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giovedì 31 ottobre 2013

Euthanasie - Ces détenus belges qui préfèrent la mort à la prison

Le Figaro
En septembre, un détenu condamné à une lourde peine avait obtenu l'euthanasie : une première en Belgique. Aujourd'hui, une dizaine de prisonniers belges auraient également demandé que soit mis fin à leur vie.

Il n'a plus aucun espoir de retrouver un jour la liberté. Et d'ailleurs, il ne le réclame même pas. «Je suis un monstre!», reconnaît Frank van den Bleeken, un Belge de 50 ans, interné depuis près de trente ans pour le viol et le meurtre d'une étudiante. Un traitement entamé en prison ne l'a pas aidé, constate le quinquagénaire, précisant que s'il sortait, il recommencerait «certainement et rapidement». «Je ne me sens plus un homme», lâche ce violeur récidiviste. Qui demande, dès lors, à la justice belge, de l'euthanasier.

Son avocat, Jos van der Velpen, vient d'assigner la ministre de la Justice devant le tribunal des référés de Bruxelles. «C'est mon client qui insiste pour ne pas passer devant la commission qui pourrait le libérer, souligne-t-il. Il ne veut pas prendre le risque de faire d'autres victimes. Mais, selon les psychiatres, il souffre mentalement, de manière intenable: il ne veut plus souffrir ainsi jusqu'à la fin de sa vie». Il y a trois ans, Frank van den Bleeken avait déjà déposé une demande d'euthanasie. «Deux médecins ont donné leur accord, poursuit l'avocat. Mais un troisième hésite. Car il y aurait peut-être une alternative: que mon client soit transféré dans une clinique néerlandaise spécialisée, où les conditions de détention sont beaucoup plus humaines, et où il pourrait bénéficier d'un traitement».

Mais pour le ministère de la Justice, il n'est pour l'instant pas question d'extradition. «Cela créerait un précédent!, s'exclame l'avocat Fernand Keuleneer, ancien membre de la Commission de contrôle et d'évaluation, qui vérifie si l'euthanasie a été pratiquée dans le respect des conditions légales. Après, on verrait, pourquoi pas, des détenus demandant d'être extradés au soleil…».
Peine de mort volontaire

En septembre, un détenu condamné à une lourde peine avait obtenu l'euthanasie: une première en Belgique. Aujourd'hui, une dizaine de prisonniers belges auraient également demandé que soit mis fin à leur vie. Un retour de la peine de mort «par le biais humanitaire», s'inquiètent déjà certains… «Voilà la peine de mort volontaire!, lance Me Keuleneer. Grâce à ces prisonniers, on commence à se poser des questions, on hésite parce que peut-être que leurs souffrances seraient uniquement dues à leur détention… Mais c'est dans tous les cas que l'on devrait se poser ces questions sur l'origine des souffrances psychiques et la façon de les apaiser!» Pour Jacqueline Herremans, présidente de l'Association pour le droit à mourir dans la dignité (ADMD) et membre de la Commission de contrôle, «il faut faire attention à certains raccourcis»: «S'il s'agit uniquement du désespoir d'être entre quatre murs, ça me pose un problème, dit-elle. Mais cet homme a un problème médical pour lequel il n'y a pas de solution durable».

La Belgique, qui réfléchit actuellement à un élargissement de sa loi sur l'euthanasie aux mineurs et aux déments, enregistre cette année un nombre record de déclarations anticipées. La loi permet de faire une telle déclaration pour le cas où l'on ne serait plus en état de la demander. Entre le 1er janvier 2013 et la mi-octobre, 15.279 déclarations anticipées ont été recensées (12.728 en 2012). «De plus en plus, les gens refusent de laisser quelqu'un d'autre parler en leur nom, conclut Jacqueline Herremans. La preuve que la dépénalisation de l'euthanasie a représenté la création d'un espace de liberté». Frank van den Bleeken saura mi-novembre s'il pourra bénéficier du seul «espace de liberté» qui lui reste.

Belgio: i detenuti chiedono l’eutanasia. È pena di morte volontaria? A settembre un detenuto l'ha ottenuta

AgoraVox
Nel settembre scorso un detenuto condannato a una lunga detenzione ha ricevuto l'eutanasia: era la prima volta in Belgio. Oggi, una dozzina di prigionieri belgi chiedono di porre fine alla propria vita, racconta il quotidiano francese Le Figaro. Senza dubbio è stato creato un precedente difficilmente gestibile sia dal punto di vista legale che etico.



"Sono un mostro", dice Frank van den Bleeken, un belga di 50 anni, rinchiuso da 25 anni per lo stupro e l'omicidio di una studentessa. L'uomo non si trova in un carcere, ma in un centro di detenzione psichiatrico dove passa 23 ore su 24 nella sua cella. "Non mi sento un uomo", racconta. Van den Bleeken che, tra l'altro, non chiede di poter riottenere la libertà perché sa che sarà recidivo, aggiungendo che non vuole fare altre vittime. Per questo ha chiesto hai giudici di poter ottenere l’eutanasia. Questa è la terza richiesta che ha presentato.

Due medici (sui tre necessari) hanno già dato il loro ok, il terzo esita, proponendo che Frank van den Bleeken possa finire la sua pena in un centro olandese, dove sono in vigore "condizioni più umane" che, secondo l'avvocato dell'uomo, sarebbero in grado di aiutarlo.

Questa proposta, che l'avvocato di van den Bleeken ha presentato, è stata rifiutata per non creare un precedente di estradizione. Questo, nonostante all'uomo sia stato diagnosticato in "grave sofferenza psicologica".

Mentre qualcuno già grida - non senza ragione - a una "pena di morte volontaria", Jacqueline Herremans, presidente dell'Associazione per il diritto a morire con dignità (Admd) e membro della Commissione di controllo, ricorda che bisogna fare attenzione a che l'eutanasia non diventi una scorciatoia per chi è costretto a vivere tra quattro mura. Per queste persone, continua la donna, bisogna trovare una soluzione medica.

Va detto che tra il 1° gennaio 2013 e la metà di ottobre, sono state raccolte, in Belgio, 15.279 dichiarazioni (12.728 nel 2012) di richiesta di morte anticipata, ovvero di chi non vuole che la sua vita venga prolungata per volontà di altri: "Sempre più spesso, le persone si rifiutano di lasciare che qualcun altro parli per loro”, dice Jacqueline Herremans.

Per ora il Governo belga sta valutando un ampliamento della sua legge sull'eutanasia ai minori e ai portatori di handicapp.

Frank van den Bleeken a metà dicembre saprà se la sua richiesta verrà accettata o meno.


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Siria, Opac: distrutti i siti di produzione di armi chimiche

La Repubblica
Un ispettore dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha annunciato la conclusione della seconda fase del programma di disarmo. Il prossimo passo è la distruzione delle armi e delle scorte esistenti

TUTTI gli strumenti per la produzione di armi chimiche in Siria sono stati distrutti. Lo ha anticipato alla Reuters un ispettore dell'Opac, l'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Si conclude così la seconda fase del programma di disarmo della Siria, voluto dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il prossimo passo è la distruzione di tutte le armi e le scorte esistenti. Secondo le stime, Damasco possiede circa mille tonnellate di agenti chimici e armi, tra cui gas mostarda e sarin.

Gli ispettori dell'organizzazione premio Nobel per la Pace, in queste settimane hanno ispezionato 21 dei 23 siti nel Paese. Gli ultimi due erano troppo pericolosi da visitare, ma il loro equipaggiamento, da quanto si apprende, era già stato trasferito in altri siti controllati. La distruzione riguarda gli equipaggiamenti per la produzione di armi chimiche e per il riempimento di munizioni con gas velenosi. L'Opac aveva fissato al primo novembre la scadenza per la distruzione delle strutture di produzione delle sostanze nocive.

Lo smantellamento dell'arsenale chimico siriano si è sviluppata sin qui in due fasi. La prima è consistita nella consegna dell'inventario da parte degli uomini di Bashar Al-Assad. A questa ne è seguita una seconda, iniziata i primi di ottobre, di "verifica, distruzione e disattivazione". Un'operazione senza precedenti, dato che lo smantellamento è avvenuto nel bel mezzo di una guerra civile e che l'arsenale distrutto era uno dei più importanti del Medio Oriente.

USA - Probabili torture praticate a Guantanamo

La Perfetta Letizia
James Connell, avvocato di Amar al-Baluchi, 36enne detenuto a Guantanamo, dice che il suo cliente è stato torturato per anni.

