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sabato 30 novembre 2013

30 NOVEMBRE "CITIES FOR LIFE" più di 1600 città nel mondo dicono alla NO pena di morte

La Comunità di Sant'Egidio promuove “Città per la vita - Città contro la Pena di Morte”, un evento che il 30 novembre di ogni anno ricorda la prima abolizione della pena di morte da parte del Gran Ducato di Toscana, nel 1786. 

La speranza è che, progressivamente sempre di più, tante altre città si uniscano a una battaglia di vita, di progresso, di umanità. 

 Tutti possono suggerire ai Sindaci la partecipazione alla Giornata Mondiale “Città per la vita – Città contro la pena di morte”. Nuove adesioni da Francia, Germania, Italia, Portogallo, Mozambico e Canada!





venerdì 29 novembre 2013

Libano: oltre 800 mila profughi siriani vivono in baracche o all'aperto

Radio Vaticana
La guerra in Siria continua a costringere centinaia di migliaia di persone a varcare i confini con Libano, Giordania, Iraq e Turchia. Entro la fine del 2013 il numero di profughi in fuga dal conflitto potrebbe salire a oltre 3 milioni con l'avvicinarsi dell'inverno. 


Dal rapporto stilato in novembre dalla Catholic Near East Welfare Association (Cnewa) - ripreso dall'agenzia AsiaNews - emerge che la situazione più drammatica è quella del Libano. Secondo la Banca Mondiale, dal 2011 l'emergenza profughi è costata al governo del Libano almeno 2,6 miliardi di dollari. 

Oggi Najib Miqati, premier libanese, si è recato a Doha (Qatar) per discutere con le autorità e i Paesi arabi impegnati nel sostegno ai ribelli islamisti, la proposta di realizzare una zona dedicata agli sfollati all'interno del confine siriano. 

Tale strategia dovrebbe evitare il collasso economico e politico della società libanese, sempre più in balia degli scontri fra sunniti (pro-ribelli) e sciiti favorevoli al regime di Bashar al-Assad. Le stime Onu parlano di 812mila rifugiati in Libano, ma per il governo essi sarebbero oltre 1,3 milioni, circa un terzo della popolazione libanese (4 milioni di persone). 

Essi provengono soprattutto da Homs, Idlib, Damasco, Aleppo e sono sparsi in 960 campi non ufficiali tra le aree più povere e impervie del Paese. Il 53% dei rifugiati risiede nel nord del Libano, il 42% è concentrato invece nella Bekaa. Il resto dei profughi è distribuito fra Beirut (1%), la zona del Monte Libano (2 %) e il sud del Paese (2 %). Beirut ha scelto di non realizzare campi profughi nel Paese, preferendo ospitare i siriani in abitazioni private o in strutture caritatevoli. 

A chi è in possesso dei necessari documenti viene riconosciuto lo status di rifugiato, ma secondo le statistiche raccolte dalla Cnewa chi fugge appartiene alle fazioni ribelli ed entra in Libano come clandestino. 

L'associazione denuncia che queste persone vivono in condizioni disperate, senza riparo o ammassati in tende e baracche. Nella valle della Bekaa la maggior parte delle famiglie non ha nemmeno servizi igienici e la possibilità di cucinare un pasto. I nuovi arrivati si sono stabiliti in radure fangose e hanno costruito le loro baracche da zero, utilizzando i rifiuti. 

Prima della guerra molti rifugiati lavoravano come medici o insegnanti: ora per sopravvivere raccolgono patate e ortaggi spartendosi le poche aziende agricole della zona in grado di offrire un salario o una paga in natura. La situazione rischia di precipitare con l'arrivo dell'inverno e la Cnewa sta raccogliendo fondi per la distribuzione di materassi, coperte, vestiti caldi, stufe e carburante. Su 2 milioni di siriani rifugiati circa il 52% è composto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 17 anni, nel solo Libano sono oltre 400mila. (R.P.)

Egitto: ragazze condannate a 11 anni carcere per aver manifestato, si dimettono sindacati studenti

Aki
Si sono dimessi in massa i membri dei sindacati degli studenti dell'Università di Alessandria, in Egitto, dopo che 14 ragazze sono state condannate a 11 anni di carcere per aver preso parte a manifestazioni non autorizzate in base alla nuova legge che regola le proteste. 

"Ci siamo dimessi in segno di protesta per i ripetuti attacchi agli studenti nelle università egiziane e per il verdetto ingiusto emesso nei confronti di alcune studentesse universitarie", si legge in un comunicato del sindacato studentesco dell'università di Alessandria. 

Le ragazze condannate ieri per "assemblea illegale e adesione a un gruppo fuorilegge" fanno parte del movimento "7 Elsob (7mattina, ndr)" a sostegno del deposto presidente Mohammed Morsi. Erano state arrestate durante una manifestazione ad Alessandria lo scorso 31 ottobre. 

La sentenza ha sollevato un coro di critiche. "I giudici non possono emettere sentenze così politicizzate", ha detto il Partito di Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, in un comunicato. Anche la Gamaa Islamiya, che fa parte dell'Alleanza in difesa della Legittimità pro Morsi, ha parlato di "sentenza ingiusta che cerca di terrorizzare i cittadini in modo da evitare che contestino il golpe brutale".

Portogallo: Consiglio d'Europa, allarme per carcere Lisbona - Sovraffollamento, condizioni celle, maltrattamenti, minori

ANSAmed
Strasburgo - Un sovraffolammento che arriva a punte del 150%, celle degradate, maltrattamenti da parte delle guardie, e minori che non dovrebbero essere lì. Sono alcune delle deficienze che il Cpt, l'organismo del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura, ha rilevato nel carcere centrale di Lisbona durante la visita condotta nel maggio 2013 e di cui oggi ha pubblicato il rapporto. 

"Il carcere centrale di Lisbona è affetto da un sovraffollamento cronico che tocca tassi del 150%, e le condizioni materiali delle celle sono talmente povere che potrebbero essere considerate una violazione del diritto dei detenuti a non essere sottoposti a trattamenti degradanti e inumani".

Questa è la descrizione fatta dal Cpt della prigione della capitale portoghese, in cui l'organismo di monitoraggio ha raccolto diverse denuncie "credibili" di maltrattamenti subiti dai detenuti da parte delle guardie, un fenomeno contro cui raccomanda la messa in atto di una serie di misure. Infine il Cpt ha espresso "preoccupazione per la sicurezza dei minori" tenuti in questo carcere, e raccomanda "il loro trasferimento in una struttura adeguata e che consenta un regime su misura".

mercoledì 27 novembre 2013

In 50.000 rimpatriati etiopi dall'Arabia Saudita dall'inizio di novembre

MISNA
Sono 50.000 i migranti etiopi che l’Arabia Saudita ha rimpatriato dall’inizio del giro di vite sui lavoratori irregolari, scattato nel paese agli inizi di novembre. Lo ha reso noto il l’ambasciatore di Addis Abeba a Riad, Dina Mufti, secondo cui il numero complessivo, una volta terminato il ponte aereo con cui i migranti vengono riportati nel paese d’origine, raggiungerà quota 80.000.
Nell’ambito delle proteste scoppiate all’indomani dell’entrata in vigore del provvedimento – preceduto da sette mesi di amnistia durante i quali circa 4 milioni di migranti hanno potuto regolarizzare la loro presenza nel regno – tre cittadini etiopi sono rimasti uccisi in scontri con la polizia.

Il governo etiopico ha speso circa 2 milioni e mezzo di dollari per il rimpatrio dei cittadini, la maggior parte dei quali sono donne che in Arabia Saudita lavoravano come aiutanti domestiche.

“In questo momento ci stiamo concentrando sul lavoro necessario per riportare a casa i nostri concittadini” ha risposto Mufti ai giornalisti che chiedevano se la decisione di Riad avrà ripercussioni sui rapporti tra i due paesi. Nei giorni scorsi, un comunicato del governo aveva definito “fraterne” le relazioni con l’Arabia Saudita.

