Azezet Kidane da quattro anni assiste le vittime della tratta nel deserto del Sinai. Storie di sfruttamento, torture e violenze sessuali
“Il primo a raccontarmi queste storie incredibili è stato un giovane eritreo. Lo avevano portato nel deserto del Sinai, lui voleva andare in Israele, alla ricerca di un lavoro. I trafficanti volevano più soldi, ma non potevano contattare la sua famiglia: sua madre non aveva neanche il telefono. E allora lo tenevano lì, come uno schiavo: lui doveva picchiare gli altri detenuti. Se non lo faceva, picchiavano lui. E lo hanno battuto tante volte”.
Questa è una storia senza nome, l’identità deve restare segreta. Il volto però, quello no, il volto di quel giovane lo ricorda molto bene suor Azezet Kidane, missionaria comboniana: “È rimasto lì per oltre un anno, non aveva più speranze. E invece lo hanno salvato i suoi compagni di sventura, quelle stesse persone che lui aveva dovuto picchiare tante volte. Appena giunti in Israele, hanno fatto una colletta per liberare anche lui”.
Suor Azezet è stata testimone di storie incredibili, negli ultimi quattro anni. Ha lavorato come volontaria in un "Centro per i Rifugiati africani", a Tel Aviv. Da quando il governo Berlusconi nel 2008 ha stretto un accordo con Gheddafi per fermare l’emigrazione dalle frontiere della Libia, il Sinai si è popolato di clandestini. Negli ultimi quattro anni quindicimila africani sarebbero transitati in quelle zone desertiche, e almeno tremila sarebbero morti di stenti, violenze e torture. Le vittime sono soprattutto sudanesi, somali, etiopi ed eritrei, in fuga dalle guerre o da regimi dittatoriali. Suor Azezet è eritrea, conosce le loro lingue, e così ha potuto raccogliere per prima le loro testimonianze.
“I trafficanti di uomini portano questi emigranti nel deserto, poi li incatenano e chiedono più soldi alla famiglia”. Il viaggio della speranza costa da 1500 a 4000 dollari. Alcune famiglie però, vittime di questi ricatti, si sono ridotte in miseria per pagare fino a 45mila euro e liberare i loro figli da uno stato di vera e propria schiavitù. Suor Azezet ha raccolto più di 1500 testimonianze, solo nei primi due anni di attività: “Non si poteva tacere. Quando ho scoperto come venivano trattate queste persone, ho sentito che le loro storie dovevano essere divulgate, nel mondo si doveva sapere che molti migranti vengono trattati in questo modo disumano!”
Molti non vogliono raccontare che cosa hanno vissuto. Lo rimuovono, per difesa psicologica, o perché temono ritorsioni. Suor Azezet lo sa bene: “Sono sicura che molti, il peggio non me lo abbiano raccontato. Quello che so però è già troppo... Una donna mi ha raccontato di aver subito più volte violenza, incatenata ad un’altra ragazza. Non sapeva neanche chi stesse abusando di lei, perché era bendata. Poi l’altra donna è morta, ma l’hanno ancora lasciata lì, incatenata a lei, per tre giorni”. Le torture sono terribili, oltre agli abusi sessuali e alle botte, i profughi vengono ridotti alla fame, abbandonati nudi sotto il sole cocente del deserto. Due sudanesi sono stati appesi a testa in giù con una corda legata ai polsi, hanno dovuto amputare loro entrambe le mani.
Suor Azezet ha ricevuto diversi premi, per l’attività che ha svolto. Fra gli altri il riconoscimento di “Eroe del dipartimento del traffico di persone” degli Usa. Il premio più grande però, per lei, sarebbe regalare un futuro a queste persone, da cui ha imparato tanto: “Non ho mai sentito parole di odio contro i loro carcerieri. E anche le donne rimaste incinte da questi atti sessuali violenti, amano i loro figli come se li avessero voluti. Questo mi ha toccato molto, come donna, suora e missionaria”.