Connell si basa su due documenti medici non classificati che mostrano probabili torture. Tuttavia, secondo il procuratore Clay Trivett, tutto ciò che riguarda l’interrogatorio è classificato "fonti e metodi" della CIA. La segretezza vale anche per gli interrogatori praticati nelle prigioni segrete off-shore, sulle navi della marina statunitense in acque internazionali. non può né discutere le opportunità, né i modi con cui il suo cliente potrebbe essere stato torturato. Connell ha chiesto al presidente della Corte militare d’ispezionare la cella del prigioniero a Guantanamo, nel campo 7 (la parte segreta della CIA). Ma il giudice militare si è rifiutò perché ufficialmente non si pratica più la tortura.

Amar al-Baluchi è cittadino yemenita. Fu arrestato in Pakistan il 29 aprile 2003 e detenuto illegalmente e torturato in una prigione segreta della CIA per più di due anni. Fu trasferito il 6 settembre 2006 a Guantanamo, dove è detenuto illegalmente da 7 anni. Secondo la commissione presidenziale d’inchiesta sugli attentati dell’11 settembre, Amar al-Baluchi comprò i biglietti e diede informazioni sulla vita negli Stati Uniti ai dirottatori. Fu anche uomo di paglia per diversi trasferimenti di denaro.

Il caso di Amar al-Baluchi è stato sollevato durante il dibattito sulla possibile chiusura di Guantanamo. Il senatore Mitch McConnell ha concluso che dovrebbero liberalo alla chiusura del campo, se non si hanno accuse serie contro di lui.

Giordania l'odissea dei rifugiati siriani tra respingimenti e violenza

Corriere della Sera - Amnesty International 
In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha messo in luce le condizioni sempre più difficili in cui si trovano i rifugiati siriani in Giordania e ha denunciato la prassi illegale dei respingimenti alla frontiera. Negli ultimi mesi, migliaia di persone e interi nuclei familiari diretti in Giordania ma anche verso altri paesi della regione, tra cui l’Egitto, sono stati ricacciati dentro il conflitto siriano.

Oltre due milioni di rifugiati hanno lasciato la Siria, dando vita alla peggiore crisi umanitaria del decennio. La maggior parte di loro ha trovato riparo in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto. Almeno altri 4,25 milioni risultano sfollati all’interno della Siria e adesso sono anche a rischio di un’epidemia di poliomielite.

Questo flusso di rifugiati sta gravando in modo enorme, soprattutto sulla Giordania. Le risorse sono inevitabilmente al limite e tra la popolazione locale cresce il malcontento. Da alcuni mesi, sono iniziati i respingimenti alla frontiera siro-giordana.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali secondo le quali il confine rimane aperto per tutti coloro che fuggono dal conflitto, le ricerche di Amnesty International hanno messo in luce che l’ingresso in Giordania viene negato ad almeno quattro categorie di persone: i palestinesi e gli iracheni rifugiati in Siria, le persone prive di documenti d’identità e gli uomini non accompagnati che non possono dimostrare di avere legami familiari in Giordania. Famiglie hanno raccontato ad Amnesty International di essere state rimandate indietro dalle autorità di frontiera giordane.

Le limitazioni imposte dalle autorità giordane alla frontiera, insieme agli scontri in corso nelle zone di confine, hanno intrappolato a tempo indeterminato migliaia di sfollati nei pressi della frontiera con la Giordania.

Una donna con sei figli ha dichiarato che sul suo passaporto è stata stampata la dicitura “ritornare tra un mese”. Lei e i suoi bambini sono stati costretti a dormire lungo la strada, nei pressi del confine, con altre 100 famiglie. Hanno lottato per sopravvivere mangiando la frutta degli alberi. Dopo un mese di attesa, sono stati nuovamente respinti alla frontiera e costretti a rientrare in una città siriana.

Per coloro che hanno ottenuto l’ingresso in Giordania, il rimpatrio forzato è un rischio ulteriore. Le autorità giordane hanno dichiarato ad Amnesty International che non avrebbero rimandato nessuno in Siria. Tuttavia, nell’agosto 2012, circa 200 persone sono stati rinviati in Siria dopo una protesta scoppiata nel campo rifugiati di Za’atri, il più grande della Giordania (ospita attualmente oltre 120.000 persone). Da allora, anche altre persone sono state respinte.

Per chi non rischia il rimpatrio, i problemi più grandi si chiamano mancato accesso all’acqua potabile, alti livelli di criminalità e assenza di sicurezza, soprattutto per le donne e le ragazze.

A Za’atri le donne e le ragazze vivono nel terrore di subire molestie eviolenze sessuali. Molte hanno dichiarato di aver paura di andare ai gabinetti da sole di notte. I medici del campo hanno riscontrato un aumento delle infezioni alle vie urinarie dovuto al fatto che per lunghi periodi di tempo le donne non vanno in bagno.

Altre ragazze sono state avvicinate da uomini giordani in cerca di “spose”. La giovane età e il percepito status inferiore in quanto rifugiate, mettono le ragazze richieste come spose, a volte anche per matrimoni temporanei, a rischio di sfruttamento.

Se Roma chiede aiuto all’Europa a fronte dell’aumento del numero degli arrivi di rifugiati siriani, Amman lo chiede al mondo intero: chi fugge dal conflitto siriano ha diritto alla protezione internazionale e la Giordania deve tenere aperte le frontiere. Ma se non si vuole che la crisi umanitaria peggiori ulteriormente occorrono, e Amnesty International le sollecita da tempo, azioni immediate da parte della comunità internazionale per rafforzare lo scarso aiuto umanitario e i programmi di reinsediamento.


Iran: "Io, dimenticata in cella perché sono bahai", minoranze religiose discriminate

La Stampa
"Taraneh fiore mio, avevi 13 anni quando fui costretta ad abbandonarti". Fariba Kamalabadi, ha 51 anni, occhi scuri e melanconici, tre figli adolescenti e una condanna a vent'anni. Dopo cinque anni di comunicazioni censurate e colloqui sorvegliati, una preziosa, unica lettera alla figlia è riuscita a sfuggire ai controlli, affidata a una compagna di carcere liberata. "Taraneh fiore mio, alle sei del mattino eri pronta col grembiule per andare a scuola.

Gli agenti fecero irruzione in casa nostra e mi portarono via con loro". Fariba Kamalabadi dovrà stare nel carcere di massima sicurezza di Teheran fino al 2028 per spionaggio, vilipendio alla religione e propaganda contro la Repubblica islamica dell'Iran. In una parola: deve stare in carcere perché è bahai. Lei, con gli altri sei membri del gruppo Yaran ("Amici"), sono stati rinchiusi, senza un solo giorno di permesso, perché la loro religione richiama l'uguaglianza dei sessi, la compatibilità tra scienza e religione, e la relatività della verità (compresa la verità religiosa). Soprattutto, la fede bahai prevede la scissione tra Stato e Chiesa. Che nella Repubblica islamica è già una contraddizione in termini. I bahai - se dichiarano la propria fede religiosa - sono ostracizzati: non possono studiare, lavorare per lo Stato e né dove sia previsto il contatto con il pubblico, dagli ospedali ai ristoranti. Sono impuri. Nonostante le aperture del nuovo presidente iraniano Rohani nei confronti delle minoranze i cambiamenti sembrano ancora da venire. Solo qualche giorno fa il relatore per i diritti umani in Iran diceva all'Onu che "la situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran continua a creare serie preoccupazioni e non dà segni di miglioramento - ha spiegato Ahmed Shaheed. Continuano le discriminazione contro le donne e le minoranze etniche, e non si attenuano i limiti imposti alla libertà di espressione e associazione". Non solo: "Le minoranze religiose, come i bahai, i cristiani, i musulmani sunniti sono sempre più soggette a varie forme di discriminazione legale, come nell'impiego e nell'educazione, e sono spesso sottoposte a detenzioni, torture e maltrattamenti arbitrari".