Ogni anno centinaia di migliaia di etiopi, soprattutto donne, si trasferiscono in Medio Oriente in cerca di lavoro come collaboratrici domestiche. Solo nel 2012 circa 200.000 hanno lasciato il paese con questo obiettivo nonostante in diversi casi subiscano abusi fisici e mentali, discriminazione e condizioni di lavoro degradanti.

Con 91 milioni di abitanti, l’Etiopia è il secondo paese più popoloso d’Africa dopo la Nigeria ma anche uno dei più poveri, nonostante tassi di crescita elevati. Secono l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) almeno il 27% delle donne e il 13% degli uomini sono disoccupati.

Iraq: eseguite 11 condanna a morte per "terrorismo", condanne capitali in aumento

Ansa
Le autorità irachene hanno eseguito oggi undici condanne a morte nei confronti di altrettanti detenuti, riconosciuti colpevoli di "atti di terrorismo". 

Lo riferisce l'agenzia ufficiale irachena Nina. Secondo un conteggio dei media locali e stranieri, dall'inizio dell'anno a oggi sono state eseguite in Iraq 162 condanne a morte, mentre l'anno scorso se ne erano contate 129.

Afghanistan vuole reintrodurre lapidazione in caso adulterio

AFP
 L'Afghanistan sta pensando di reintrodurre la lapidazione contro le donne in caso di adulterio, una punizione che era in vigore durante il regime dei talebani: lo ha rivelato l'ong Human Rights Watch e la notizia è stata confermata dal ministero della Giustizia afgano.

 La punizione per i coniugi fedifraghi, assieme alle frustate per i trasgressori non sposati, appare in una bozza di revisione del codice penale del paese centro-asiatico al vaglio dal ministero della Giustizia di Kabul. 

Il capo del dipartimento penale del ministero, Ashraf Azimi, ha confermato che l'uccisione tramite lapidazione è inclusa nella bozza. La clausola della bozza afferma che "la lapidazione deve avvenire in pubblico in una località predeterminata". Se l'adultero o l'adultera non è sposato, la punizione sarà di "100 frustate". 

"E' scioccante che 12 anni dopo la caduta dei talebani, il governo Karzai reintroduca la lapidazione come punizione", ha attaccato Brad Adams, direttore di Hrw per l'Asia, chiedendo al presidente Hamid Karzai di respingere questa proposta immediatamente.

martedì 26 novembre 2013

Medio Oriente: 4.900 palestinesi nelle carceri israeliane, 190 sono bambini

www.infopal.it
Il ministero palestinese dei Prigionieri ha diffuso un rapporto sul numero dei prigionieri palestinesi nelle carceri dell'occupazione israeliana, dichiarando che tra di essi vi sono ammalati, feriti, disabili, bambini, madri e deputati, così come 495 condannati all'ergastolo per una o più volte.
Il rapporto rende noto che il numero dei prigionieri ammonta a 4900, ripartiti in circa 17 tra carceri e centri di detenzione e di fermo e che, tra questi, 190 sono bambini al di sotto della maggiore età.
Si stima che circa 10.000 bambini sono stati arrestati e detenuti in carcere a partire dal settembre del 2010. 

Quattordici prigionieri sono detenuti in cattive condizioni e trattati con durezza senza il minimo riguardo nei confronti della loro privacy e dei bisogni personali. 

Tra questi Lina al-Jarbuni, detenuta da più di undici anni. Inoltre 495 sono quelli condannati all'ergastolo per una o più volte. La condanna più alta è quella di Abdullah al-Barghouti: 67 anni in aggiunta ad un'altra di 250. 

Israele - dichiara infine il rapporto - continua a colpire i deputati. Nelle sue prigioni ce ne sono quattordici, gran parte dei quali in detenzione amministrativa e senza un'accusa ed un processo.

di Salvatore Michele Di Carlo

Russia: sta per essere varata un'amnistia, che farà uscire un certo numero di detenuti

Il Foglio
In Russia (a questo proposito evidentemente meno forcaiola dell'Italia) sta per essere varata un'importante amnistia, che farà uscire dalle carceri un certo numero di detenuti. 

La misura di clemenza verrà annunciata il 12 dicembre, in occasione del ventesimo anniversario della Costituzione, quella fatta approvare da Boris Eltsin nell'autunno del 1993, subito dopo il bombardamento del parlamento ribelle. 

C'è molta attesa nel paese: da settimane si discute sulla stampa su quali potranno essere i criteri, quali tipi di reati verranno inclusi e, soprattutto, quali dei detenuti più noti verranno liberati. 

Da molti commentatori l'amnistia viene vista come l'occasione di un gesto distensivo nei confronti di quella parte dell'opinione pubblica che, negli ultimi due anni, si è schierata contro il Cremlino. 

Del resto, la scorsa settimana, Vladimir Putin ha compiuto un gesto senza precedenti da quando è al potere. Ha incontrato, con grande rilievo mediatico, alcuni dei capi dell'opposizione extraparlamentare, cioè del movimento di protesta di piazza Bolotnaja: tra di essi, il miliardario Mikhail Prokhorov leader della Piattaforma civile, Vladimir Ryzhkov del partito Parnas, Sergei Mi-trokhin di Jabloko. 

È chiaro il tentativo di avviare un dialogo tra il potere e la parte meno estrema dell'opposizione che si è mobilitata nelle piazze. Al termine dell'incontro, dedicato a raccogliere suggerimenti per il discorso che Putin terrà a dicembre sullo stato del paese, tutti si sono dichiarati soddisfatti, da una parte e dall'altra. Si è discusso anche dell'amnistia, e Ryzhkov ha esortato il presidente a liberare i cosiddetti "prigionieri politici", consegnandogli una lista di settanta detenuti compilata dal Memorial per i diritti umani. La lista comprende, tra gli altri, i dodici arrestati nel corso dei disordini di piazza del maggio 2012 e le due Pussy Riot. Putin ha promesso che valuterà "con attenzione" le loro proposte. Si vedrà.

Tanto più che le pressioni provenienti dal paese non sono certo univoche. Anche in Russia le grandi masse non amano i gesti di clemenza. Il presidente dovrà esercitare la propria leadership per trovare un punto di equilibrio tra spinte di segno opposto. "Dovrà stare attento", commenta ad esempio il noto politologo Gregorij Trofimchuk. "A differenza degli occidentali, una ampia parte del popolo russo considera Putin non poco democratico, ma troppo. Altro che clemenza, tutti i sondaggi rivelano che la maggioranza è favorevole al ritorno della pena di morte (mentre Putin è sempre stato contrario). È istruttivo andare a leggere i programmi dei molti nuovi partiti che si sono registrati in seguito alla riforma che ha liberalizzato il sistema politico: gran parte chiedono di restaurare la pena capitale". Cari amici che invocate la caduta di Putin, convinti che ne risulterebbe maggiore libertà, be careful what you wish for.

di Massimo Boffa

Roma - L'assessore al Sostegno Sociale Cutini: i bambini non devono vivere in carcere

AGENPARL

Roma, In occasione della giornata internazionale dell' infanzia e dell' adolescenza, l'assessore capitolino al Sostegno Sociale e Sussidiarietà, Rita Cutini, ha visitato la ludoteca “Le meraviglie di Alice” nel carcere di Regina Coeli. 

“Non è un caso che in una giornata così particolare per i diritti dell’infanzia io abbia voluto essere qui”, ha dichiarato Cutini, che aggiunge “la presenza dei bambini in carcere è un problema grave su cui dobbiamo riflettere ed agire in tempi rapidi. In questi mesi ho incontrato le associazioni che seguono la situazione dei penitenziari e tutte mi hanno messo al primo punto nelle priorità di intervento quella della tutela dei bambini. I piccoli non possono vivere in carcere ma in ambienti idonei alla loro crescita e al loro futuro, come le case famiglie, con le loro madri. Stiamo già dialogando con l’amministrazione penitenziaria per collaborare e risolvere presto questo problema – conclude l’assessore al Sostegno Sociale e Sussidiarietà - e dare un primo segnale verso un processo di umanizzazione delle carceri, partendo dai bambini che non hanno alcuna colpa”.

