Vivono in prigione, da innocenti. Sono i 41 bambini, al di sotto dei tre anni, che in Italia condividono con le madri detenute la vista quotidiana delle sbarre di un carcere.
Bimbi spesso condannati ad ammalarsi di asma e bronchiti, trascorrendo buona parte delle giornate lontani dalla luce del sole e in ambienti poco areati. Figli a tempo, che dopo il compimento dei tre anni vengono spesso affidati a case famiglia o a famiglie italiane, altrimenti a parenti mai conosciuti.
Una condizione che viola i diritti dei minori, al gioco alla salute e alla normalità, a cui si è cercato di mettere una toppa nel 2011 con la legge 62/11, prevista nel cosiddetto ‘Piano Carceri’, che ha istituito le case famiglia protette. Un progetto rimasto però solo su carta. La legge infatti prevede convenzioni ‘a costo zero’ con gli enti locali, per individuare quali strutture destinare a case famiglia protette. Una previsione che difficilmente, vista già la difficoltà attuale a reperire locali da adibire ad asili nido, verrà realizzata entro il termine massimo di attuazione della legge fissato al 1° gennaio 2014.
Una soluzione, sollecitata anche dalla senatrice Pd Rita Ghedini al ministro della giustizia Cancellieri, sarebbe di utilizzare la provvista finanziaria di 11,7 milioni di euro prevista per la realizzazione di queste strutture. Ma ad oggi l’unica realtà esistente di detenzione fuori dal carcere che garantisca “una vita quotidiana ispirata a modelli comunitari”, presa come buon esempio anche in Europa, è l’ICAM di Milano un istituto a custodia attenuata per madri detenute e i loro figli da 0 a 3 o 6 anni. La struttura, messa a disposizione dalla Provincia di Milano per le madri in regime di custodia cautelare, permette ai suoi piccoli ospiti di vivere in un ambiente più accogliente di una cella o un cortile per l’ora d’aria. I bambini possono frequentare i nidi e le scuole materne della zona, crescendo in ambienti adatti alle loro esigenze forti dell’affetto materno. Un istituto dove per le donne recluse vigono le regole del carcere, ma dove i loro figli tornano ad essere liberi.
Un successo isolato che, ospiti 12 madri con figli, riesce a “coprire le esigenze di tutto il territorio provinciale e quasi tutta la Regione” stando ai dati della Provincia di Milano. Fuori dal palazzo dell’ICAM di via Melloni, gli altri figli di detenute subiscono le conseguenze delle condizioni di disagio degli istituti penitenziari. E soprattutto dei tagli fatti ai progetti rivolti all’infanzia in carcere. Per loro, niente “spazi per il gioco, possibilmente all’aperto” né “spazi per incontri personali”.
Condannati per nascita, tocca allo Stato evitare di privare questi bambini anche dei loro diritti fondamentali.
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