Scrive ancora Fariba Kamalabadi: "33 anni fa, a seguito della rivoluzione culturale, fui privata dell'accesso all'università a causa della mia appartenenza religiosa. Da quell'anno tutti i giovani bahai sono stati privati di questo loro diritto. Quest'anno, con l'avvento del nuovo governo e nuovo clima politico con promesse allettanti sui diritti per tutti i cittadini, noi speravamo che tu potessi continuare a studiare in patria". Non è stato così, la figlia di Fariba, come tante altre iraniane, per studiare ha solo una strada: abbandonare il Paese. Come Darya, 21 anni, "scappata" in Italia - dove c'è una forte comunità bahai - per poter frequentare l'università. "In Iran ti lasciano vivere, e ti deve bastare. Se vuoi studiare non puoi. Ti fanno fare il test d'ingresso all'università, ma devi dichiarare la tua religione. Se sei bahai sei fuori. In Iran i giovani non possono decidere di essere quello che vogliono essere". Darya è venuta in Italia con Fatemeh, la sua migliore amica, musulmana: "Non ho paura, anche se dovrei - dice. Sto solo studiando all'estero con un'amica. Penso che le differenze religiose non contino e che la vita, per i giovani dell'Iran, dovrebbe essere più facile".
di Monica Perosino

Niger: strage di migranti, trovati 87 corpi Sette uomini, 32 donne e 48 bambini alla frontiera con l'Algeria

ANSA
I cadaveri di 87 migranti sono stati scoperti oggi nel deserto nigerino a una decina di km dalla frontiera con l'Algeria. Le vittime, 7 uomini, 32 donne e 48 bambini, si aggiungono ai corpi di 5 tra donne e bambine dello stesso gruppo di clandestini, scoperti giorni fa dall'esercito nigerino. Sono tutti morti a inizio ottobre.

mercoledì 30 ottobre 2013

Israele: liberati 26 detenuti palestinesi, una folla accoglie gli scarcerati

www.rainews24.it

La liberazione nel quadro dei negoziati di pace patrocinati dagli Stati Uniti. Il presidente dell'Anp, Mahmoud Abbas, ha accolto a Ramallah 20 dei detenuti liberati, e ha affermato che i palestinesi non firmeranno alcun accordo di pace "finche ci sarà un solo prigioniero dietro le sbarre".
Un'operazione scattata questa notte, che ha portato alla liberazione di 26 prigionieri palestinesi. Una liberazione legata alla ripresa dei negoziati di pace Israelo-palestinesi, lo scorso luglio, e che ha portato ad agosto alla scarcerazione di un primo gruppo di palestinesi. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si è infatti impegnato a rimettere in libertà 104 prigionieri palestinesi, imprigionati prima degli accordi di Oslo del 1993.

Circa 300 palestinesi si sono raccolti al valico di Erez, nella Striscia di Gaza al confine con Israele, per accogliere i detenuti che sono stati rilasciati dalle carceri dello Stato ebraico. Molti alzavano bandiere e cartelli con scritte come "Non dimenticheremo mai i nostri eroi", mentre veniva diffusa musica festosa. Cinque prigionieri sono stati rilasciati nella Striscia, mentre altri 21 in Cisgiordania, dove sono stati accolti dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. La scarcerazione è la prima di quattro previste per dare spinta ai negoziati di pace, in cui in tutto Israele libererà 104 palestinesi che scontano lunghe pene. "Oggi è il giorno della gioia per la famiglia e per la tutta la Palestina", ha dichiarato Tayser Shubair, il cui fratello Hazem era in carcere in Israele dal 1994 per la morte di un israeliano. Il destino dei carcerati è una questione profondamente sentita nella società palestinese, in cui dopo decenni di conflitto con Israele molte famiglie hanno almeno un parente in cella.

Il presidente dell'Anp, Mahmoud Abbas, ha accolto a Ramallah 20 dei 26 rilasciati, e ha affermato che non ci sarà alcun trattato di pace "finché ci sarà un solo prigioniero dietro le sbarre" delle carceri israeliane. Dei 26 ex detenuti, 5 sono stati rilasciati a Gaza, e uno a Gerusalemme est.

Contemporaneamente alla notizia della liberazione, la radio militare israeliana ha annunciato la costruzione di 1500 alloggi nel quartiere di coloni Ramat Shlomo a Gerusalemme est. Secondo la radio, la decisione sarebbe stata appoggiata dal primo ministro israeliano, e dal ministro dell'Interno Saar. Una mossa attesa che arriva non a caso lo stesso giorno della notizia delle scarcerazioni. Un modo per accontentare anche gli ebrei radicali.

Modena: detenuto tenta il suicidio in carcere: salvato dalle guardie

www.modenaonline.info
Emergenza dietro le sbarre, dove disagio e sovraffollamento non trovano soluzione. Tre agenti della polizia penitenziaria riceveranno un encomio.

Un detenuto del carcere Sant'Anna di Modena deve la vita agli agenti della polizia penitenziaria. Solo il loro intervento ha impedito all'uomo di suicidarsi dopo aver legato un cappio rudimentale alle sbarre della finestra della sua cella. 

L'episodio è accaduto nei giorni scorsi e denuncia ancora una volta la situazione di profondo disagio che si vive all'interno dei penitenziari. Gli uomini del comandante Mauro Pellegrino - l'agente di vigilanza e due colleghi - riceveranno un encomio per il loro coraggio e per il loro tempestivo intervento.

Israele rientra nel Consiglio ONU per i diritti umani

Il Referendum
Dopo un anno e mezzo di boicottaggio, Israele ha deciso di rientrare nel Consiglio Onu per i diritti umani e domani parteciperà all’udienza nell’ambito dell’universal periodic review a Ginevra. La procedura avviene ogni quattro anni e consiste in una revisione completa dello stato dei diritti umani nel Paese di turno. Israele aveva saltato l’udienza del 29 gennaio ed era stata sostituita in quella data dal Venezuela.

Dopo un anno e mezzo di boicottaggio, Israele ha deciso di rientrare nel Consiglio Onu per i diritti umani e domani parteciperà all’udienza nell’ambito dell’universal periodic review a Ginevra. La procedura avviene ogni quattro anni e consiste in una revisione completa dello stato dei diritti umani nel Paese di turno. Israele aveva saltato l’udienza del 29 gennaio ed era stata sostituita in quella data dal Venezuela.

Da quel giorno, i negoziati per far rientrare Israele si sono fatti molto più intensi e l’intesa è stata trovata solo all’ultimo momento. Netanyahu ha comunicato la notizia ieri. L’organo ONU temeva che un’assenza di Israele alla revisione programmata avrebbe non solo minato la credibilità del Consiglio, ma anche creato un pericoloso precedente, che Nazioni nel mirino per abusi dei diritti umani, come Corea del Nord, Siria e Iran, avrebbero potuto sfruttare per evitare i controlli.

Israele deve rendere conto delle violazioni commesse nel West Bank e a Gerusalemme Est e si presenterà a Ginevra con un rapporto sulla situazione dei diritti umani nella zona e sulle misure prese dall’esercito israeliano per evitare danni ai civili.


[...]
di Enrico Passarella

Nigeria, rimpatri forzati nel nord est del paese, l'appello dell'Unhcr a Camerun: "Non li cacciate via"

La Repubblica
Il conflitto tra esercito nigeriano e ribelli negli stati nord-orientali di Adamawa, Borno e Yobe ha provocato un deterioramento delle condizioni umanitarie e di sicurezza nella regione, che si trova in stato d'emergenza fin dallo scorso maggio

LAGOS - A seguito della recente escalation di violenza nel nord-est della Nigeria, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha oggi rivolto un monito agli Stati affinché non effettuino rimpatri forzati nella regione. L'Agenzia esorta a tenere aperte le frontiere per i cittadini nigeriani che fuggono dal proprio paese e che potrebbero avere bisogno di protezione internazionale. Queste raccomandazioni sono contenute nel documento di Avviso sui Rimpatri (Return Advisory) - recentemente pubblicato - che mira a garantire il rispetto dei principi umanitari e d'asilo alla luce del peggioramento della situazione nella regione nord-orientale della Nigeria.

Le stime incerte della fuga in massa. Il conflitto tra esercito nigeriano e ribelli negli stati nord-orientali di Adamawa, Borno e Yobe ha provocato un deterioramento delle condizioni umanitarie e di sicurezza nella regione, che si trova in stato d'emergenza fin dallo scorso maggio. Secondo le stime, la violenza avrebbe provocato la fuga di circa 5mila persone all'interno della regione. Tuttavia, poiché l'accesso umanitario è stato ostacolato dagli attacchi, l'UNHCR ritiene che il numero reale di persone colpite possa essere notevolmente maggiore. Negli ultimi mesi, circa 10 mila nigeriani hanno attraversato il confine del proprio paese per cercare rifugio nei vicini Camerun, Ciad e Niger. La maggior parte di loro si è riversata in Camerun: secondo le autorità locali, sono circa 8.100 i rifugiati nigeriani presenti nel paese e continuano ad arrivane di nuovi. A loro si aggiungono 2.700 rifugiati in Niger e 150 in Ciad.