United Nations Must Tackle the Looming Human Catastrophe in the Central African Republic

Amnesty International
(WASHINGTON, D.C.) - The United Nations must take full account of the human catastrophe of epic proportions unfolding in the Central African Republic (CAR) whenconsidering the options presented by the U.N. Secretary-General on peacekeeping in that country, Amnesty International said.

The situation is worsening on a daily basis in CAR, with extrajudicial executions and other unlawful killings, rape and other forms of sexual violence against women and girls widely committed with total impunity by members of the security forces and armed groups alike.

"The crisis is spinning out of control, despite the fact that it has been ignored by the international community for far too long," said Salil Shetty, secretary general of Amnesty International. "People are dying in the Central African Republic as we speak, and action is needed as a matter of utmost urgency. There is no time to delay."

In an Oct. 30 report, Amnesty International denounced large-scale human rights violations and abuses in CAR. Satellite images the organization published a week later showed the shocking aftermath of abuses, including hundreds of homes that had been burnt to the ground and evidence of mass internal displacement.

The security situation has quickly deteriorated since December 2012, when a coalition of armed groups called Seleka launched an offensive against former President Francois Bozizé. Since Seleka seized power in March, violence by their fighters and armed opposition groups has spiraled out of control in what has now become a largely lawless country.

Tensions and clashes between different ethnic and religious communities are on the rise. The majority of the population is Christian - as was former president Bozizé. The current President Michel Djotodia and most members of the security forces are Muslim, as are former Seleka fighters, who are mostly from the north-east and from neighboring Chad and Sudan.

CAR is awash with small arms and light weapons, with up to 20,000 former Seleka fighters, as well as other armed groups, having easy access to weaponry. Even in the capital Bangui, daytime attacks by armed groups, including killings by former Seleka fighters and current members of the security forces, are more and more common.

In July 2013, the African Union declared that it would deploy some 3,500 soldiers to protect civilians in CAR. By the end of October, approximately 2,600 of these troops have been deployed. France also has troops in CAR and has just announced the deployment of additional forces.

"It is of vital importance that the U.N. work with other members of the international community, in particular, the African Union, the Economic Community of Central African States, and France to ensure that immediate concrete measures are put in place to establish law and order in the country," said Shetty. "The international community must take action before it is too late to ensure that the abuses come to an end and that CAR isn’t catapulted into the international spotlight because it became a human catastrophe."

Amnesty International is a Nobel Peace Prize-winning grassroots activist organization with more than 3 million supporters in more than 150 countries campaigning for human rights worldwide. The organization investigates and exposes abuses, educates and mobilizes the public, and works to protect people wherever justice, freedom, truth and dignity are denied.

lunedì 25 novembre 2013

Iran - Two Women and Four Men Hanged

Iran Human Rights
Six prisoners among them two women were hanged in the prison of Yazd (Central Iran), reported the official site of the Iranian Judiciary in Yazd today.
According to the report the executions were carried out early Thursday morning, 21. November.

The prisoners are identified as "Abdolaziz A." convicted of participation in trafficking and possession of 18 kilograms of opium, 10 kilograms of crack and drug addiction; "Saeed B" for possession and trafficking of 52 kilograms of morphine containing drugs; "Sirus S" for possession and trafficking of 306 kilograms of concentrated heroin and for using opium; "Abolfazl A." for possession of one kilograms of heroin, and two women identified as "A. A." and "R. A." for participation in possession and trafficking of 31 kilograms of concentrated heroin.

According to reports by human rights organizations many of those convicted of drug trafficking are subjected to torture, forced confessions and unfair trials,

Sénégal: levée de boucliers des ONG des droits humains contre une proposition de restauration de la peine de mort

Xinhua
Dakar- Plusieurs organisations sénégalaises de défense des droits humains ont exprimé leur "totale désapprobation" d'une proposition de loi pour le rétablissement au S énégal de la peine de mort, déposée en début de semaine à l'Assemblée nationale par un député de la majorité présidentielle.

Ce député, Seydina Fall, estime que l'application de la peine de mort qui a été abolie en 2004 par l'ex-président sénégalais Abdoulaye Wade, freinera un tant soit peu les criminels qui attentent à la vie des citoyens.

"On se rend compte qu'il y a de plus en plus de meurtres et trop d'agressions et à chaque fois, les coupables se retrouvent libres après au maximum de dix ans de prison, et c'est la famille de la victime qui est perdante", a-t-il expliqué à la presse locale.

Le député, qui affirme qu'il a le soutien de 80 de ses collègues, pense qu'il "est inadmissible qu'un homme tue quelqu'un et se retrouve libre comme l'air après quelques années passées en prison, alors que la famille de la victime a perdu à tout jamais un être cher".

La proposition de loi du parlementaire a immédiatement suscité la colère de plusieurs organisations de défense des droits humains qui estiment que la restauration de la peine de mort serait "une régression du Sénégal".

Ainsi, en réponse au député, le Comité sénégalais des droits de l'homme (CSDH) a exprimé "sa totale désapprobation" de cette proposition de loi.


"La peine de mort est une négation du droit fondamental à la vie, un meurtre par l'Etat avec préméditation et sang froid. C'est un châtiment cruel et dégradant qui est infligé au nom d'une justice d'un autre âge", note le comité, dans son communiqué publié vendredi.

Il a estimé que cette proposition de loi est "un recul grave pour le Sénégal par rapport au respect des principaux instruments de protection des droits humains (..)".

Le comité appelle "solennellement tous les députés, toutes ob édiences et sensibilités confondues, à rejeter avec force cette proposition de loi", invite le gouvernement à "afficher nettement son désaccord par rapport à cette initiative qui constitue une régression sur tous les plans".

De son côté, la Ligue sénégalaise des droits de l'Homme (LSDH) promet d'attaquer la loi devant le Conseil constitutionnel et devant les juridictions supranationales compétentes en matière de droits humains, si elle est votée par l'Assemblée nationale.

Pour sa part, le président d'Amnesty Sénégal, Seydi Gassama, a assimilé la démarche du député à de la "pure démagogie".

Il a soutenu que "la peine de mort n'a jamais permis de lutter contre la criminalité. Il n'y a aucune corrélation entre son application et la baisse de la criminalité".

Toutes ces organisations rappellent que le président sénégalais Macky Sall avait, en août 2012, fermement condamné, les exécutions en Gambie de deux Sénégalais.


Au Sénégal, seuls deux condamnés à mort ont été exécutés depuis l'indépendance en 1960. Il s'agit d'Abdou Ndaffa Faye, reconnu coupable du meurtre d'un député et de Moustapha Lô, qui avait tenté d'assassiner le chef de l'Etat de l'époque, Léopold Sédar Senghor.

domenica 24 novembre 2013

Dramma nel carcere di Capodimonte, detenuto si impicca in cella

Ottopagine.it
Benevento -  Lo hanno trovato impiccato con una coperta alla finestra della cella nella quale era detenuto da qualche tempo. Suicidio, ipotizzano al momento gli inquirenti per la morte di un 29enne originario di Taranto. Il dramma si è consumato ieri pomeriggio nel carcere di contrada Capodimonte. 

A far scattare l’allarme sono stati gli agenti della polizia penitenziaria che durante un normale giro d’ispezione hanno trovato il giovane già morto. Secondo una prima ricostruzione, dopo aver strappato a strisce la coperta che era sul suo letto, il detenuto avrebbe legato un lembo alle sbarre della finestra. A quel punto si sarebbe stretto l’altro capo al collo e si sarebbe lasciato andare. All’arrivo degli agenti, purtroppo, non c’era già più nulla da fare. Inutile l’intervento dei medici della struttura detentiva e dell’ambulanza. 

