A dieci anni dall'invasione Usa e la caduta di Saddam Hussein, continua la violenza in Iraq. Amnesty international denuncia il numero crescente di condanne a morte che dopo il boom del 2012 è continuato a crescere anche quest'anno. Disordini e mancanza di sicurezza sembrano le cause del sempre più frequente ricorso alla pena capitale
ROMA - Dall'inizio dell'anno, in Iraq sono state giustiziate più di 132 persone. Un numero che potrebbe continuare a salire dato che le autorità irachene non hanno ancora pubblicato i dati ufficiali. A dichiararlo è Amnesty International, tra le principali organizzazioni internazionali che lottano contro la pena di morte e che punta il dito contro il boom delle esecuzioni in Iraq, dopo il loro ripristino nel 2004. Dal 2009, con 120 esecuzioni al 2012, con almeno 129, le stime sono salite rapidamente fino a quest'anno, quando il numero parziale delle morti ha già superato il totale registrato negli anni passati.
Processi sommari e torture. "L'uso crescente della pena di morte - commenta Philip Luther, direttore di Amnesty international in Medio Oriente e Nord Africa - spesso al termine di processi iniqui è un inutile tentativo di risolvere il problemi di sicurezza e della giustizia nel paese". La pena capitale viene usata contro i frequenti attentati, che mietono prevalentemente vittime civili. Lo Stato giustifica processi sommari e l'uso della tortura come deterrente agli attacchi terroristici che hanno gettato il Paese nel caos. "Per proteggere realmente i civili - dice - da violenti attacchi da parte di gruppi armati, le autorità irachene devono metter fine agli abusi e assicurare i responsabili alla giustizia in un sistema giusto, senza il ricorso alla pena di morte".
La giustizia non funziona. E continua: "L'aumento delle esecuzioni cui si era assistito nel 2012 è peggiorato nel 2013. Il governo sembra non voler accettare il fatto che la pena di morte non serve a dissuadere i gruppi armati nell'attaccare i civili in Iraq". Recentemente il ministro della Giustizia iracheno, durante l'annuncio di altre esecuzioni, ha affermato che, pima dell'esecuzione, le sentenze di morte vengono sempre riviste e confermate dalla Corte di Cassazione. Ma secondo Amnesty, la Cassazione nel momento della revisione, non riesce a valutare le prove contestate della corte di prima istanza, tra cui a volte ci sono accuse di coercizione e di tortura che improvvisamente vengono ritirate.
"Si cominci con una moratoria delle esecuzioni". "Le autorità giudiziarie - afferma Luther - hanno una lunga strada da percorrere per affrontare i difetti nel loro sistema di giustizia penale. Bisogna prendere in considerazione le denunce di tortura e altri maltrattamenti in custodia. Inoltre è necessario che la Cassazione, al momento della revisione delle pene, agisca nel pieno rispetto degli standard internazionali del giusto processo". E conclude: "In primis le autorità irachene devono bandire la pena di morte dichiarando una moratoria sulle esecuzioni".
di Chiara Nardinocchi
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