I respingimenti del Camerun. L'UNHCR si dice allarmata dalle notizie sul tentativo dello scorso 5 ottobre di rimpatriare forzatamente 111 persone dal Camerun alla Nigeria. Il gruppo è stato espulso dal villaggio di Amchidé, nella regione camerunense di Far North, verso lo stato di Amadawa in Nigeria. Nel corso della vicenda 15 persone sono state uccise e 7 ferite mentre le altre 89 sono immediatamente fuggite indietro in Camerun e sono state messe in regime di detenzione. L'UNHCR sta collaborando con il governo del Camerun per verificare se nel gruppo siano presenti persone bisognose di protezione internazionale.

Un rientro solo in condizioni di sicurezza. Probabilmente, alla luce della situazione di sicurezza riscontrabile nel nord-est della Nigeria, le persone in fuga dall'area presentano i requisiti per ottenere lo status di rifugiato contenuti dalla Convenzione ONU sui Rifugiati del 1951 e dalla Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA). Pertanto le raccomandazioni contenute nel documento Return Advisory rimarranno valide finché la situazione nel nord-est della Nigeria non migliorerà a sufficienza da consentire a queste persone un rientro in condizioni di sicurezza e dignità.

Usa: sostegno pena morte sceso al 60% Era all'80% alla metàdeglianni '90

ANSA
New York - Il 60% degli americani è a favore della pena di morte per gli omicidi, la percentuale più bassa dal 1972. Lo rivela un sondaggio Gallup. Alla metà degli anni '90, la pena capitale era sostenuta dall'80% della popolazione.


"L'attuale periodo di minor consenso - scrive Gallup - può essere legato alla moratoria della pena di morte in diversi stati, cominciata intorno al 2000 dopo che diversi detenuti del braccio della morte erano stati riconosciuti innocenti".


martedì 29 ottobre 2013

RDC: la vétusté des prisons suscite l’inquiétude

RFI
L’état des prisons est un vrai sujet de préoccupation en RDC. Les bâtiments sont vétustes et la sécurité des détenus peut être mise en défaut par une météo capricieuse. Ces derniers jours, les détenus de la prison centrale de Makala, à Kinshasa, en ont fait l'expérience : à cause des fortes pluies, deux pavillons ont été endommagés et ont dû être évacués.

A l’instar de tous les autres centres pénitentiaires du pays, la prison centrale de Makala a été construite pendant la période coloniale. Plusieurs fois, les défenseurs des droits de l’homme ont dénoncé le délabrement de ces vieux bâtiments.

Les fortes pluies du week-end ont aggravé encore davantage la situation : sur les onze pavillons que compte la prison, deux ont été fortement endommagés. Ils ont menacé de céder, 1 500 détenus ont ainsi craint pour leur vie. Ils ont passé la nuit à la belle étoile et dimanche matin, ils ont été répartis dans les pavillons qui semblent encore tenir. Des pavillons déjà surpeuplés à plus de 80%, selon certaines estimations.

Avec le retour des pluies et le surpeuplement, le pire est à craindre dans la prison centrale de Makala. Il y a quelques semaines, les autorités judiciaires avaient libéré plus d’un millier de prisonniers sur l’ensemble du pays. Histoire, sans doute, de désengorger les centres pénitentiaires.

Russia: migliaia di manifestanti, chiedono liberazione dei detenuti politici

Reuters
Dagli arrestati per le manifestazioni dello scorso anno alle Pussy Riot, da Greenpeace a Khodorkhovsky tutto fa brodo per alcune migliaia di manifestanti che hanno sfilato per le vie di Mosca chiedendo la liberazione dei detenuti politici.
Una manifestazione autorizzata dalle autorità, organizzata dal comitato "6 maggio" che ricorda la grande manifestazione anti-Putin dello scorso anno in seguito alla quale duecento oppositori furono arrestati.

"Putin adesso ha paura che i leader europei non vengano ai suoi corrotti giochi olimpici invernali. Gli atleti verranno, ma i leader politici forse no. E quindi è adesso il miglior momento per mettere pressione perché liberi i detenuti politici", dice Bors Nemtsov, uno dei leader dell'opposizione. 4.500 manifestanti secondo la polizia, 6.000 secondo gli organizzatori. Per loro le ragioni della protesta sono persino ovvie: "Non puoi startene a casa quando regna l'illegalità, quando l'autorità non ha limiti, quando gli innocenti sono dietro alle sbarre e i colpevoli sono giudici", dice un manifestante. 

Il 6 maggio 2012, poco prima dell'insediamento di Vladimir Putin per il nuovo mandato presidenziale, si tenne a Mosca una manifestazione di dimensioni storiche, al termine della quale furono decine i fermati. Ventisette di questi sono ancora in detenzione.

Deserto Niger, 35 migranti muoiono di sete - Nuova tragedia dell'immigrazione, camion bloccato da un guasto

Ansa
Niamey- E' di almeno 35 migranti nigerini morti di sete il bilancio di una nuova tragedia dell'immigrazione, nel deserto tra Niger e Algeria. 



Per ora sono stati trovati i cadaveri di due donne e tre adolescenti, ha detto un ufficiale. Diciannove i superstiti. Il camion su cui viaggiavano si e' bloccato nel deserto.

La gran parte dei migranti morti di sete nel deserto del Niger "erano donne e adolescenti" e i cadaveri "sono stati individuati lungo la strada" da diversi testimoni, ha detto il sindaco di Arlit, nel nord del paese. 

Una conferma arriva anche da un altro sindaco, Rhissa Feltou, di Agadez. Il 15 ottobre "una sessantina di migranti" erano partiti da Arlit a bordo di due camion. Un mezzo si e' fermato per un guasto e l'altro, senza nessuno a bordo, e' partito per cercare pezzi di ricambio e tentare una possibile riparazione dei guasti. I migranti rimasti a piedi si sono divisi in piccoli gruppi "alla ricerca di un'oasi" e "alcuni sono riusciti ad arrivare ad Arlit e avvisare l'esercito". 

Secondo il responsabile della Ong Synergie, Azaoua Mamane, tra i migranti "c'erano famiglie intere, per questo c'erano tante donne e bambini".

lunedì 28 ottobre 2013

Bulgaria: il paese chiede aiuti europei per il problema dei rifugiati siriani


Global Voices
La Bulgaria, essendo il paese UE più vicino alla Siria, sta ricevendo una media inaccettabile di più di 5,000 rifugiati siriani
in fuga ogni giorno. Impreparata e senza esperienza, nell'affrontare l'arrivo di questi flussi di rifugiati in cerca di riparo, cibo e protezione, la Bulgaria ha richiesto assistenza e aiuto finanziario dall'Unione Europea. Intanto, alcuni ministri bulgari hanno proposto, secondo quanto riportato, di utilizzare parte dei nuovi fondi per innalzare una barriera di 30 chilometri lungo il confine con la Turchia per prevenire gli ingressi clandestini.
Il sito Open Democracy riporta nel dettaglio:
Dal punto di vista geografico, la Bulgaria non è così lontana dalla Siria. Confinante con la Turchia, la Bulgaria è lo stato dell'UE più vicino alla Siria per chi viaggia su strada o in treno. Pertanto, essendo il primo punto d'accesso all'Unione, la Bulgaria deve essere ben preparata ad affrontare le sfide derivanti dalle nuove ondate di rifugiati attese nei prossimi mesi. Dal punto di vista geografico, la Bulgaria non è così lontana dalla Siria. Confinante con la Turchia, la Bulgaria è lo stato dell'UE più vicino alla Siria per chi viaggia su strada o in treno. 
Pertanto, essendo il primo punto d'accesso all'Unione, la Bulgaria deve essere ben preparata ad affrontare le sfide derivanti dalle nuove ondate di rifugiati attese nei prossimi mesi. Purtroppo, non sembra questo il caso.[...]
Questa settimana ci si aspetta che la Commissione Europea adotti una risoluzione finale, che deciderà se la Bulgaria riceverà aiuti finanziari per fronteggiare questa situazione. Nel frattempo, Kristalina Georgieva, Commissario europeo per la Cooperazione internazionale, Aiuti umanitari e Risposta alla crisi, ha avvertito che le autorità bulgare mancano di esperienza per far fronte a simili avvenimenti e non sono riuscite in una pianificazione della crisi., non sembra questo il caso.[...]
Questa settimana ci si aspetta che la Commissione Europea adotti una risoluzione finale, che deciderà se la Bulgaria riceverà aiuti finanziari per fronteggiare questa situazione. Nel frattempo, Kristalina Georgieva, Commissario europeo per la Cooperazione internazionale, Aiuti umanitari e Risposta alla crisi, ha avvertito che le autorità bulgare mancano di esperienza per far fronte a simili avvenimenti e non sono riuscite in una pianificazione della crisi.