Su disposizione del sostituto procuratore Nicoletta Giammarino, sul posto è intervenuto il medico legale, la dottoressa Monica Fonzo, che ha effettuato il sopralluogo. Successivamente, al termine dei primi accertamenti, il magistrato ha disposto il trasferimento della salma nell’obitorio dell’ospedale Rummo. Nelle prossime ore sarà eseguita l’autopsia che dovrà accertare le cause della morte. Non è la prima volta che nel carcere di Benevento si registrano episodi del genere. 

Lo scorso 14 ottobre, come si ricorderà, un poliziotto penitenziario aveva salvato un altro detenuto che aveva tentato di togliersi la vita impiccandosi con delle asciugamani. Non era andata così, invece, nell’aprile del 2010 quando un uomo di Napoli, che aveva da poco cominciato a collaborare con la giustizia, si era ucciso utilizzando una calzamaglia sportiva che aveva legato alla porta della cella. Ed ancora, precedentemente, nel 2005, un giovane di Benevento, si era impiccato con i lacci delle scarpe.

sabato 23 novembre 2013

Carcere: Cancellieri, a maggio per detenuti 8 ore aria

Ansa
Il ministro, al lavoro anche per musica e sport
Dal prossimo aprile i detenuti italiani avranno otto ore da poter trascorrere fuori dalla cella invece delle attuali due. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, intervenendo al convegno promosso a Milano dalla Sesta Opera San Fedele su 'Più sicurezza, più gratuità, meno carcere'. 'Stiamo lavorando sul regime di detenzione - ha spiegato il ministro -, prima il detenuto aveva solo due ore di libertà, indipendentemente dal tipo di reato. E' invece importante che escano, perché il punto forte è il lavoro''.
Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, in un convegno a Milano, ha spiegato che, oltre a lavorare per far ottenere ai detenuti otto ore d'aria, invece delle due attuali, il Ministero sta anche ''lavorando con la Siae'' per poter far musica in carcere, ''che è forte elemento di aggregazione''. Il dicastero della Giustizia è anche al lavoro, con le squadre di atleti della Polizia penitenziaria, per fare in modo che, in queste otto ore, i detenuti pratichino anche attività sportive.

Hong Kong : des milliers d'Indonésiennes victimes de traite et d'esclavage domestique

Amnesty International
Dans son rapport, «Exploited for Profit, Failed by Governments», Amnesty International montre comment des agences de recrutement indonésiennes et des agents de placement à Hong Kong se livrent à la traite de femmes indonésiennes dans le but de les exploiter et de les soumettre au travail forcé.
Travailleuses migrantes indonésiennes
 à Hong Kong © AI
On compte plus de 300 000 employés de maison étrangers à Hong Kong ; environ la moitié de ces personnes sont originaires d'Indonésie, et il s'agit dans une immense majorité de femmes.

Attirées par la promesse d'emplois bien rémunérés, ces femmes se retrouvent confrontées à une toute autre réalité.
Enfermées dans le cercle vicieux du travail forcé

En Indonésie, les personnes souhaitant être embauchées comme employées de maison à l’étranger sont obligées de passer par des agences agrées par le gouvernement, notamment pour une formation préalable à leur départ.
Lestari, 29 ans, a décrit ce qui s’est passé lorsqu'elle est arrivée au centre de formation : «J’étais sous le choc. Il y avait de grandes clôtures tout autour et toutes les femmes avaient les cheveux courts. On m’a donné un bout de papier avec quelque chose d’écrit en anglais. Je suis seulement arrivée à lire le nombre 27 millions. Le personnel m’a dit : " Vous devez signer ". Nous étions une trentaine ; nous avons fait comme on nous a dit. Après, ils ont expliqué " Ce que vous avez signé signifie que si vous décidez de partir, vous devrez nous payer 27 millions de roupies [soit environ 2 000 euros]. »
Systématiquement, ces agences, et les négociateurs qui interviennent en leur nom, trompent ces femmes au sujet des frais qu’elles devront verser et des salaires.
Ils confisquent leurs papiers d’identité et d’autres biens à titre de caution, et leur facturent des frais dont le montant excède ce qui est prévu par la loi. L'intégralité des frais doit être versée au début de la formation, d’où les lourdes dettes contractées par les femmes qui veulent se retirer.
"Les agents de recrutement et de placement portent atteinte de manière flagrante à des lois conçues pour protéger des abus les migrantes travaillant comme employées de maison. Du fait de l’inaction quasi-totale des autorités hongkongaises et indonésiennes, ces femmes continuent à être exploitées, sacrifiées sur l’autel du profit »

Norma Kang Muico, spécialiste du droit des migrants d'Amnesty International pour la région Asie-Pacifique.
[...]

Viterbo: detenuto al regime 41bis in attesa di giudizio tenta il suicidio, salvato dagli agenti

Quotidiano della Calabria
Leone Soriano ha tentato di uccidersi impiccandosi con delle lenzuola attorcigliate nel carcere di Viterbo dove è detenuto sotto regime di 41bis in attesa del giudizio in corso presso il tribunale di Vibo Valentia. Soriano è considerato il capo di una delle cosche più attive e feroci del vibonese. Un cappio al collo con le lenzuola attorcigliate.
Appigliato alle sbarre della cella, s'è lasciato cadere. Un suicidio sventato grazie al tempestivo intervento della Polizia penitenziaria. Leone Soriano, presunto boss dell'omonimo clan egemone a Pizzini di Filandari, ha tentato di togliersi la vita nella notte tra l'8 e il 9 novembre. In regime di custodia preventiva da due anni, è sottoposto al 41bis, nel supercarcere di Viterbo, sin dal gennaio del 2012.

È imputato, con l'accusa di essere il presunto promotore di una delle consorterie 'ndranghetiste più spavalde dell'entroterra vibonese, nel processo denominato "Ragno" il cui dibattimento viaggia spedito davanti al Tribunale di Vibo Valentia.

Una relazione sul tentativo di suicidio è stata trasmessa dall'amministrazione penitenziaria al Tribunale di Vibo Valentia. Gli avvocati Diego Brancia e Salvatore Staiano - difensori di Leone Soriano, che avevano già inoltrato al ministro dell'Interno Angelino Alfano istanza di revoca della misura che sottopone l'imputato al carcere duro - informati dell'accaduto dal loro assistito hanno depositato la richiesta al collegio giudicante affinché venga nominato un consulente medico-legale chiamato pronunciarsi sulla compatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione. 

Tale richiesta, depositata nei giorni successivi al tentativo di suicidio, è stata corredata con alcune perizie - sia di parte, sia redatte da consulenti nominati da autorità giudiziarie diverse dal Tribunale di Vibo - dalle quali, rileva la difesa, si evince l'aggravio delle condizioni di salute del detenuto che sarebbe affetto da una grave forma di depressione. Leone Soriano, secondo le ulteriori contestazioni mosse a suo carico nel processo "Ragno", sarebbe il mandante di una serie impressionante di estorsioni, consumate e tentate, attentati, danneggiamenti, violenze, intimidazioni e minacce.

di Pietro Comito

PNG (Papua New Guinea) committed to death penalty

GlobalPost
Enforcing the death penalty is a "necessary pathway" for Papua New Guinea's government to reduce crime, Justice Minister Kerenga Kua said in reports Friday.
Kua, who is also the Pacific nation's attorney-general, shrugged off criticism of the revival of long-dormant capital punishment, saying it was a priority for the Pacific nation if it was serious about reducing rampant crime.

"I maintain that it is the government's position that this was necessary pathway that we had to follow if we were serious about minimising law and order problems in the country," The National quoted Kua as saying.

Kua added the legislation was only directed at a small group of people and that the "mainstream of society did not need to be too concerned about the implications of the death penalty".

