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lunedì 17 febbraio 2014

India: cronisti incarcerati e torturati, paese all'ultimo posto per libertà di informazione

Il Tempo
La libertà di stampa non abita in India: il paese che da due anni tiene prigionieri i nostri due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha raggiunto il suo livello più basso nella classifica sulla libertà di informazione di Reporters sans frontiéres e figura, nel 2013, al 140mo posto, con un declino costante di posizioni rispetto agli anni precedenti.

Dal 2002, a causa di una crescente impunità per la violenza contro i giornalisti e anche perché la censura di Internet continua a crescere, l'India sta andando sempre più in fondo nella classifica sulle libertà. In India le autorità insistono - spiega l'analisi di Rsf - nella censura del web e impongono sempre più tabù, mentre la violenza contro i giornalisti resta impunita e le regioni del Kashmir e del Chhattisgarh diventano sempre più isolate.

Tra le storie degli ultimi anni che Reporters sans frontiéres ha raccolto sulla situazione della libertà in India, c'è anche la testimonianza di Maqbool Sahil, un giornalista di Srinagar, nello stato di Jammu in Kashmir. Il giornalista - si legge nel sito web Reporters sans frontiéres "da più di diciannove anni si occupa dei conflitti in Kashmir che hanno fatto diverse migliaia di morti".

È accaduto che nel 2004, dopo essersi occupato dello stupro di un'australiana per conto del proprio giornale di allora, Chattan, sia stato arrestato e detenuto per quarantuno mesi. "È stato interrogato in condizioni molto difficili per due settimane. Accusato di spionaggio - scrive Reporters sans frontiéres - da un circolo legato al Pakistan, non è mai comparso davanti ad un giudice. La legge indiana vuole che tutti coloro che sono accusati di un reato vengano giudicati dalla magistratura entro sessanta giorni. Liberato il 9 gennaio 2008 ha scelto di riprendere la propria attività di giornalista".

Maqbool Sahil ha scritto sette libri durante la sua detenzione. E la sua testimonianza "Shabistan-e-wajood" è stata valorizzata appunto da Reporters sans frontiéres. Eccone uno stralcio che il nostro Governo, l'Unione Europea, l'Onu, il futuro premier Matteo Renzi, dovrebbero leggersi attentamente per mettere fine alla prigionia indiana dei nostri due Marò e riportarli in Italia.

"Ero detenuto - scrive Sahil - con criminali comuni di ogni genere, compresi gli assassini. La tortura era prassi regolare e senza pietà. Durante gli interrogatori, i poliziotti utilizzavano degli strumenti di tortura come manganelli in legno contro le gambe. Mi appendevano anche al soffitto, picchiandomi sotto i piedi con delle bacchette e picchiandomi sul resto del corpo".

"L'intensità - prosegue - aumentava quando non ero in grado di fornire loro le informazioni sulla mia presunta appartenenza al circolo incriminato. A causa delle torture non ero più in grado di mettermi in piedi. Alcuni detenuti mi dovevano aiutare a vestirmi e a mangiare... Durante questi 41 mesi di detenzione ho quasi distrutto la mia famiglia. Potevo vedere i miei figli a stento; mia madre l'ho vista solo dopo due anni, presso il centro per le interrogazioni di Humhama. La sua salute peggiorava. Mio fratello lavorava come elettricista a domicilio per far fronte al fabbisogno della mia famiglia di otto persone".

Le sue prigioni, le prigioni tragiche di Sahil, sono la testimonianza che l'India non è un paese che rispetta la libertà. 
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di Massimiliano Lenzi

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