Immigrazione: “Rifugiati alle porte della Polonia”

PressEurop
“Un numero record di immigrati senza visti, documenti e denaro si presenta ai confini della Polonia”, scrive Rzeczpospolita. Secondo i dati della Guardia di confine nella prima metà dell’anno la Polonia ha respinto 52.000 persone provenienti dall’est, in gran parte russi di origine cecena, ucraini, e georgiani.

L’Ufficio per gli stranieri ha ricevuto una valanga di richieste d’asilo, 14.000 soltanto a ottobre. “Il doppio rispetto all’anno scorso, un record storico”, spiega il capo dell’Ufficio per gli stranieri Rafał Rogala sottolineando i “fattori economici” come causa principale dell’afflusso. Secondo il quotidiano

"la Polonia è soltanto un paese di transito per la maggior parte degli immigrati, diretti in Germania"

Genova - Pontedecimo, bimbo di venti giorni in cella con la mamma

IL SECOLO XIX
Genova - In una cella del carcere di Genova Pontedecimo ha trascorso una notte anche un bambino di appena 20 giorni insieme alla madre, una donna di origine cinese, proveniente dalla Spezia, accusata di sfruttamento della prostituzione «e che aveva ancora i punti di sutura del parto». Lo rivela Roberto Martinelli, segretario generale del Sappe, sindacato della polizia penitenziaria.
«Un fatto assurdo - dice - se si pensa che da più di due anni tutte le forze politiche hanno approvato una legge per effetto della quale le detenute mamme di bambini con meno di sei anni non dovrebbero più stare chiuse in cella, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza” come può avvenire, ad esempio, per i delitti di mafia o per terrorismo».

«La legge - aggiunge Martinelli - prevedeva che in alternativa alla cella si disponesse la custodia cautelare negli “Istituti a custodia attenuata per madri detenute. Mi sembra grave che a Genova non si sia ancora trovato il tempo per individuare una struttura dove realizzare questa nuova tipologia di istituto».

domenica 27 ottobre 2013

Sant'Egidio: a Roma primo forum italiano sulla filantropia



ASCA
In Italia la filantropia viene prevalentemente considerata come un ''rimedio'' ad una scorretta condotta etica. 
E' una tra le caratteristiche della generosita' italiana emerse oggi ai Musei vaticani, a Roma, dove si sono aperti i lavori della prima edizione del Forum italiano della Filantropia. 

Con il tito ''Ricchezza contro poverta''' l'evento e' stato organizzato da Agenda S. Egidio, la Onlus fondata nel 2009 da Maite Bulgari, che sostiene le iniziative contro la poverta' promosse dalla Comunita' di Sant'Egidio. Il Forum - illustra una nota - rappresenta il primo grande confronto internazionale organizzato in Italia tra filantropi, opinion leader e studiosi sulla ''cultura del dono'', ancora poco radicata nel Belpaese, fermo al 57esimo posto nella classifica mondiale del Worl Giving Index 2012 che misura la propensione alle donazioni di tutti i paesi del mondo. 

Oltre ai rappresentanti delle maggiori fondazioni e organizzazioni filantropiche su scala mondiale, al forum sono intervenuti anche il cardinale, Gianfranco Ravasi, Massimo Sarmi (Poste Italiane), Fulvio Conti (Enel). Andrea Riccardi ha presentato il position paper elaborato dal comitato scientifico del forum, mentre Giuseppe Minoia, presidente di Eurisko, ha illustrato i risultati della ricerca qualitativa condotta sulla base delle testimonianze raccolte su campione di 20 grandi filantropi italiani e stranieri: Ne e' emerso che, rispetto all'estero, l'attivita' filantropica nel nostro Paese viene spesso vista come un modo per farsi perdonare qualche comportamento eticamente non corretto. 

Domani il forum proseguira' con un workshop e si concludera' in Vaticano con il concerto esclusivo del Maestro Sir Antonio Pappano che si esibira' con i solisti e il coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia.

Siria: Lega Difesa Diritti Umani; nelle carceri detenute più di 40mila donne

Nova 
Il regime siriano di Bashar al Assad ha nelle sue carceri più di 40 mila e 300 donne detenute. 

È quanto risulta da una statistica effettuata dalla Lega siriana per la difesa dei diritti umani, la quale sostiene che la maggior parte di queste detenute è in pessime condizioni di salute. Il regime di Damasco non ha ancora proceduto alla loro liberazione anche se c'è un accordo, gestito con la mediazione del Qatar, che prevede il loro rilascio in cambio delle recente liberazione di cittadini sciiti libanesi rapiti dai ribelli 17 mesi fa.

USA: il grande business delle carceri minorili private. Pene numerose e severe da giudici collusi con i gestori

Huffington Post 
Una dettagliata inchiesta sul mondo delle prigioni per "bambini" negli Stati Uniti "prigionieri del profitto".
La privatizzazione delle carceri negli Stati Uniti non cessa di dare scandalo, la situazione delle prigioni per minori è pessima, ma un meccanismo ferreo impedisce di mettervi rimedio.
Le carceri minorili statunitensi offrono una panorama che varia da stato a stato come le leggi relative, ci sono quelli che obbligano i giovani a vestire le divise a strisce, considerate "degradanti" persino per gli adulti e ci sono alcune eccellenze, ma il panorama è dominato da pessime prigioni private, un business senza controlli e senza qualità, che un'inchiesta dell'Huffington Post ha cercato d'illuminare ripercorrendo le tracce del più grande tra i fornitori di servizi carcerari della Florida, che ha privatizzato tutte le sua prigioni per minori.

Non è la prima inchiesta del genere, esistono anche siti dedicati che si occupano di monitorare per quanto possibile quello che succede dietro i recinti oltre i quali sono rinchiusi, spesso con motivazioni risibili, una gran numero di minori per lo più figli delle minoranze etniche e dei quartieri più poveri. A peggiorare la situazione si sono aggiunti poi scandali che hanno visto giudici condannati per aver emesso severissime e numerosissimi sentenze abusive ai danni di minori in collusione con i contractor che gestiscono le prigioni.
Che le prigioni minorili in Florida non funzionino non è un'opinione, il tasso di recidiva degli ospiti è del 40% entro un anno dal rilascio, nello stato di New York che non ha prigioni private è del 25%, l'inchiesta spiega perché non funzionano e perché continueranno a non funzionare. Il principale fornitore di servizi carcerari della Florida è prima di tutto quello che spende di più in contributi alla politica, oltre 400.000 dollari in un anno, con i principali concorrenti che si fermano attorno ai 20.000. Un dato che dimostra una certa spregiudicatezza, che l'inchiesta dimostrerà essere il vero filo conduttore che ha guidato l'evoluzione di un fenomeno della privatizzazione.

Il protagonista di questa storia si chiama James F. Slattery, patron della Correctional Services Corp., che poi cambierà nome, e prima ancora di società che si occupavano di fornire alloggio ai disagiati per conto degli stati e in seguito di gestire prigioni per adulti, un business poi abbandonato del tutto per quelle dedicate ai minori. Slattery sbarca in Florida nel 1995, da allora non se ne andrà più, anche se una delle sue prime e principali avventure si rivela un disastro e se le sue referenze sono una scia di contratti finiti male. Gli basta chiudere la prigione finita sotto i riflettori, cambiare nome alla società e ripartire di slancio.

Le condizioni della prigione di Pahokee avevano provocato uno scandalo e attivato un'inchiesta già negli anni '90, che si è estinta con la chiusura dell'istituto, una mossa che ha consentito alla società di aggiudicarsi subito di seguito un altro appalto. Le condizioni a Pahokee erano così drammatiche che il giudice Ron Alvarez da paragonarlo a un piccolo paese controllato da "qualche tipo di potere malvagio". Il potere malvagio è il profitto, perché nelle prigioni di Slattery non ci sono programmi particolarmente afflittivi, secondini divenuti famosi per la loro brutalità, niente di eccezionale, se non una corsa al risparmio della quale hanno fatto le spese i detenuti come il personale addetto, che secondo l'inchiesta ha uno spettacolare turnover di oltre il 90%.

Chi lavora nelle prigioni di Slattery riceve addestramento solo sulla carta e molto di quello che dovrebbe essere registrato su carta in realtà accade solo sulle pagine dei registri. I dipendenti di Slattery sono pagati poco, sono spesso sotto organico e per di più si risparmia anche sul cibo, spesso scarso e di bassa qualità, così come gli operatori che dovrebbero assistere i giovani in percorsi educativi e riabilitativi. Un disastro, che però si perpetua grazie a un meccanismo blindato che tiene la compagnia al riparo dalle peggiori conseguenze. Non è che le magagne alla fine non siano rilevate, ma quando accade lo stato chiude tutte e due gli occhi e si tira avanti, anche se la compagnia in tutta evidenza non rispetta gli impegni contrattuali.