Le testimonianze divulgate da suor Azezet hanno raggiunto anche i Paesi di provenienza dei migranti. La vera soluzione sarebbe fermare le migrazioni di massa, togliere la fonte di guadagno ai trafficanti senza scrupoli. Ma le condizioni di vita nel Corno d’Africa sono talmente difficili, fra guerre e dittature, che nonostante tutto molti preferiscono rischiare.
Questa è una storia senza nome, l’identità deve restare segreta. Il volto però, quello no, il volto di quel giovane lo ricorda molto bene suor Azezet Kidane, missionaria comboniana: “È rimasto lì per oltre un anno, non aveva più speranze. E invece lo hanno salvato i suoi compagni di sventura, quelle stesse persone che lui aveva dovuto picchiare tante volte. Appena giunti in Israele, hanno fatto una colletta per liberare anche lui”.
Suor Azezet è stata testimone di storie incredibili, negli ultimi quattro anni. Ha lavorato come volontaria in un "Centro per i Rifugiati africani", a Tel Aviv. Da quando il governo Berlusconi nel 2008 ha stretto un accordo con Gheddafi per fermare l’emigrazione dalle frontiere della Libia, il Sinai si è popolato di clandestini. Negli ultimi quattro anni quindicimila africani sarebbero transitati in quelle zone desertiche, e almeno tremila sarebbero morti di stenti, violenze e torture. Le vittime sono soprattutto sudanesi, somali, etiopi ed eritrei, in fuga dalle guerre o da regimi dittatoriali. Suor Azezet è eritrea, conosce le loro lingue, e così ha potuto raccogliere per prima le loro testimonianze.
“I trafficanti di uomini portano questi emigranti nel deserto, poi li incatenano e chiedono più soldi alla famiglia”. Il viaggio della speranza costa da 1500 a 4000 dollari. Alcune famiglie però, vittime di questi ricatti, si sono ridotte in miseria per pagare fino a 45mila euro e liberare i loro figli da uno stato di vera e propria schiavitù. Suor Azezet ha raccolto più di 1500 testimonianze, solo nei primi due anni di attività: “Non si poteva tacere. Quando ho scoperto come venivano trattate queste persone, ho sentito che le loro storie dovevano essere divulgate, nel mondo si doveva sapere che molti migranti vengono trattati in questo modo disumano!”
Molti non vogliono raccontare che cosa hanno vissuto. Lo rimuovono, per difesa psicologica, o perché temono ritorsioni. Suor Azezet lo sa bene: “Sono sicura che molti, il peggio non me lo abbiano raccontato. Quello che so però è già troppo... Una donna mi ha raccontato di aver subito più volte violenza, incatenata ad un’altra ragazza. Non sapeva neanche chi stesse abusando di lei, perché era bendata. Poi l’altra donna è morta, ma l’hanno ancora lasciata lì, incatenata a lei, per tre giorni”. Le torture sono terribili, oltre agli abusi sessuali e alle botte, i profughi vengono ridotti alla fame, abbandonati nudi sotto il sole cocente del deserto. Due sudanesi sono stati appesi a testa in giù con una corda legata ai polsi, hanno dovuto amputare loro entrambe le mani.
Suor Azezet ha ricevuto diversi premi, per l’attività che ha svolto. Fra gli altri il riconoscimento di “Eroe del dipartimento del traffico di persone” degli Usa. Il premio più grande però, per lei, sarebbe regalare un futuro a queste persone, da cui ha imparato tanto: “Non ho mai sentito parole di odio contro i loro carcerieri. E anche le donne rimaste incinte da questi atti sessuali violenti, amano i loro figli come se li avessero voluti. Questo mi ha toccato molto, come donna, suora e missionaria”.
Le testimonianze divulgate da suor Azezet hanno raggiunto anche i Paesi di provenienza dei migranti. La vera soluzione sarebbe fermare le migrazioni di massa, togliere la fonte di guadagno ai trafficanti senza scrupoli. Ma le condizioni di vita nel Corno d’Africa sono talmente difficili, fra guerre e dittature, che nonostante tutto molti preferiscono rischiare.
Davide Demichelis
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.