per l’assenza di acqua calda, l’igiene inesistente, le richieste di cure mediche non prese in considerazione. Di fronte al ricercatore di Amnesty International, un agente aveva chiamato un gruppo di detenuti “ratti”.
Giorni fa, la Camera della Corte europea dei diritti umani ha dato ragione a un rifugiato sudanese, che aveva denunciato di aver subito trattamenti degradanti durante la detenzione in Grecia.
Ora, la morte di Mohamad chiama nuovamente in causa le autorità di Atene, già al centro delle polemiche per i respingimenti di richiedenti asilo in fuga dalla guerra.
di Riccardo Noury
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