La Corte Costituzionale invoca strumenti eccezionali per ridurre il sovraffollamento carcerario e per evitare all'Italia la vergogna, annunciata di una sentenza esemplare a maggio del 2014, se non verranno ottemperate le prescrizioni della sentenza europea della Cedu (corte europea dei diritti dell'uomo) sul caso Torregiani.
E lo ha fatto pur salvando provvisoriamente l'articolo 147 del codice penale da una censura di costituzionalità. Richiesta dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano nella parte in cui non prevede tra le misure di sospensione facoltative dell'esecuzione della pena il fattore dello svolgimento della stessa in maniera contraria al senso di umanità. Un senso comune fissato in maniera rigida dall'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo recepito dalla nostra Costituzione nel lontanissimo 1955 con la ratifica del trattato di Roma.
Queste le parole di richiamo usate dal giudice costituzionale Giorgio Lattanzi, il redattore della sentenza 279 che risale al 9 ottobre scorso ma a cui i giornali hanno dato scarso rilievo limitandosi a raccontare il non accoglimento dei ricorsi presentati dai tribunali di sorveglianza su citati: "Fermo rimanendo che non spetta a questa Corte individuare gli indirizzi di politica criminale idonei a superare il problema strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario, non ci si può esimere dal ricordare le indicazioni offerte al riguardo dalla citata sentenza Torreggiani, laddove richiama le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che invitano al più ampio ricorso possibile alle misure alternative alla detenzione e al riorientamento della politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, oltre che a una forte riduzione della custodia cautelare in carcere. È da considerare però che un intervento combinato sui sistemi penale, processuale e dell'ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l'attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare".
La norma è stata salvata dalla declaratoria di incostituzionalità con questa motivazione, in realtà molto opinabile, tipica di chi vuole dare al parlamento italiano e al governo un'altra chance prima di aprire un nuovo fronte di guerra tra le istituzioni: "il sovraffollamento però non può essere contrastato con lo strumento indicato dai rimettenti, che, se pure potesse riuscire a determinare una sensibile diminuzione del numero delle persone recluse in carcere, giungerebbe a questo risultato in modo casuale, determinando disparità di trattamento tra i detenuti, i quali si vedrebbero o no differire l'esecuzione della pena in mancanza di un criterio idoneo a selezionare chi debba ottenere il rinvio dell'esecuzione fino al raggiungimento del numero dei reclusi compatibile con lo stato delle strutture carcerarie".
Insomma, secondo Lattanzi se si aggiungesse, con la richiesta additiva richiesta dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, un'ulteriore causa di differimento dell'esecuzione della pena nelle oggettive situazioni di sovraffollamento e di invivibilità delle singole carceri si rischierebbe di favorire alcuni detenuti in determinate zone del paese rispetto ad altri. Considerazione in realtà molto di astratta dottrina visto che nella suddetta "impossibilità di vivere in queste condizioni" le carceri italiane tranne due o tre eccezioni hanno tutte ormai un comune tragico denominatore.
Ma la "ratio" della sentenza, come si diceva, è quella di un estremo monito a chi di dovere, tanto è vero he nelle sue parole conclusive avverte implicitamente che se lo stato continuerà di fatto a fare finta di nulla una prossima istanza di costituzionalità rispetto all'articolo 147 del codice penale, magari avanzata da qualche altro tribunale di sorveglianza, potrebbe sortire esiti ben diversi: "nel dichiarare l'inammissibilità questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia". Come a dire, chi ha orecchie per intendere, intenda.
di Giorgio De Neri
Queste le parole di richiamo usate dal giudice costituzionale Giorgio Lattanzi, il redattore della sentenza 279 che risale al 9 ottobre scorso ma a cui i giornali hanno dato scarso rilievo limitandosi a raccontare il non accoglimento dei ricorsi presentati dai tribunali di sorveglianza su citati: "Fermo rimanendo che non spetta a questa Corte individuare gli indirizzi di politica criminale idonei a superare il problema strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario, non ci si può esimere dal ricordare le indicazioni offerte al riguardo dalla citata sentenza Torreggiani, laddove richiama le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che invitano al più ampio ricorso possibile alle misure alternative alla detenzione e al riorientamento della politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, oltre che a una forte riduzione della custodia cautelare in carcere. È da considerare però che un intervento combinato sui sistemi penale, processuale e dell'ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l'attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare".
La norma è stata salvata dalla declaratoria di incostituzionalità con questa motivazione, in realtà molto opinabile, tipica di chi vuole dare al parlamento italiano e al governo un'altra chance prima di aprire un nuovo fronte di guerra tra le istituzioni: "il sovraffollamento però non può essere contrastato con lo strumento indicato dai rimettenti, che, se pure potesse riuscire a determinare una sensibile diminuzione del numero delle persone recluse in carcere, giungerebbe a questo risultato in modo casuale, determinando disparità di trattamento tra i detenuti, i quali si vedrebbero o no differire l'esecuzione della pena in mancanza di un criterio idoneo a selezionare chi debba ottenere il rinvio dell'esecuzione fino al raggiungimento del numero dei reclusi compatibile con lo stato delle strutture carcerarie".
Insomma, secondo Lattanzi se si aggiungesse, con la richiesta additiva richiesta dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, un'ulteriore causa di differimento dell'esecuzione della pena nelle oggettive situazioni di sovraffollamento e di invivibilità delle singole carceri si rischierebbe di favorire alcuni detenuti in determinate zone del paese rispetto ad altri. Considerazione in realtà molto di astratta dottrina visto che nella suddetta "impossibilità di vivere in queste condizioni" le carceri italiane tranne due o tre eccezioni hanno tutte ormai un comune tragico denominatore.
Ma la "ratio" della sentenza, come si diceva, è quella di un estremo monito a chi di dovere, tanto è vero he nelle sue parole conclusive avverte implicitamente che se lo stato continuerà di fatto a fare finta di nulla una prossima istanza di costituzionalità rispetto all'articolo 147 del codice penale, magari avanzata da qualche altro tribunale di sorveglianza, potrebbe sortire esiti ben diversi: "nel dichiarare l'inammissibilità questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia". Come a dire, chi ha orecchie per intendere, intenda.
di Giorgio De Neri
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