Se poi succede che qualche funzionario diventi fastidioso, succede come all'ultimo che nel 2004 ha stilato un pessimo rapporto per la Thompson, i contractor si sono lamentati che guastasse i buoni rapporti con l'amministrazione, il funzionario è stato spostato e dopo un mese è stato licenziato. Che dalla sua inchiesta emergesse che nessuno dello staff aveva ricevuto l'apposito training e che i ragazzi mangiavano poco, non importa a nessuno. Ora la compagnia di Slattery si chiama Youth Services International e ha ottenuto nuovi contratti come se nulla fosse mai successo e nonostante il turnover degli impiegati nella struttura segnasse un clamoroso 96%, segno evidente che qualcosa non andava. E secondo gli ex dipendenti sentiti da HP riferiscono anche di violenze, infestazioni di formiche e scarafaggi e persino vermi nel cibo. Furono ignorati.

Secondo Jerry Blanton, il controllore licenziato, dice che era "un inferno fin dal primo giorno", ma dal 2004 oltre a quello per Thompson la compagnia ha avuto altri 8 contratti per la detenzione di oltre 4.000 minori, i problemi registrati a Thompson si ritroveranno anche nelle atre strutture del gruppo. Il sistema delle carceri minorili in Florida è il terzo del paese dopo quello di California e Texas, un affare da 183 milioni di dollari all'anno gestito in totale opacità. Slattery tace, la sua azienda non ha risposto a HP e nemmeno lo hanno fatto le autorità preposte, solo una dichiarazione nella quale lo stato ribadisce il suo impegno a che i giovani nel sistema siano sicuri e ricevano l'aiuto previsto e che il controllo dei contratti è la loro massima priorità. In realtà anche il sistema di presentazione e discussione dei reclami è minato alla base, in caso una parola contro l'altra il procedimento è classificato "inconclusive" e si estingue. La parola del detenuto contro quella dello staff, gli piace vincere facile. Nemmeno la chiusura tanto attesa di Thompson ha messo gli affari di Slattery, che a pochi chilometri di distanza ha aperto un'altra struttura grazie al contratto successivo, anche per Thompson la chiusura è bastata a mettere una pietra sopra a quasi un decennio d'abusi.

Quello che emerge dall'inchiesta di HP e dalle riflessioni degli esperti interpellati è che il sistema non è misurato sulle esigenze dei minori, ma su quelle di un sistema che vede i maggiori responsabili del controllo delle carceri minorili andare a lavorare per Slattery a fine carriera, ma anche su un sistema che ora non potrebbe più fare a meno dei servizi di Slattery e concorrenti, se non a prezzo di un pesante ripensamento delle politiche carcerarie, un riconoscimento degli errori e un dibattito che potrebbe anche portare a un ripensamento della scelta privatizzante. Un'eventualità che nessuno dei coinvolti ha interesse a sponsorizzare, semmai l'esatto contrario. Ecco allora che "prigionieri del profitto" diventa la definizione perfetta per i poveri giovani che finiscono in questi gironi infernali.

di Massimo Mazza

sabato 26 ottobre 2013

Irán ahorca a 16 presuntos rebeldes tras la muerte anoche de 17 policías

La Razon
Las autoridades iraníes ahorcaron hoy a 16 presuntos rebeldes en represalia por la muerte anoche de 17 policías de frontera en un enfrentamiento armado en la ciudad de Saravan, en el sureste del país, cerca de la frontera con Pakistán.

"Esta mañana hemos ahorcado a 16 rebeldes en respuesta al acto terrorista que realizaron anoche en Saravan", reveló Mohamad Marzie, fiscal general de la ciudad de Sahedan, capital de la provincia de Sistán Baluchistán, en declaraciones difundidas por la agencia de noticias estudiantil Isna.

"Ya habíamos advertido a los rebeldes y a los grupos enemigos del régimen que si hacían cualquier cosa que perjudicase al pueblo inocente o a los agentes de seguridad o la policía actuaríamos de la misma manera", añadió el fiscal, según la agencia iraní Fars.

Según indicaron a esta agencia fuentes locales no identificadas, el enfrentamiento registrado anoche en la ciudad de Saravan, cercana a la frontera con Pakistán, se saldó con 17 policías muertos, cinco heridos y cuatro capturados.

Por el momento ninguna organización ha reivindicado la autoría del ataque contra los agentes.

En la zona de Sistan Baluchistán suele actuar el grupo armado rebelde suní Yundulá (Ejército de Dios), considerado por Teherán una organización terrorista y del que las autoridades iraníes aseguran haber desmantelado gran parte de su estructura.

En junio de 2010, las autoridades iraníes detuvieron al líder de Yundulá, Abdul Malik Rigi, que posteriormente fue juzgado y ejecutado.

Además de los rebeldes suníes, en Sistán Baluchistán actúan bandas que se dedican al tráfico de armas y drogas procedentes de Afganistán, primer país productor de opiáceos del mundo, lo que provoca también numerosos incidentes armados con las fuerzas de seguridad.

Two Indonesians released from death row in Malaysia

Jakarta Post
President Susilo Bambang Yudhoyono on Thursday said he appreciated efforts to save two Indonesian migrant workers from the sentence of death in Malaysia.

"I extend my gratitude to our embassy in Kuala Lumpur, the lawyers and other government players who have worked hard to have Heni Herawati and Indah Kumala Sari saved from a death penalty sentence," the President said on his Twitter account @SBYudhoyono.

He said that the government had been making every effort to have more than 140 Indonesian migrant workers worldwide freed from death penalty sentences.

"But I really hope that all Indonesian nationals living abroad would obey the law and not commit crimes," he said, as quoted by the Antara news agency.

Yudhoyono further said that if Indonesian nationals abroad had their death penalty sentences commuted, the leaders of those countries would ask the Indonesian government to do the same for their citizens.

Heni Herawati and Indah Kumala Sari have since been released from prison and are now at the Indonesian Embassy in Kuala Lumpur awaiting transit back to Indonesia.

Afrique: Appel à une Session Extraordinaire du Conseil des droits le l'homme sur les droits des migrants en mer

Human Rights Watch
Washington, DC
COMMUNIQUÉ DE PRESSE
Madame/ Monsieur l'Ambassadeur,Nous vous écrivons afin de demander à votre délégation d'envisager de manière urgente de demander la tenue d'une Session Extraordinaire du Conseil des droits de l'homme sur les droits des migrants en mer. L'évènement dévastateur de Lampedusa parle de lui-même, et appelle à une réponse sérieuse au niveau international.
De telles tragédies ne se limitent malheureusement pas à l'Europe: le 27 septembre, un bateau à destination de l'Australie a chaviré au large de l'Indonésie, faisant au moins 30 morts, dont des enfants.

Une Session Extraordinaire pourrait offrir au Conseil des droits de l'homme l'opportunité de demander à un groupe de Procédures spéciales de développer des lignes directrices sur la manière de renforcer la protection des migrants en mer et d'empêcher les violations de leurs droits.

Le droit international et son application aux migrants en mer contient plusieurs zones d'ombres qui gagneraient à être clarifiées par des experts des droits de l'homme de l'ONU.De telles lignes directrices permettraient de clarifier la responsabilité et les obligations des Etats vis-à-vis des migrants en mer, et pourraient permettre d'empêcher d'autres tragédies. Elles seraient en outre très utiles aux ONG comme HRW qui travaillent sur ces questions.

Nous utiliserions ces lignes directrices pour pousser les gouvernements et l'Union Européenne à se conformer à leurs obligations en vertu du droit international et à prendre toutes les mesures nécessaires afin de minimiser les pertes en vies humaines. Comme vous le savez, l'UE examine actuellement les méthodes qu'elle pourrait adopter afin de renforcer sa réponse à cette question.

Ces lignes directrices permettraient d'orienter ces discussions en indiquant quelles sont les normes de protection adéquates et quelles mesures de prévention sont nécessaires.

Nos recherches dans des situations particulières ont mis à jour l'existence de dissuasions des navires commerciaux de répondre à leur obligation juridique de prêter assistance aux personnes en péril en mer.

Madagascar: detenuti esposti a forte rischio contagio di peste bubbonica

Apcom 
La peste bubbonica, la grande pestilenza, il flagello dell'Europa del Medioevo, quella che uccise circa 25 milioni di persone, continua ancora a mietere vittime. 

Il Madagascar ha conquistato lo scorso anno un triste primato mondiale, con 256 episodi di contagi e 60 morti.

