In Brasile ci sono tremila detenuti che vivono nelle carceri senza guardie penitenziarie e con le chiavi della cella in mano. Il sistema, inventato da un gruppo di magistrati brasiliani, cerca di evitare che la prigione diventi un'"università del crimine", in cui il detenuto impara a commettere reati ancora più gravi.
Questi centri di recupero sono gestiti dalle Apac (Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati) e l'effetto è sorprendente: il tasso di recidiva scende dall'85% fino al 10%, i costi si abbassano di due terzi, oltre a garantire ai "recuperandi" condizioni di vita dignitose e un più semplice reinserimento in società.
Nel carcere tutti i lavorano e in giro ci sono posate, coltelli, martelli, strumenti musicali e altre cose che i detenuti del sistema ordinario non si possono nemmeno sognare. E del personale amministrativo fanno parte uomini e donne che nessuna barriera separa dai detenuti dei regimi aperto e semi-aperto. In questo video realizzato dall'Avsi, l'associazione volontari per il servizio internazionale, parlano i detenuti.
I capisaldi del metodo Apac sono amore, fiducia e disciplina. I detenuti sono trattati come persone, ma sono anche responsabilizzati per quello che avviene all'interno della struttura. In caso di infrazioni gravi, come la fuga o l'introduzione di droga o alcolici o telefoni cellulari individuali, aggressioni e furti, a pagare sono tutti i detenuti del regime in cui avviene l'illecito, che si vedono negare privilegi relativi alle telefonate, alle visite familiari e ad altro. Il singolo colpevole viene rispedito per sempre nel sistema comune.
I capisaldi del metodo Apac sono amore, fiducia e disciplina. I detenuti sono trattati come persone, ma sono anche responsabilizzati per quello che avviene all'interno della struttura. In caso di infrazioni gravi, come la fuga o l'introduzione di droga o alcolici o telefoni cellulari individuali, aggressioni e furti, a pagare sono tutti i detenuti del regime in cui avviene l'illecito, che si vedono negare privilegi relativi alle telefonate, alle visite familiari e ad altro. Il singolo colpevole viene rispedito per sempre nel sistema comune.
La tesi è che per recuperare il detenuto occorre far riemergere l'umano che è in lui, sepolto sotto tante cose delle quali il delitto per cui è stato condannato è la più pesante. Schiacciato dalla colpa, un uomo non si redime e non si recupera. Se si comincia togliendo quel peso, tutto diventa possibile.
Perfino accettare di convivere con quelli che nelle altre prigioni sono gli unici detenuti segregati per non finire linciati: i condannati per stupro e per pedofilia. Ora Brasile e Italia hanno deciso di collaborare attraverso il Programma europeo Euro Social per migliorare i propri sistemi penitenziari e mettere in comune le proprie eccellenze. Da una parte il modello delle cooperative sociali che valorizzano il lavoro dignitoso e produttivo nelle unità carcerarie dall'altra l'esperienza Apac.
A questo scopo venerdì prossimo, il 29 novembre, Avsi che da anni sostiene in Brasile l'esperienza Apac, la Cooperativa Giotto, esempio in Europa in tema di lavoro nel carcere, promuovono un incontro in Senato il 29 novembre con i rappresentanti delle istituzioni e i fautori della "Metodologia Apac". Obiettivo: mettere a punto dispositivi per una detenzione efficace anche in Italia, da inserire nel nuovo "piano carceri" sul modello delle Apac e aprire un confronto sui temi di efficacia e dignità delle pene. Potrà essere questa un'alternativa al sovraffollamento delle carceri? È praticabile? La domanda merita una risposta.
di Monica Ricci Sargentini
A questo scopo venerdì prossimo, il 29 novembre, Avsi che da anni sostiene in Brasile l'esperienza Apac, la Cooperativa Giotto, esempio in Europa in tema di lavoro nel carcere, promuovono un incontro in Senato il 29 novembre con i rappresentanti delle istituzioni e i fautori della "Metodologia Apac". Obiettivo: mettere a punto dispositivi per una detenzione efficace anche in Italia, da inserire nel nuovo "piano carceri" sul modello delle Apac e aprire un confronto sui temi di efficacia e dignità delle pene. Potrà essere questa un'alternativa al sovraffollamento delle carceri? È praticabile? La domanda merita una risposta.
di Monica Ricci Sargentini
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