Avvenire
Quattro nuovi arresti, l’ultimo anello di una catena di vessazioni e soprusi ai danni della Chiesa che non sembra conoscere fine in Cina. La denuncia arriva dal gruppo Justice and Peace Commission (Jpc), con sede a Hong Kong. I quattro sacerdoti – tutti in comunione con Roma e non con la Associazione patriottica cinese, di fatto uno strumento nelle mani di Pechino – sono stati risucchiati nelle maglie della “giustizia” cinese nel mese di agosto.
Il primo prete ad essere arrestato è indicato con il nome Song Wanjun e risulta essere stato fermato agli inizi del mese nella diocesi di Xiwanzi, nella Mongolia interna. Altri tre, Shi Weiqiang, Tian Jianmin e Yang Gang, sono stati invece fermati nell’Hebei. Non si sa al momento dove si trovino né si hanno informazioni sulle loro condizioni di salute. In Hebei le autorità hanno impedito lo svolgimento della festa dell’Assunzione della Vergine lo scorso 15 agosto, molto sentita dai fedeli cattolici anche in Cina.
«Le autorità cinesi hanno imposto delle politiche – si legge nel documento che Justice and Peace Commission ha inviato al Consiglio dei diritti umani dell’Onu di Ginevra – che violano gravemente i diritti umani». Ad essere calpestata, in primis, è proprio «la libertà religiosa»: a sacerdoti e fedeli cattolici è spesso toccato in sorte un mix micidiale fatto di «arresti domiciliari, sorveglianza, detenzioni, “sparizioni” illegali» e persino di «corsi di rieducazione» al socialismo.
Emblematica della difficile situazione nel colosso asiatico è la vicenda, umana e spirituale, di Thaddeus Ma Daqin, nominato dalla Santa Sede vescovo ausiliario di Shanghai il 7 luglio del 2012 e che oggi si trova – si legge ancora nel documento – «confinato nel seminario di Sheshan, di fatto privato dalla libertà personale». La sua “colpa”? Quella di aver annunciato, nel giorno della sua ordinazione, le dimissioni dalla “chiesa” del governo di Pechino. Un gesto che ha scatenato la plateale reazione delle autorità cinesi, che ha costretto almeno ottanta preti e ottanta suore, a seguire tre giorni di lezione all’Istituto per il Socialismo di Shanghai. Con tanto di calendario massacrante: “rieducazione”, ogni giorno, per 12 ore.
La Costituzione cinese garantisce formalmente la libertà di religione ma i fedeli sono obbligati per legge a “registrarsi”’ presso l’Associazione patriottica, un organismo governativo che riconosce Pechino come massima autorità anche in campo religioso. Cinque milioni di cattolici si sono registrati ma, secondo alcune stime, più del doppio non l’hanno fatto e rimangono in una situazione di semi-clandestinità.
Luca Miele
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