"If implemented properly, it should add to creating a more orderly and peaceful society that our people will enjoy," he said.

Papua New Guinea moved to revive the death penalty in May when parliament passed laws allowing execution by a range of methods, including hanging, electrocution, lethal injection, and firing squad.
The country has not carried out an execution since 1954, and inscribed the de facto moratorium into law in 1970, while keeping the death penalty on the statutes for crimes such as treason and piracy.

But parliament voted earlier this year to extend the long-dormant death penalty to cover rape, robbery and murder, drawing criticism from rights advocates around the world.

"I assure the people of PNG that we will not waver from implementing the death penalty," Kua told the house, the Post-Courier newspaper reported.

He added that a delegation had travelled abroad including to the US state of Texas, Thailand and Indonesia, to better understand how to implement the legislation.

Kua said a report from the trip had been compiled and he would assure the people of PNG "that we will be passing legislation for the extreme penalty's usage soon".

Crime in PNG is rampant, including in the capital Port Moresby where in June four Chinese nationals were hacked to death, with one reportedly beheaded and the others dismembered.

Brasile: "Metodologia Apac", ovvero il carcere senza guardie, così si recuperano i detenuti

Corriere della Sera 
In Brasile ci sono tremila detenuti che vivono nelle carceri senza guardie penitenziarie e con le chiavi della cella in mano. Il sistema, inventato da un gruppo di magistrati brasiliani, cerca di evitare che la prigione diventi un'"università del crimine", in cui il detenuto impara a commettere reati ancora più gravi. 

Questi centri di recupero sono gestiti dalle Apac (Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati) e l'effetto è sorprendente: il tasso di recidiva scende dall'85% fino al 10%, i costi si abbassano di due terzi, oltre a garantire ai "recuperandi" condizioni di vita dignitose e un più semplice reinserimento in società.

Nel carcere tutti i lavorano e in giro ci sono posate, coltelli, martelli, strumenti musicali e altre cose che i detenuti del sistema ordinario non si possono nemmeno sognare. E del personale amministrativo fanno parte uomini e donne che nessuna barriera separa dai detenuti dei regimi aperto e semi-aperto. In questo video realizzato dall'Avsi, l'associazione volontari per il servizio internazionale, parlano i detenuti.

I capisaldi del metodo Apac sono amore, fiducia e disciplina. I detenuti sono trattati come persone, ma sono anche responsabilizzati per quello che avviene all'interno della struttura. In caso di infrazioni gravi, come la fuga o l'introduzione di droga o alcolici o telefoni cellulari individuali, aggressioni e furti, a pagare sono tutti i detenuti del regime in cui avviene l'illecito, che si vedono negare privilegi relativi alle telefonate, alle visite familiari e ad altro. Il singolo colpevole viene rispedito per sempre nel sistema comune. 

La tesi è che per recuperare il detenuto occorre far riemergere l'umano che è in lui, sepolto sotto tante cose delle quali il delitto per cui è stato condannato è la più pesante. Schiacciato dalla colpa, un uomo non si redime e non si recupera. Se si comincia togliendo quel peso, tutto diventa possibile. 

Perfino accettare di convivere con quelli che nelle altre prigioni sono gli unici detenuti segregati per non finire linciati: i condannati per stupro e per pedofilia. Ora Brasile e Italia hanno deciso di collaborare attraverso il Programma europeo Euro Social per migliorare i propri sistemi penitenziari e mettere in comune le proprie eccellenze. Da una parte il modello delle cooperative sociali che valorizzano il lavoro dignitoso e produttivo nelle unità carcerarie dall'altra l'esperienza Apac.

A questo scopo venerdì prossimo, il 29 novembre, Avsi che da anni sostiene in Brasile l'esperienza Apac, la Cooperativa Giotto, esempio in Europa in tema di lavoro nel carcere, promuovono un incontro in Senato il 29 novembre con i rappresentanti delle istituzioni e i fautori della "Metodologia Apac". Obiettivo: mettere a punto dispositivi per una detenzione efficace anche in Italia, da inserire nel nuovo "piano carceri" sul modello delle Apac e aprire un confronto sui temi di efficacia e dignità delle pene. Potrà essere questa un'alternativa al sovraffollamento delle carceri? È praticabile? La domanda merita una risposta.

di Monica Ricci Sargentini

venerdì 22 novembre 2013

MSF interviene in Bulgaria: condizioni deplorevoli nei centri di accoglienza a seguito dell’afflusso di rifugiati siriani

RB Casting
Roma, 21 novembre 2013 – A Sofia e ad Harmanli (provincia di Haskovo), l’organizzazione medico umanitaria Medici Senza Frontiere (MSF) ha rilevato condizioni deplorevoli nei centri di accoglienza e una grave carenza di cure mediche per i rifugiati. 

In risposta a questa situazione, MSF ha avviato urgentemente delle attività mediche e la distribuzione di beni di prima necessità in tre centri situati nella capitale bulgara e nel sud-est del Paese. L’organizzazione chiede alle autorità bulgare ed europee di trovare soluzioni urgenti e concrete per migliorare le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo. Da gennaio, quasi 10.000 migranti, la maggioranza rifugiati siriani, sono arrivati in Bulgaria. 

Numerose famiglie siriane in fuga dalla guerra giungono spesso esauste dopo aver sfidato i controlli al confine tra Turchia e Bulgaria. “Oggi l’accesso verso l’Europa è diventato una missione quasi impossibile per i rifugiati, compresi i siriani in fuga dagli orrori della guerra. La costruzione di muri in Grecia e Bulgaria spinge i più disperati a prendere le vie più pericolose, come quelle attraverso le isole del Mar Egeo”, dichiara Ioanna Kotsioni, capo missione di MSF in Bulgaria. 

Al loro arrivo in Bulgaria, centinaia di persone non hanno altra scelta che dormire in tende non riscaldate, mentre altre sono stipate all’interno di edifici scolastici in disuso dato che i centri d’accoglienza non sono in grado di far fronte alla situazione. “Nonostante le misure messe in atto dalle autorità bulgare, le condizioni di accoglienza sono inaccettabili. Queste persone vivono in spazi sovraffollati, a volte con un solo servizio igienico a disposizione di 50 persone. Ma, cosa ancora più allarmante, può accadere che queste famiglie non ricevano abbastanza cibo”, prosegue Ioanna Kotsioni. 

[...]

Cina: al bando le confessioni estorte con la tortura

La Stampa
"Utilizzare il freddo, la fame, esporre lungamente al sole, ustionare, estenuare e altri metodi illegali per ottenere le confessioni devono essere eliminati". Lo dice un documento pubblicato ieri dalla Corte Suprema cinese, che condanna l'utilizzo della tortura, ancora molto esteso in Cina. Le confessioni così ottenute, aggiunge, "devono essere e saranno considerate nulle dai tribunali". Il documento è stato accolto dalle organizzazioni per i diritti umani come "un passo nella giusta direzione", per quanto facciano notare che la tortura non era legale nemmeno prima, anche se largamente utilizzata.
"Molto importante in questo documento - spiega Nicholas Bequelin, di Human Rìghts Watch - è il linguaggio semplice e accurato, senza ambiguità, che dettaglia che cosa sia la tortura utilizzata finora, dichiarandola inaccettabile. È il linguaggio di una direttiva". Il documento arriva dopo diversi annunci per la riforma del sistema legale usciti dal Terzo Plenum del Partito Comunista, conclusosi 10 giorni fa, fra cui quello di abolire i Campi di Rieducazione tramite il lavoro, e di arginare l'utilizzo della pena di morte, diminuendo il numero di crimini punibili con essa.

Giustizia: l'Italia nel mirino di Strasburgo per maltrattamenti sui detenuti

Ansa
In Italia succede troppo spesso che persone fermate dalle forze dell'ordine o incarcerate subiscano maltrattamenti ed anche che le indagini su questi episodi, quando condotte, finiscano senza l'individuazione di precise responsabilità. Questa, in sintesi, la denuncia contenuta nei due rapporti sul Belpaese pubblicati oggi dal Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d'Europa dopo il via libera giunto dall'Italia.


