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lunedì 2 settembre 2013

Il male peggiore per un detenuto? Il trasferimento - Racconto di una storia esemplare

Il Mattino di Padova
C'è qualcosa che si può fare, a costo zero, per rendere un po' più umana la vita in carcere in tempi di disumano sovraffollamento? Sì, qualcosa c'è, e si chiama una diversa gestione dei trasferimenti dei detenuti.
Perché venire trasferiti spesso è un momento drammatico della vita di chi sta in carcere, e lo è ancora di più per le famiglie, come raccontano nelle loro testimonianze due detenuti, che hanno vissuto sulla loro pelle la disumanità che spesso caratterizza il trasferimento da un carcere all'altro, lo "sballamento" di merce umana, come si chiama nel gergo della galera.

Il male peggiore per un detenuto? Il trasferimento
Come avvengono i trasferimenti dei detenuti? I detenuti quasi sempre vengono spostati senza nessun preavviso, e soprattutto senza tenere in minima considerazione le devastanti conseguenze che investono gli stessi reclusi, ma ancor di più i loro famigliari.

Sono entrato in carcere appena ho compiuto 20 anni, oggi ne ho 38 e non sono mai uscito una sola ora in libertà. Vengo arrestato in Calabria, ma dalla Calabria mi trasferiscono in Piemonte, motivazione? Allontanamento territoriale... Le regioni che ho girato sono: Calabria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Sicilia, Campania ed oggi Veneto; le città con i rispettivi carceri: Palmi, Torino, Alessandria (ce ne sono due di carceri e sono stato in entrambi), Novara, Saluzzo, Sollicciano (FI), Volterra, Palermo Ucciardone, Pagliarelli, Augusta Brucoli, Trapani, Favignana, Poggioreale, Ariano Irpino, Avellino e poi qui in Veneto, Padova. 

Per quanto riguarda il mio trattamento rieducativo... scusatemi se non ho mai avuto tempo di iniziarlo... puntualmente mi ritrovavo dall'altra parte d'Italia. Mi piacerebbe poi poter quantificare i danni psicologici causati dall'impossibilità di coltivare i propri affetti. 

Ma il male peggiore lo subiscono i familiari: quelle madri anziane che non si possono permettere di viaggiare o per motivi di salute o per motivi economici; i figli che crescono senza un padre ed ai quali viene spesso tolta, con un trasferimento, anche l'ultima possibilità di abbracciare il genitore in quell'ora di colloquio che ogni tanto si potrebbe fare.

Una volta esisteva un padre, mio padre, che a 75 anni, due operazioni al cuore, residente in Piemonte, un giorno decide che era trascorso troppo tempo senza poter vedere il figlio, allora comincia a mettere da parte qualche spicciolo dalla sua già misera pensione per poter un giorno prendere l'aereo e volare fino a Palermo. Eh sì... perché il figlio è stato trasferito lì e non si sa il perché. Riesce a racimolare il denaro necessario, ma al figlio non dice nulla, vuole fargli una sorpresa, prende il volo diretto a Palermo, con i suoi occhiali spessi e con il suo bastone d'appoggio affronta questo viaggio che per lui, come per qualsiasi anziano, non è di certo una passeggiata. Giunge finalmente a Palermo, dove non era mai stato, chiede a qualcuno come può fare per arrivare al carcere dell'Ucciardone, e gli viene suggerito di prendere un pullman che lo porta al centro, da lì avrebbe poi dovuto informarsi e lui così ha fatto. La stanchezza e quel cuore che fa i capricci cominciano a dargli fastidio, ma lui è testardo deve raggiungere il figlio, sono nove anni che non lo vede ed ha paura di morire senza vederlo più. Finalmente arriva dinanzi a quel portone d'acciaio... ad un tratto gli viene in mente che non può presentarsi a colloquio dal figlio a mani vuote, allora decide di andare in un negozio lì vicino dove può acquistare qualche etto di prosciutto e un pezzo di formaggio, con i soldi ce la fa anche se in tasca non gli rimane nulla, ma lui ha già il biglietto di ritorno. Suona al cancello blindato del carcere con in una mano una piccola busta e nell'altra il suo bastone, gli apre una guardia alla quale lui consegna i suoi documenti e dichiara di dover fare il colloquio col figlio, gli rispondono che deve attendere, lì fuori nel caldo infernale. Dopo circa un'ora e mezza si ripresenta la stessa guardia e gli dice che il colloquio non lo può fare, il padre chiede perché e aggiunge: "Guardi che io vengo dal Piemonte è un viaggio lunghissimo!". "Suo figlio è stato trasferito!", gli rispondono.

Gli manca la forza per parlare e dopo qualche attimo di silenzio riesce a chiedere con un filo di voce: "E dove l'avete mandato? se è qui vicino posso andare a cercarlo...". Hanno davanti un vecchio stanco e distrutto e gli dicono: "Non siamo tenuti a dare nessun tipo d'informazione". E gli chiudono quella montagna di ferro in faccia. Con le gambe tremolanti con un filo di fiato che gli alimentava i polmoni si allontana senza sapere dove andare; a quel padre hanno chiuso in faccia non solo un portone di ferro... ma anche l'ultima possibilità di vedere il figlio, eppure quel padre ha lavorato per 40 anni, non ha commesso nessun reato, e mentre pensa a queste cose la sua rabbia e la sua impotenza si cristallizzano dietro quelle lenti spesse in qualche lacrima, che pesa così tanto che il vecchio si deve fermare per nasconderla.

Riesce ad arrivare a casa e a scrivere la sua ultima lettera al figlio, dove spiega tutte queste cose... il figlio la riceve mentre si trova nelle carceri della Campania, la legge in un solo fiato e trema mentre stringe quel foglio così prezioso tra le mani ed ingoia lacrime come fossero veleno amaro... se non fossi stato trasferito l'avrei visto.

Quel padre non c'è più. È morto dopo un giorno che è tornato a casa.
[...]

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