Il Mississippi sta per procedere alla prima esecuzione di una donna dal 1944. Secondo l’ex giudice della Corte suprema dello stato Oliver Diaz Jr., “se l’esecuzione avverrà ne saremo tutti complici, dato che in questo caso tutto è stato fatto meno che fare giustizia”.
L’esecuzione di Michelle Byrom, 56 anni (nella foto tratta da womenofdeathrow.com) è prevista dopodomani, giovedì 27.
Accenno appena alla circostanza che Michelle Byrom ha vissuto in ambienti turpi e di violenza estrema: stuprata dal padrino per sei anni, costretta a prostituirsi, scappata di casa a 15 anni, stuprata a quell’età dall’uomo di 31 anni che la sposò, Edward Byrom Sr., madre di un figlio, Edward Byrom Jr., stuprato a sua volta dal padre e che la obbligava a fare sesso di gruppo con altri uomini e riprendeva la scena con videocamera. Non c’è da meravigliarsi che la donna avesse tentato il suicidio ingerendo veleno per topi.
Queste circostanze sarebbero state considerate attenuanti, o almeno un buon avvocato le avrebbe presentate come attenuanti riuscendo ad evitare che la sua cliente venisse condannata a morte per l’omicidio del marito.
Quando Byrom Sr. venne ucciso, Michelle Byron era ricoverata in ospedale per una polmonite acuta. Dunque, non è lei l’assassina e, come vedremo, con ogni probabilità non è neanche la mandante.
La giuria del processo di primo grado credette all’impianto accusatorio, basato sulle confessioni rese in ospedale da una donna inferma di mente e imbottita di medicinali e sulle dichiarazioni di Byrom Jr. secondo il quale la madre aveva pagato tale Joey Gillis per uccidere il padre. In cambio di questa testimonianza, Byron Jr. ebbe uno sconto di pena (lui e Gillis sono liberi da alcuni anni) mentre Michelle Byrom venne condannata a morte. Gli avvocati di Michelle Byrom erano al loro primo processo per un reato punibile con la pena capitale.
“Ho provato in tutti i modi a immaginare un caso peggiore di assistenza legale inefficace, ma non ci sono riuscito” – sono le parole di un altro giudice della Corte suprema del Mississippi, Jess H. Dickinson.
Ma le colpe dell’avvocato sono il meno, rispetto al fatto che la successiva confessione di Byrom Jr. – reiterata più volte – non è mai stata presa in considerazione e che i ricorsi di Michelle Byrom tanto alla Corte suprema del Mississippi quanto a quella federale siano stati respinti.
Come ha efficacemente scritto Warren Yowder, direttore del Public Policy Center del Mississippi, “neanche John Grisham avrebbe potuto scrivere una storia del genere. In un mondo normale, questo sarebbe stato un racconto breve di Flannery O’Connor”.
Invece, sta per accadere tra poche ore in Mississippi. A meno che la Corte suprema dello stato non ci ripensi.
Accenno appena alla circostanza che Michelle Byrom ha vissuto in ambienti turpi e di violenza estrema: stuprata dal padrino per sei anni, costretta a prostituirsi, scappata di casa a 15 anni, stuprata a quell’età dall’uomo di 31 anni che la sposò, Edward Byrom Sr., madre di un figlio, Edward Byrom Jr., stuprato a sua volta dal padre e che la obbligava a fare sesso di gruppo con altri uomini e riprendeva la scena con videocamera. Non c’è da meravigliarsi che la donna avesse tentato il suicidio ingerendo veleno per topi.
Queste circostanze sarebbero state considerate attenuanti, o almeno un buon avvocato le avrebbe presentate come attenuanti riuscendo ad evitare che la sua cliente venisse condannata a morte per l’omicidio del marito.
Quando Byrom Sr. venne ucciso, Michelle Byron era ricoverata in ospedale per una polmonite acuta. Dunque, non è lei l’assassina e, come vedremo, con ogni probabilità non è neanche la mandante.
La giuria del processo di primo grado credette all’impianto accusatorio, basato sulle confessioni rese in ospedale da una donna inferma di mente e imbottita di medicinali e sulle dichiarazioni di Byrom Jr. secondo il quale la madre aveva pagato tale Joey Gillis per uccidere il padre. In cambio di questa testimonianza, Byron Jr. ebbe uno sconto di pena (lui e Gillis sono liberi da alcuni anni) mentre Michelle Byrom venne condannata a morte. Gli avvocati di Michelle Byrom erano al loro primo processo per un reato punibile con la pena capitale.
“Ho provato in tutti i modi a immaginare un caso peggiore di assistenza legale inefficace, ma non ci sono riuscito” – sono le parole di un altro giudice della Corte suprema del Mississippi, Jess H. Dickinson.
Ma le colpe dell’avvocato sono il meno, rispetto al fatto che la successiva confessione di Byrom Jr. – reiterata più volte – non è mai stata presa in considerazione e che i ricorsi di Michelle Byrom tanto alla Corte suprema del Mississippi quanto a quella federale siano stati respinti.
Come ha efficacemente scritto Warren Yowder, direttore del Public Policy Center del Mississippi, “neanche John Grisham avrebbe potuto scrivere una storia del genere. In un mondo normale, questo sarebbe stato un racconto breve di Flannery O’Connor”.
Invece, sta per accadere tra poche ore in Mississippi. A meno che la Corte suprema dello stato non ci ripensi.
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