Nei rapporti - redatti sulla base di visite condotte nel nostro Paese nel 2010 e 2012 - oltre che sui maltrattamenti, il Cpt ritorna anche sulla questione del sovraffollamento dei penitenziari, definito nel caso della prigione di Bari "inaccettabile", e sul regime del 41bis, che non deve essere eliminato ma rivisto. Ma è sui maltrattamenti subiti da persone arrestate o incarcerate e sulle misure che l'Italia deve adottare per individuare, indagare e condannare questi casi che i due rapporti si concentrano. Per dimostrare che le autorità non stanno facendo tutto ciò che dovrebbero contro i maltrattamenti il Cpt elenca nei due rapporti una serie di casi.

Dalle denunce ricevute soprattutto da persone straniere percosse nella maggior parte dei casi dalle forze dell'ordine nella zona di Milano, a quelle ricevute nella prigione di Vicenza sui maltrattamenti inflitti dalle guardie penitenziarie, o quella di un tunisino picchiato perché, per non essere rimpatriato, aveva ingoiato delle pile. Nel rapporto 2010, pur non facendo i nomi (a cui però si può risalire facilmente in base ai particolari riportati) ma riferendosi solo al "caso A" e "caso B", il Cpt analizza nel dettaglio anche le vicende di Stefano Cucchi e Mario Gugliotta.

Oltre a quella, indicata come "caso C", di un detenuto maltrattato nella prigione di Castrogno (Teramo). Attraverso tutti questi esempi il Comitato mette in luce il fatto che spesso i maltrattamenti passano inosservati. E anche quando sono oggetto di indagine, queste raramente portano a delle condanne. Per rafforzare questa sua tesi, il Cpt evidenzia che nel caso di Cucchi e Gugliotta il magistrato davanti al quale furono portati i due non verbalizzò la presenza di lesioni, ne richiese una visita medica immediata, da cui poter trarre elementi per aprire un'indagine. Il Cpt è critico pure sui risultati delle indagini che vengono condotte.

Sempre nel caso Cucchi, il Comitato domanda al governo italiano come mai sia stata scartata in fase d'inchiesta l'ipotesi che l'uomo possa essere stato maltrattato prima di arrivare al tribunale di Roma. E per il caso del carcere di Castrogno, sottolinea che l'inchiesta è stata chiusa nonostante ci fosse una registrazione che provava i maltrattamenti. Il Cpt punta poi il dito sulla mancata apertura di un'inchiesta nonostante che nel 2012, nell'arco di due mesi, al carcere di San Vittore vennero redatti ben 18 referti medici su altrettante persone che quasi certamente erano state maltrattate prima di arrivare lì. Infine il Comitato, nel rapporto 2010, critica in modo esplicito il processo sulla vicenda di Bolzaneto e della Diaz durante il G8 di Genova. Secondo il Comitato "il risultato del processo mette in dubbio l'efficacia del sistema che deve determinare le responsabilità delle forze dell'ordine e del personale penitenziario per i maltrattamenti".

giovedì 21 novembre 2013

Sri Lanka: per la prima volta, sì a un’indagine (governativa) sulle violazioni ai diritti umani

Asia News
Lo ha annunciato la Commissione per i diritti umani, ente statale nato di recente. All’inchiesta parteciperanno esperti locali e del Commonwealth. Per il premier britannico si tratta di un provvedimento “insufficiente”, e sollecita Colombo ad accettare una commissione d’inchiesta del tutto indipendente.
Colombo - Per la prima volta, il governo dello Sri Lanka ha accettato di condurre un'indagine nazionale sulle violazioni dei diritti umani avvenute dal 2009 a oggi, con l'assistenza tecnica del segretariato del Commonwealth. Lo ha annunciato oggi la Commissione per i diritti umani (Hrcsl, Human Rights Commission of Sri Lanka). La mossa risponde alle pressioni della comunità internazionale, dopo il recente incontro dei leader del Commonwealth (Chogm). Tuttavia, il Regno Unito ha già espresso disappunto per questa decisione, riferendo di voler vedere un'inchiesta indipendente sulle presunte violenze avvenute durante la guerra civile. Anche le vittime del conflitto hanno dichiarato di "non aver fiducia" in questa indagine.

In base agli accordi presi, una delegazione del Commonwealth - che comprende rappresentanti della Divisione per i diritti umani - arriverà a Colombo il prossimo 2 dicembre. L'inchiesta avrà una durata di 18 mesi. Secondo Prathibha Mahanamahewa, direttore della Hrcsl, quest'indagine sarà del tutto indipendente proprio grazie alla presenza di esperti locali e stranieri.

Tuttavia, il primo ministro inglese David Cameron ha dichiarato che un'inchiesta portata avanti dal governo dello Sri Lanka non potrà mai essere "del tutto indipendente", perché vi parteciperanno anche militari direttamente coinvolti nelle presunte violazioni.

Anche molte vittime della guerra civile non credono nell'efficacia del provvedimento: "Non abbiamo fiducia in questa indagine nazionale perché ce ne sono stati troppi di provvedimenti simili, avviati dal governo su diverse questioni, che non hanno portato ad alcun risultato".

di Melani Manel Perera

Stati Uniti: detenuto Guantánamo "lasciateci morire in pace... o dite al mondo la verità"

Huffington Post
"Siamo stanchi, per favore lasciateci morire in pace o dite al mondo la verità". 


Un urlo straziante, disperato. È quello di Shaker Aamer, ultimo detenuto inglese recluso nel carcere di massima sicurezza di Guantánamo, raccolto dalle telecamere di 60 Minutes, il programma di inchieste giornalistiche della Cbs, che per prima ha avuto accesso al penitenziario. Da undici anni a Guantánamo, Ammer è uno degli ultimi 164 detenuti ancora rinchiusi nel carcere. Il volto della prigione non è più quello conosciuto negli anni dell'amministrazione Bush, ma le condizioni di reclusione sono ancora durissime, come testimoniano le esclusive immagini di 60 Minutes. Ed è proprio nel corso di una delle interviste registrate dalla giornalista Lesley Stahl che i microfoni intercettano lo sfogo di Aamer: "Per favore colonnello, ci tratti come degli esseri umani, non degli schiavi". Grida raccolte senza la possibilità di mostrare il volto del detenuto. "Non possiamo camminare neanche mezzo metro senza le catene. È questo un trattamento da esseri umani o da animali?"

Immagini molto forti che mostrano anche una breve rivolta dei detenuti contro le porte delle celle in un'ala di massima sicurezza mentre è in corso l'intervista. Immagini che la stessa giornalista si sorprende non siano state censurate dall'Esercito. "Lo abbiamo fatto per le guardia, per mostrare a tutti che cosa devono fronteggiare", le risponde il colonnello John Bogdan, capo della base.

Carcere: Marazziti, amnistia sarebbe sacrosanta - Dibattito parlamentare bloccato da ossessione carcero-centrica

ASCA
Roma,  ''L'allarme lanciato dall'ispettore generale dei cappellani del carcere italiani, don Virgilio Balducchi, circa la debolezza del Parlamento italiano su un provvedimento necessario e importante come l'amnistia e' sacrosanto. Condivido le sue parole a proposito della 'resa delle forze politiche' e del 'Parlamento che non avendo la forza e i numeri per proporre un'amnistia fa cadere l'appello di Napolitano, almeno per ora, nel vuoto'''. 