 E sembra che il peggio debba ancora venire: il Comitato Internazionale della Croce Rossa e l'Istituto Pasteur hanno messo in guardia il governo malgascio spiegando come i detenuti nelle carceri siano pericolosamente esposti al contagio, e che, stando a quanto ha affermato Christophe Rogier dell'Istituto Pasteur, "le mura della prigione non potranno impedire alla peste di uscire e di invadere il resto della città". 

L'ispezione del Circ ha messo infatti in luce le disumane condizioni di 3.000 detenuti di Antanimora, il principale carcere della capitale Antananarivo, costretti a convivere - in tutti i sensi - con una nutrita popolazione di ratti infestati da pulci. 

"Una prigione non è un luogo sigillato", ha spiegato Evaristo Oliviera del Circ, osservando come anche tutti coloro che lavorano nella prigione, o anche semplici visitatori, possano divenire vettori del bacillo della malattia e provocare un'epidemia tra la popolazione. Ha poi continuato affermando che la malattia, se diagnosticata tempestivamente, potrebbe essere curata con degli antibiotici, ma la scarsità di strutture sanitarie efficienti in Madagascar ostacola enormemente questa possibilità.

venerdì 25 ottobre 2013

Bolivia: 2mila bambini condannati a vivere in carcere insieme alle madri

Radio Vaticana
Si calcola che circa 2mila bambini in Bolivia non hanno altra alternativa se non quella di vivere nelle carceri con le rispettive madri che scontano le loro condanne. 


La vita dietro le sbarre è il prezzo che pagano per stare con le loro madri. Il Governo - riporta l'agenzia Fides - ha iniziato a "liberare" quelli con più di 11 anni a causa dei maltrattamenti che subiscono. 

Nel carcere di massima sicurezza di Miraflores, in pieno centro a La Paz, vivono una centinaia di detenute. Per evitare l'isolamento totale dei loro figli, ogni giorno le maestre li portano fuori. 

A Miraflores la maggior parte dei bambini ha meno di 6 anni, tuttavia nell'intero Paese sono molti i Centri dove anche gli adolescenti vivono in cella con i rispettivi genitori. 

In Bolivia si registra un'ampia lista di denunce di violenze ai minori negli istituti di detenzione. Alcune di queste violenze sono commesse dagli stessi familiari dei piccoli. 

Spesso le situazioni si aggravano a causa dell'abuso di alcool e droghe. Il Governo spera che entro la fine dell'anno gran parte di queste piccole vittime verranno portate fuori dalle prigioni del Paese.

giovedì 24 ottobre 2013

Mali: Elements of military appear to be carrying out a purge and extrajudicial killings of soldiers

Amnesty International
Elements of Mali’s military appear to be carrying out a purge and extrajudicial killings of soldiers who took part in a mutiny last month in a barracks outside the capital Bamako, Amnesty International said today based on its research.
The bodies of four soldiers were discovered earlier this month near the capital and several others, including a Colonel, remain unaccounted for. These apparent extrajudicial executions and disappearances raise fears that soldiers loyal to General Amadou Haya Sanogo, who staged a coup in March 2012, are purging their ranks to quell dissent.

“This is the latest shocking example of how a small group of soldiers who appear to consider themselves above the law continue to cling onto power in Mali,” said Gaëtan Mootoo, Amnesty International's researcher on West Africa.

The organization is calling for the Malian authorities to open an independent and impartial investigation into these very serious events, and ensure that those allegedly responsible for the acts are suspended from duty and prosecuted. Such investigations will be a crucial addition to the efforts to restore the rule of law after the armed conflict in northern Mali.

“It’s appalling to see that despite the election of a democratically elected president in August 2013, a small group of soldiers loyal to the former junta continue to impose terror on their perceived opponents, in total impunity,” said Mootoo.

The soldiers who were allegedly extrajudicially executed appear to have been targeted because they took part in a mutiny on 30 September at the Kati military barracks near the capital Bamako. The soldiers revolted against some officials in the ex-junta, especially its leader General Sanogo, for failing to promote their ranks. In a statement, the soldiers said they decided to take up arms to demand their right to be promoted and to receive payment that was due to them.

One of them, first class soldier (soldat première classe) Lassiné Keita, was arrested by soldiers loyal to the ex-junta in a bar in Bamako on the night of 30 September.

A witness contacted by Amnesty International said: “I was with [Lassiné Keita]. I went out at one point and when I came back I was told that my friend had been taken away by soldiers.”

Lassiné Keita’s body was later found near Kati barracks on 4 October.

The body of another soldier, Dramane Cissoko, was reportedly dropped off at a morgue in Bamako.

Since the mutiny, the whereabouts of Colonel Youssouf Traoré remain unknown and Amnesty International fears that he may have been subjected to enforced disappearance. The corpse of his bodyguard, Salif Meiga, nicknamed “Ganda Koye”, was found with his head severed and his driver is also reportedly missing. Colonel Traoré was one of the leaders of the military junta that overthrew the democratically elected President Amadou Toumani Touré in March 2012.

“It’s deeply troubling how the soldiers allegedly responsible for these extrajudicial executions and enforced disappearances continue to target military personnel or civilians believed to resist or protest against General Sanogo’s de facto rule,” said Gaëtan Mootoo.

In the wake of the 30 September mutiny, some 30 soldiers were arrested and are currently detained at the Camp I of the gendarmerie. Some of them handed themselves over to the gendarmerie to seek protection.

“Any detained soldiers must be protected against torture and other ill-treatment and against any reprisals, including enforced disappearance,” said Gaëtan Mootoo.

Intellectual Disability and the Death Penalty

New York Times
Editorial

Eleven years ago, the Supreme Court banned the execution of intellectually disabled people in Atkins v. Virginia. Ever since, some states have worked to circumvent that ruling by defining intellectual disability using unscientific standards or by making it nearly impossible to prove. On Monday, the justices indicated that they may at last be ready to clarify the Atkins decision by agreeing to considerwhether a Florida law defines intellectual disability too narrowly.

Freddie Lee Hall was sentenced to death for the 1978 murder of a 21-year-old pregnant woman, Karol Hurst. The Florida trial court found that Mr. Hall had been “mentally retarded his entire life,” but capital punishment was not then prohibited in such cases.

Mr. Hall appealed his death sentence following the 2002 Atkins ruling, which held that people with intellectual disabilities are less culpable because of their “reduced capacity” for understanding, reasoning and impulse control. But the Florida Supreme Court ruled against himbecause he scored between 71 and 80 on recent I.Q. tests, and state law requires a score of 70 or lower for a finding of intellectual disability.

Such a “bright line” I.Q. cutoff has been roundly rejected by mental-health experts, who say that the diagnosis of intellectual disability is complex and I.Q. tests are approximate measures but do not provide a complete picture. There is no magic score above which intellectual disability doesn’t exist.

Florida is far from alone in its efforts to undermine the court’s ruling. In Texas, the state’s highest criminal court decides whether a defendant is too disabled to be executed by using unscientific standards based on outdated stereotypes. And in Georgia, defendants must prove intellectual disability beyond a reasonable doubt — an arguably unconstitutional standard no other state uses. In a promising development, the Georgia Legislature agreed last week to reconsider that standard. Rich Golick, a Republican state representative, said, “When you’re an outlier, you really ought not to stick your head in the sand.”

The Supreme Court is right to revisit its 2002 ruling, which gave states too much leeway to define intellectual disability. It should take this opportunity to reaffirm the central principle of Atkins and require states to adhere to medical consensus in defining intellectual disability.

Centrafrica, quei bimbi soldato in ostaggio rapiti in Uganda

Vatican Insider
Parla mons Alule, rettore del seminario di Alokolum: “Dopo il golpe per i bambini soldato diventa più difficile tornare a casa in Uganda"

Arcivescovo incontra esponenti dell'LRA
«Dopo il golpe della Seleka, per i bambini soldato tenuti in ostaggio in Centrafrica è divenuto ancora più difficile tornare a casa». È quanto dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, la fondazione di diritto pontificio che sostiene la chiesa nel mondo, monsignor Cosmas Alule, rettore del seminario maggiore nazionale di Alokolum, nel nord dell’Uganda.

Monsignor Alule racconta alla fondazione pontificia come in passato molti dei ragazzi rapiti e condotti a forza nella Repubblica Centrafricana dal gruppo ribelle Lord's Resistance Army (LRA), riuscissero a fuggire grazie all’aiuto dei soldati ugandesi di stanza in Centrafrica. «Ora però il nuovo governo di Bangui, nato da una fazione della coalizione Seleka, è favorevole al leader dell’LRA, Joseph Kony, ed ha espulso i militari ugandesi dal paese». Il rettore esprime profondo rammarico per la sorte dei tanti giovani costretti a combattere, «quando potrebbero invece rientrare in Uganda, dove la popolazione non vive più nella paura». Secondo il rettore, infatti, l’Esercito di Resistenza del Signore è attualmente più attivo in Sudan e nella Repubblica Centrafricana.

