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lunedì 16 settembre 2013

La volta che gli Stati Uniti quasi abolirono la pena di morte

Il Post
Era il 1972, la Corte Suprema la sospese per quattro anni ma poi fu vittima di «un capolavoro di manipolazione»

Nella prima metà degli anni Settanta la Corte Suprema statunitense fu molto vicina ad abolire definitivamente la pena di morte in quanto incostituzionale; alla fine si limitò a sospenderla per quattro anni, tra il 1972 e il 1976. La storia di quest’occasione mancata è raccontata nel libro Wild Justice di Evan Mandery, da poco pubblicato negli Stati Uniti e riassunto in un articolo suSlate.Mandery racconta che il primo serio dibattito sulla legittimità costituzionale della pena di morte iniziò nel 1963, quando il giudice della Corte Suprema Arthur Goldberg chiese a un suo consigliere, Alan Dershowitz, di scrivere una relazione per spiegare perché la pena di morte violava l’Ottavo emendamento della Costituzione statunitense. Quando Goldberg incaricò il suo assistente di scrivere il rapporto, l’idea che la pena capitale potesse essere anticostituzionale sembrò piuttosto «fantasiosa»: fin dalla loro fondazione negli Stati Uniti la pena di morte era stata sempre applicata, senza grandi discussioni.
L’Ottavo emendamento stabilisce che non si possano «richiedere cauzioni eccessive, né imporre ammende eccessive, né infliggere pene crudeli e inusitate». È il principio su cui si fondano le tesi degli abolizionisti, nonché quello che ha determinato negli anni l’abbandono di metodi violenti nelle esecuzioni, come l’impiccagione e la fucilazione, e la decisione presa dalla Corte Suprema di proibire le condanne a morte di persone affette da disturbi mentali (2003) o minorenni (2005). La corrente favorevole alla pena di morte fa invece riferimento al Quinto e al Quattordicesimo emendamento (per cui nessun imputato può essere «privato della vita […] senza un regolare procedimento legale») che sottintendono entrambi la pena capitale.

Tra i risultati della ricerca di Dershowitz venne fuori soprattutto la notevole discriminazione razziale con cui era applicata la pena: i condannati erano soprattutto neri, le vittime dei reati commessi erano soprattutto bianche. Earl Warren, che allora era il presidente della Corte Suprema, chiese al giudice Goldberg di non rendere pubblico il documento, perché era convinto che – nonostante le disparità con cui era applicata – la pena di morte fosse costituzionalmente legittima. Goldberg si limitò a scrivere un breve testo in cui sosteneva che fosse una punizione eccessiva per il reato di stupro e, di fatto, la questione della crudeltà proibita dall’Ottavo emendamento non venne approfondita.

La sospensione delle condanne
Il dibattito si riaprì nel 1972 con il caso “Furman contro Georgia”, che portò la Corte Suprema a sospendere la pena capitale in tutti gli stati federali per i successivi quattro anni. L’imputato, William Henry Furman, era stato accusato di omicidio per la morte del proprietario di un appartamento durante una rapina. Furman si contraddisse sulla successione dei fatti e arrivò a sostenere che si fosse trattato di un incidente: disse che era inciampato mentre cercava di scappare e dall’arma era partito un colpo. Alla fine di un processo durato un solo giorno, la giuria lo reputò «emozionalmente disperato e mentalmente compromesso», ma lo condannò comunque alla pena di morte. L’avvocato di Furman, Tony Amsterdam, si appellò alla Corte Suprema chiedendo che la pena venisse rivista. Il processo fu scelto insieme ad altri tre casi (due stupri e un omicidio) per valutare la costituzionalità della pena di morte in una serie di circostanze diverse. dubbi, in particolare Thurgood Marshall e William O. Douglas (rispettivamente, il primo giudice afroamericano della Corte Suprema e quello rimasto in carica più a lungo, dal 1939). I restanti due possibili voti favorevoli erano quelli dei giudici Potter Stewart e Byron White: entrambi erano restii a imporre dall’alto un cambiamento sociale così profondo, ma Stewart aveva già espresso alcuni scrupoli morali sulla pena di morte e Amsterdam sperava di far leva su questo.
olavoro di manipolazione». o al presidente della Corte Suprema, qualora abbia votato con la maggioranza. Il presidente, a sua volta, può scegliere se scrivere l’opinione o assegnare il compito a un altro membro della maggioranza.

[segue]

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