Lo dichiara in una nota il deputato di Scelta Civica Mario Marazziti.
''Il carcere di oggi e' illegale e produce illegalita'' - sottolinea Marazziti -, aggiunge la disumanita' di condizioni di vita non previste nelle sentenze da scontare. E, soprattutto, produce recidiva in due casi su tre, per la scarsita' di risorse per i percorsi di reinserimento sociale e la resistenza di troppi a pene alternative. Ho sostenuto da tempo la necessita' dell'amnistia, fin dalla scorsa legislatura, assieme ai provvedimenti che con chiarezza il presidente Napolitano ha indicato come passi indispensabili per restituire al carcere la sua funzione di sanzione e riabilitazione, e non una vergogna nazionale, come invece e''', aggiunge Marazziti.
''Ho presentato il progetto di legge per l'abolizione dell'ergastolo, che ancora coinvolge 1200 detenuti in una detenzione senza fine, in Italia, senza che il Paese ne sia consapevole. Purtroppo, una ossessione 'carcero-centrica', il dibattito bloccato sulle questioni della giustizia e sulle questioni giudiziarie del sen. Berlusconi, assieme a tentazioni gregarie verso i tanti populismi e le tante semplificazioni del momento bloccano, sul tema dell'amnistia, anche forze illuminate. Spero che anche nella leadership dei nostri alleati della maggioranza si affermi un coraggio maggiore, prendendo esempio dal Presidente della Repubblica.
Con altri colleghi - conclude Marazziti - lavoreremo perche' cio' accada presto''.


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Carceri: capo cappellani, in parlamento e' resa su amnistia don Balducchi, appello Napolitano nel vuoto, detenuti attendono un segno che non arriva

mercoledì 20 novembre 2013

Carceri: capo cappellani, in parlamento e' resa su amnistia don Balducchi, appello Napolitano nel vuoto, detenuti attendono un segno che non arriva

Adnkronos
Roma, ''C'e' una specie di resa delle forze politiche: il Parlamento non ha la forza e i numeri per proporre un'amnistia. Cosi' l'appello di Napolitano, almeno per ora, e' caduto nel vuoto''


Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane non fa mistero di sentirsi ''molto dubbioso'' sui provvedimenti di clemenza per fronteggiare l'emergenza sovraffollamento nelle prigioni. ''Le Camere -aggiunge- si stanno occupando di altro, e questo tema e' sparito dall'agenda politica. Guardando i pronunciamenti dei partiti, sia a destra sia a sinistra, non ci sono i numeri sufficienti e il coraggio per rendere proponibile questa soluzione. E intanto l'Europa sollecita interventi''.

Il Presidente della Repubblica, fa notare, ''ha fatto tutto cio' che era possibile, ma il suo appello e' rimasto per ora inascoltato''. ''Nel frattempo -rimarca don Balducchi- in carcere l'attesa dei detenuti resta viva. Ma dietro le sbarre comincia a serpeggiare anche una sorta di rassegnazione. Si spera si realizzino almeno altre misure alternative che portino a deflazionare le presenze, come la semiliberta', la detenzione domiciliare e la minor custodia cautelare''.

''I detenuti -conclude il capo dei cappellani delle carceri- avvertono l'esigenza di sentire che si stia facendo qualcosa di concreto. Non so a cosa potrebbe portare la loro delusione, ma i cappellani vedono tanti volti tristi. In prigione ci sono migliaia di persone che soffrono, aspettano un segno che non arriva''.


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Annulation d'une peine de mort dans une affaire de stupéfiants à Singapour : une décision qui fera date

Amnesty International
La substitution en peine de détention à perpétuité de la peine capitale qui avait été prononcée contre un homme déclaré coupable de trafic de drogue à Singapour est une avancée historique, mais cette décision doit s'accompagner de la poursuite des réformes.
Yong Vui Kong, un Malaisien âgé de 25 ans, se trouve dans le couloir de la mort à Singapour depuis son arrestation pour infraction à la législation sur les stupéfiants, il y a six ans. Le 14 novembre, une haute cour a réduit sa condamnation à mort en peine de réclusion à perpétuité assortie de 15 coups de badine.

"Il s'agit d'une décision historique."
Roseann Rife, directrice de la recherche sur l'Asie de l'Est à Amnesty International
"C'est probablement la première fois qu'une personne condamnée à mort au titre des dispositions draconiennes de la législation singapourienne en matière de stupéfiants voit sa peine réduite. »"
Aux termes de la législation en vigueur lorsque Yong Vui Kong a été condamné, le fait qu'il détenait au moment de son arrestation 47 g d'héroïne était constitutif de trafic de stupéfiants, une infraction entraînant obligatoirement l'application de la peine de mort, ce qui est contraire au droit international.
Le Parlement de Singapour a adopté le 14 novembre 2012 des modifications à la législation et supprimé l'imposition obligatoire de la peine capitale dans certaines affaires de meurtre et de trafic de stupéfiants.

Yong Vui Kong n'aurait jamais dû passer six ans de détention dans le quartier des condamnés à mort pour une infraction n'entraînant pas la mort et qui, aux termes du droit international, ne doit pas être punie de la peine capitale. Il faut par ailleurs lui épargner les 15 coups de badine, car cette sanction est une peine cruelle, inhumaine et dégradante.

Yong Vui Kong est l'un des 34 prisonniers dont le cas devait être réexaminé à la suite de la modification de la législation. Quatre seulement ont vu pour l'instant leur peine réduite cette année. Yong Vui Kong est le premier qui avait été condamné dans une affaire de drogue.
"Il faut maintenant que les autorités singapouriennes donnent suite à la décision de ce 14 novembre et ouvrent un véritable débat sur la peine de mort, en vue de son abolition. Nous espérons que d'autres substitutions de peine vont intervenir et que le moratoire sur les exécutions décidé en 2012 va être prolongé indéfiniment. Singapour doit en finir une bonne fois pour toutes avec l'imposition obligatoire de la peine de mort pour les infractions à la législation sur les stupéfiants. »"

Roseann Rife

Siria Onu, diritti umani violati da autoritá siriane e da gruppi armati ribelli.

ANSA
Assemblea generale adotta nuova risoluzione, condanna bipartisan

NEW YORK,- La terza commissione dell'Assemblea Generale dell'Onu ha adottato una risoluzione sulla situazione umanitaria in Siria nella quale "si condannano fermamente le continue violazioni dei diritti umani e delle liberta' fondamentali nel Paese mediorientale da parte sia delle autorita' siriane e delle milizie Shabiha - legate al governo di Damasco - sia dei gruppi armati ribelli". Richiesta inoltre la fine delle restrizioni

North Korea - The death penalty for possessing a Bible

Death Penalty News
North Korea executed 80 people, in some cases, tying them to stakes and machine-gunning them before 10,000 spectators of all ages assembled in a sports stadium. Among the crimes: possessing a Bible.

Some 80 people were publicly executed earlier this month in 7 cities in North Korea excluding Pyongyang, the first known large-scale public executions by the Kim Jong-un regime, the JoongAng Ilbo reported.

The executions occurred on Sunday, Nov. 3, according to a source familiar with internal affairs in the North who recently visited the country.

The people were executed for relatively light transgressions such as watching South Korean movies or distributing pornography.

About 10 people were killed in each city, which included Wonsan in Kangwon Province, Chongjin in North Hamgyong Province, Sariwon in North Hwanghae Province and Pyongsong in South Pyongan.

In Wonsan, 8 people were tied to a stakes at a local stadium, had their heads covered with white sacks and were shot with a machine gun, according to the source.

According to witnesses of the execution, the source said, Wonsan authorities gathered some 10,000 people, including children, at Shinpoong Stadium, which has a capacity of 30,000 people, and forced them to watch.


"I heard from the residents that they watched in terror as the corpses were riddled by machine-gun fire that they were hard to identify afterwards."


The Wonsan victims were mostly charged with watching or illegally trafficking South Korean videos, being involved in prostitution or being in possession of a Bible.