Anche la diocesi di Golu, in ci si trova il seminario di Alokolum, è stata gravemente colpita dalla violenza dell’LRA. L’11 maggio 2003 il seminario minore diocesano è stato attaccato dai ribelli che hanno rapito quarantuno seminaristi con l’obiettivo di costringerli a combattere. È tuttora ignota la sorte di dodici di loro. «Nonostante tutto, continuo a sperare che loro o altri bambini soldato possano riabbracciare le proprie famiglie», afferma monsignor Alule.

Secondo dati dello Human Right Watch, dal 1987 circa 80mila ugandesi sono stati rapiti ed inseriti nelle file dell’LRA. Almeno 38mila di loro erano adolescenti, se non addirittura bambini. Ed è alle migliaia di bambini soldato che dal 2001 si rivolge Radio Wa, la piccola stazione della diocesi di Lira da anni sostenuta da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Nel programma radiofonico Karibu – “benvenuto” in lingua swahili - familiari e amici dei piccoli rapiti hanno la possibilità di mostrare affetto ai propri cari e chiedere loro di tornare a casa. La radio è ascoltata perfino nella boscaglia e grazie alla sua trasmissione almeno mille e cinquecento bambini soldato hanno fatto ritorno a casa.

mercoledì 23 ottobre 2013

Israele: il negoziato tra Israele e l'Anp s'intensifica, liberati altri 32 detenuti

Agi 
Israele rilascerà il prossimo 29 ottobre 32 detenuti palestinesi, in base all'accordo preso tra le parti prima dell'avvio di un negoziato di pace che sembra aver preso un ritmo intenso. 

"Sarà Israele a decidere chi farà parte di questo nuovo gruppo", ha spiegato un portavoce del Ministero degli affari relativi ai detenuti dell'Autorità nazionale palestinese, facendo riferimento alla scarcerazione, avvenuta ad agosto scorso, di 24 detenuti.

 In tutto, man mano che il negoziato va avanti, saranno fuori dalle carceri israeliane 104 palestinesi, messi fuori da una Commissione presieduta dal premier Benjamin Netanyahu.

La liberazione dei detenuti è un ulteriore segnale che il negoziato di pace va avanti e si intensifica. Tra le parti, che nel settembre del 2010 avevano congelato le trattative, vi sono stati circa tredici incontri, tre dei quali negli ultimi quattro giorni. 

"Tutte le questioni sono sul tavolo", aveva affermato il segretario di Stato americano, John Kerry, "e gli incontri si sono succeduti con rilevante ritmo". Kerry aveva anche annunciato che il Qatar erogherà 150 milioni di dollari in favore della riduzione del debito dell'Autorità nazionale palestinese.

Iran: graziato uomo sopravissuto a forca. Trovato vivo dopo l'impiccaggiome.

ANSA
Dato per morto, era stato trovato vivo dopo l'impiccaggiome

TEHERAN, - E' stato graziato Alireza M., l'uomo condannato a morte in Iran ma sopravvissuto alla forca lo scorso 9 ottobre. 

Il caso è stato al centro di polemiche internazionali dopo che i giudici avevano deciso di giustiziare comunque l'uomo: Amnesty International aveva lanciato un appello per scongiurare l'esecuzione. 

Alireza era stato condannato perché trovato in possesso di droghe nel carcere di Bojnord. 

Dato per morto dopo l'impiccagione, era stato trovato ancora vivo il giorno dopo in obitorio.

Tokyo, October 31st, 2013 - Confernce: NO JUSTICE WITHOUT LIFE - Europe against the Death Penalty

  COMMUNTY OF SANT’EGIDIO                                                                 EUROPEAN COMMISSION
NO JUSTICE WITHOUT LIFE
Europe against the Death Penalty – Join the discussion
Tokyo, October 31st, 2013

House of Representatives - First Members’ Office Bldg. 1F
Congress Hall - 10:00 am – 12:30 pm

The World is changing...
Japan is a Partner we want closer and closer...
… There is a Need to create more Bridges!

Joint Appeal of 42 European Ministers
for the Abolition of the Death Penalty

Justice which kills is not justice. Convinced of the inhumanity of the death penalty, the signatory countries represented here are opposed to its application in any circumstances and in any part of the world.

The death penalty is not only an intolerable affront to human dignity, but its implementation involves numerous violations of human rights of prisoners and their families. In addition, capital punishment has no positive impact on the prevention of crime or safety in any way and can not remedy the suffering of the victims and their families.

The abolition of capital punishment is the result of a progressive awareness of a collective effort and constant. This is the path that countries that still carry out executions in the name of justice must take. The determination necessary to achieve the abolition of the death penalty must come from both states by individuals. Thanks to an informed debate and to the fluid exchange of ideas between our countries and our societies the death penalty has now been almost entirely abolished in Europe.
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We are entering a crucial phase in the process of abolition of the death penalty. Currently, about 50 countries still apply the death penalty, while only twenty years ago were more than twice. This positive trend allows us to imagine that the next generation will live in a world without the death penalty and encourages us in our common effort to support countries in their journey towards its universal abolition.

The following Foreign Ministers signed the Appeal:

Ditmir Bushati (Albania), Gilbert Saboya Sunyé (Andorra), Michael Spindelegger (Austria), Didier Reynders (Belgium), Zlatko Lagumdžija (Bosnia and Herzegovina), Kristian Vigenin (Bulgaria), Ioannis Kasoulides (Cyprus), Vesna Pusić (Croatia), Villy Søvndal (Denmark), Urmas Paet (Estonia), Nikola Poposki (Former Yugoslavia Republic of Macedonia), Erkki Tuomioja (Finland), Laurent Fabius (France), Guido Westerwelle (Germany), Evangelos Venizelos (Greece), Eamon Gilmore (Ireland), Gunnar Bragi Sveinsson (Island), Emma Bonino (Italy), Edgars Rinkēvičs (Latonya), Aurelia Frick (Liechtenstein), Linas Antanas Linkevičius (Lithuanian), Jean Asselborn (Luxembourg), George Vella (Malta), Natalia Gherman (Moldova), José Badia (Principality of Monaco), Igor Lukšić (Montenegro), Espen Barth Eide (Norway), Frans Timmermans (Netherlands), Rui Machete (Portugal), William Hague (United Kingdom), Jan Kohout (Czech Republic), Miroslav Lajčák (Slovak Republic), Titus Corlățean (Romania), Pasquale Valentini (San Marino), Ivan Mrkić (Serbia), Karl Erjavec (Slovenia), José Manuel García-Margallo (Spain), Carl Bildt (Sweden), Didier Burkhalter (Switzerland), Ahmet Davutoğlu (Turkey), Leonid Kozhara (Ukraine) e János Martonyi (Hungary).

… From Europe to Tokyo
… to meet with parliamentarians, journalists, Japanese citizens …
… In an open and respectful discussion.

Thursday, October 31st, 10:00 am – 12:30 pm
House of Representatives - First Members’ Office Bldg. 1F - Congress Hall
PART I
Introduction
Alberto  QUATTRUCCI
Secretary General of Peoples and Religions, Community of Sant’Egidio
Key-note addresses
Mario MARAZZITI
Chairman of the Committee for Human Rights to the Italian House of Representatives
Shizuka KAMEI
Member of the House of Representatives of Japan
PART II
Moderator
Pio D’EMILIA
East Asia Correspondent, Sky TG24
Interventions
Mizuho FUKUSHIMA
Member of the House of Councilors of Japan
Nobuto HOSAKA
Mayor of Setagawa
Curtis MC CARTHY
Innocent, exonerated after spending 20 years of his life on Oklahoma Death Row, USA
Yuji OGAWARA
Secretary General of JFBA's Committee on Abolition of the Death Penalty
Hans Dietmar SCHWEISGUT (to be confirmed)
Ambassador of the European Union to Japan
Kaoru TASHIRO
Member of the House of Councilors of Japan

Other contributions are expected…

PART III
Screening of images about the work for
the Abolition of the Death Penalty in the World
Conclusions
Mario MARAZZITI
Chairman of the Committee for Human Rights to the Italian House of Representatives


www.santegidio.org
http://blog.goo.ne.jp/c-santegidio-japan-n2013

For the accreditation of journalists and televisions:
Muneto Nikai – c.santegidio.japan@gmail.com

Please confirm your participation
(together with the number of persons with you) to:

ad2@ad-italia-tokyo.com