Read more: http://deathpenaltynews.blogspot.com/2013/11/the-death-penalty-for-possessing-bible.html#ixzz2lALkKQ6a

martedì 19 novembre 2013

Lebanese Black Market: Syrian Refugees Sell Organs to Survive

DER SPIEGEL
In the shadow of the Syrian civil war, a growing number of refugees are surviving in Lebanon by illegally selling their own organs. But the exchange comes at a huge cost.
A young man Syrian refugee named Raïd,
shown here, recently sold his kidney as part
of a growing illegal organ trade in Lebanon.
The young man, who called himself Raïd, wasn't doing well. He climbed into the backseat of the car, in pain, careful not to touch any corners. He was exhausted and dizzy. A large bandage looped around his stomach, caked with blood. Despite that, the 19-year-old Syrian wanted to tell his story.

Seven months ago, he fled the embattled city of Aleppo, in Syria, to Lebanon with his parents and six siblings. The family quickly ran out of money in the capital, Beirut. Raïd heard from a relative that the solution could be to sell one of his kidneys, and then he spoke to a bull-necked man, now sitting in the passenger seat, smoking and drinking a beer.

His acquaintances call the man Abu Hussein. He said he's employed by a gang that works in the human organ trade - specializing in kidneys. The group's business is booming. About one million Syrians have fled into Lebanon because of the civil war in their home country and now many don't know how they can make a living. In their distress, they sell their organs. It's a dangerous and, of course, illegal business. That's why the gang has its operations performed in shady underground clinics.

Abu Hussein's boss is known in the poor areas of Beirut as "Big Man." Fifteen months ago, Big Man gave the 26-year-old a new assignment: find organ donors. The influx of Syrian refugees from the war, Abu Hussein's boss argued, made it more likely people would be willing to sell organs.

'More Sellers Than Buyers'
Lebanon has a tradition of illegal organ trading. The country has immensely rich people and a huge number of people living in poverty. And organ traffickers don't need to worry about government controls. Those are exactly the ideal conditions for organ trafficking, said Luc Noel, transplant expert at the World Health Organization in Geneva.

Every year, tens of thousands of rich Arabs from around the region come to Beirut for treatment in the country's excellent hospitals. The authorities don't pay attention whether a patient flies home with a new nose -- or with a new kidney.

Previously, it was mostly destitute Palestinians who sold their organs. Then came the war in Syria, and then the refugees. Now the groups are in competition and the prices are falling.

"When it comes to kidneys, we now have far more sellers than buyers," said Abu Hussein. He added that four of the Big Man's other recruiters have brokered the sales of 150 kidneys in the past 12 months. According to Abu Hussein, other gangs are doing similarly well.

Experts estimate that 5,000 to 10,000 kidneys are illegally transplanted per year worldwide. "Many of our products go abroad to, for example, the Persian Gulf," said Abu Hussein. But Big Man also has customers in the US and Europe, he said.

Enough to Survive On Until Spring
Raïd had no trouble selling his left kidney because he was fit and didn't smoke. He played for the Syrian national youth soccer team. During the examinations doctors told him lies evidently meant to calm him down. With a little luck, the kidney would grow back, he was told, and there wouldn't be any after-effects. In truth, live donors need to undergo check-ups for years after the operation, and people like Raïd can't afford that kind of treatment.

He got $7,000 (€5,200) for his kidney. "While I drove Raïd and his mother to the clinic, a colleague of mine was shopping with the father," says Abu Hussein. The family lacked everything: Raïd's father bought mattresses and winter clothing, a fridge and an oven, and took it all to the one room the family of eight lives in today. They have enough left over to get through the winter. And then? "I don't know," says Raïd.

Abu Hussein says everyone benefits from the organ trade. The Syrians get money and the sick -- who pay up to $15,000 for a new kidney -- get a new life. He himself wins too, he added. He gets $600 to $700 commission for every sale he arranges. That's as much as a Lebanese teacher earns in a month.

'I Don't Care If You Die'
Abu Hussein said that in the last few months he has driven 15 or 16 kidney donors - all of them Syrians aged between 14 and 30 - to the secret clinic masquerading as a residential building. The clinic has the most modern medical equipment and doesn't want to limit itself to kidneys. "I'm currently looking for someone who has an eye for sale."

Later that evening it became evident not everyone benefits from this trade. Raïd, sitting in the back of the car, was feeling unwell. His kidney had been cut out from the front, seven days ago. "I need the drugs. You said you would get me the drugs," he said to Abu Hussein who just minutes earlier had been bragging how well his organization took care of the Syrians.

But when Raïd asks for painkillers, Abu Hussein shouts at him: "Shut up. I don't care if you die. You're finished anyway."

Giornata dei Diritti dell'infanzia ricordando i bambini dei detenuti

New Tuscia
Il 20 novembre, in occasione della Giornata Mondiale per i Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, che questo anno compie il suo 23° anniversario da quando fu approvata dalle Nazioni Unite la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia,

Iniziative dell'Onlus La Cecilia nelle ludoteche degli istituti di pena del Lazio che vogliono essere un momento di riflessione su quelli che sono i diritti di questi bambini e sui problemi che sono costretti a vivere quotidianamente, affinché le istituzioni nazionali e locali vi pongano la giusta attenzione per promuovere un cambiamento radicale anche a livello normativo affinché tali diritti siano effettivi ed esigibili nel quotidiano. Come vivono i bambini e le bambine non istituzionalizzati, “invisibili”, figli di detenuti? Quali sono le condizioni di quelli stranieri che non possono avere l’opportunità nemmeno di recarsi in carcere a far visita al proprio genitore detenuto di cui non conoscono nemmeno il volto e il luogo di detenzione? Per un bambino o una bambina far visita al genitore detenuto significa attese interminabili, umilianti, imbarazzanti; significa traumatizzanti perquisizioni, paure, incontri in ambienti disumani e sotto continuo controllo.

I dati forniti dal DAP aggiornati al 30 giugno 2013 di un totale di figli dichiarati all’ingresso in carcere di 25.119 di cui: 7.826 chi ha un solo figlio, 8.621 chi ne ha due, 5.243 chi ne ha tre, 2.066 chi ne ha quattro, 752 chi ne a cinque, 307 chi ne ha sei, 304 chi ha oltre i sei figli. 

Questi numeri ci parlano di un fenomeno importante che riguarda decine di migliaia di persone, adulti e minori, che quotidianamente si trovano dentro e fuori del carcere ad affrontare problemi insormontabili di carattere sociale, giuridico, culturale, economico. Poche organizzazioni come la nostra si battono da anni in Italia perché le istituzioni e gli enti locali intervengano concretamente. Il figlio di genitori detenuti vive una situazione “deviata” costretto alla totale assenza di un genitore perché recluso e la parziale presenza dell’altro perché chiamato a volgere in ruolo di supplenza anche i compiti del coniuge detenuto.

Oggi dobbiamo chiederci quanto, pur se la convenzione internazionale sui diritti del fanciullo stabilisce che l’interesse dello stesso debba essere preminente su ogni decisione sia essa istituzionale che privata, la nostra legislazione, i regolamenti penitenziari rispettano questi diritti. Perché c’è una evidente contraddizione tra il rispetto dei diritti del fanciullo e la sua separazione forzata da un genitore perché detenuto, c’è un’evidente contraddizione quando si costringe il bambino ad entrare in carcere per far visita al genitore detenuto e sottostare a tutte le regole, volte esclusivamente alla sicurezza, che il DPR 230/2000 all’art. 37 stabilisce.

Papa Francesco: le condanne a morte sono sacrifici umani. Oggi se ne fanno tanti, e le leggi li proteggono

Adnkronos
Citta' del Vaticano, "Condanne a morte, sacrifici umani: voi pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani?". E' l'interrogativo che papa Francesco rivolge ai fedeli durante l'omelia alla messa celebrata nella domus di Santa Marta in Vaticano. "Se ne fanno tanti, tanti! - risponde Jorge Mario Bergoglio - E ci sono delle leggi che li proteggono", e' la sottolineatura finale del Papa.