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mercoledì 30 aprile 2014

Marazziti: Moratoria universale delle esecuzioni sempre più necessaria dopo gli orrori degli ultimi giorni

Mario Marazziti (PI e Presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei deputati): Moratoria universale delle esecuzioni sempre più necessaria.


“OHIO, EGITTO, TAIWAN: tre facce dell’orrore della pena di morte, tre episodi mostruosi che mostrano come sia sempre più necessaria una giustizia capace di rispettare sempre la vita. 

683 Fratelli musulmani sono stati condannati a morte in un solo processo al Sud del Cairo, dopo i 543 condannati a morte di solo solo poche settimane fa. Il processo era durato tre giorni, due udienze, e nell’ultima avvocati e imputati non erano stati fatti nemmeno entrare.

L’agonia e il raccapriccio che hanno costretto il warden che sovrintendeva l’esecuzione di Clayton Lockett nel carcere di McAlester in Oklahoma – un carcere costruito sottoterra - a chiudere le tende per non fare vedere ai testimoni e ai parenti della vittima l’orrore di interminabili 46 minuti di una iniezione letale andata a male. 5 esecuzioni in un giorno solo decise dal ministro della giustizia di Taiwan, Luo Ying-shai dopo che l’isola cinese aveva avuto 5 anni di stop delle esecuzioni fino al 2010: e con due dei cinque prigionieri uccisi che erano stati assolti in primo grado.

Una giornata di lutto mondiale. Ma anche una giornata di sdegno civile mondiale. Una giornata, il 29 aprile 2014, che mette a nudo le contraddizioni di uno strumento inumano, inutile, che abbassa gli stati al livello di chi uccide. Questo accade mentre cresce a livello planetario il consenso sulla sua inutilità e sulla sua disumanità.
La pena di morte di svela come uno strumento di controllo sociale e di violenta persecuzione e messa al bando dell’opposizione – applicato in spregio alle minime garanzie processuali con sentenze di massa – in Egitto. E uno strumento di sommaria applicazione della legge e diversione dell’opinione pubblica a Taiwan in un tempo di grandi dimostrazioni di piazza. Paradossalmente in controtendenza rispetto al fatto che in Cina – nonostante l’enorme numero di esecuzioni, i quattro quinto del bilancio mondiale – si registra il più grande calo, in termini assoluti (circa 2000 esecuzioni in meno all’anno, in pochi anni), a livello planetario, per gli interventi della Corte Suprema che hanno tolto alle corti periferiche il potere di comminare sentenze capitali.

Negli Stati Uniti, a due settimane dal voto di parità al Senato del New Hampshire, 12 a 12, per l’abolizione della pena capitale in quello stato – il settimo in sette anni in caso di abolizione , dopo New Jersey, New Mexico, New York, Connecticut, Illinois, Maryland – nella camera della morte di McAlester una seconda esecuzione “andata a male” in pochi mesi, per i protocolli cambiati dell’iniezione letale.

“L’esecuzione pulita non esiste e la morte, barbarica, di Clayton Lockett lo mostra senza equivoci. L’iniezione letale, iniziata in Texas nel 1982 con l’uccisione di Carlo deLuna, un giovane texano innocente con evidente disagio mentale e incapace di difendersi, la cui condanna si deve a un caso di omonimia, è stata introdotta per rispondere alle obiezioni di chi sosteneva che la pena di morte fosse incostituzionale perché “eccessivamente crudele”: sia come pena che nelle modalità.

Ma l’esecuzione letale, l’apparente “morte serena”, con il protocollo dei tre farmaci iniettati in sequenza, da tempo è stata dimostrata come “crudele oltre misura” perché offre l’illusione di una morte anestetizzata e indolore, ma nel corpo paralizzato la coscienza non svanisce e il dolore scoppia senza che nemmeno si possa gridare.

“Da tempo si susseguono “incidenti” perché il sodium thiopental che era prodotto in Italia, e prodotti simili sono diventati inusabili per le campagne che la comunità di Sant’Egidio, Reprieve e Nessuno Tocchi Caino hanno condotto a livello internazionale, fino all’eliminazione della linea di produzione del barbiturico della società Hospira. Da allora anche altre sostanze sono diventate irreperibili, e alcuni stati americani, per continuare le esecuzioni, utilizzano protocolli mal “testati” e farmaci che vengono usati per gli animali.

L’orrore della pena capitale emerge senza veli. Occorre fermarsi.
E’ una grande occasione perché la comunità internazionale sia compatta nel chiedere l’adesione alla Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU per una Moratoria universale delle esecuzioni capitali, in vista della definitiva abolizione.

Usa, pena di morte: orrore in Oklahoma per la rottura della vena durante l'iniezione letale

La Repubblica
Il condannato dato per incosciente si agita e urla, poi muore di infarto. Sospesa una seconda condanna a morte
Clayton D. Lockett
New York - Nel penitenziario di McAlester in Oklahoma era prevista una doppia esecuzione, la prima dopo tantissimi anni, decisa tra mille polemiche. Il primo che doveva essere giustiziato alle 6,30 del pomeriggio con un'iniezione letale era un uomo di colore, di nome Clayton D. Lockett. Ha fatto una fine terribile a causa della rottura della vena in cui gli stavano iniettando il mix letale di veleni.

I testimoni raccontano di aver assistito a una scena raccapricciante ed atroce. Tutto sembrava procedere: iniettato l'anestetico, il prigioniero era stato dichiarato dai medici presenti oramai privo di sensi. Ma quando è iniziata la somministrazione del primo dei due farmaci letali il corpo dell'uomo ha cominciato improvvisamente a muoversi, i suoi piedi e le sue braccia ad agitarsi. Ha cominciato a lamentarsi sempre più forte. Con uno scatto Clayton ha tentato anche di sollevarsi, inutilmente.

In una situazione di caos i medici e gli addetti del carcere hanno abbassato la tenda davanti al vetro dietro al quale c'erano i testimoni. Questi ultimi hanno solo potuto ascoltare l'urlo violento con cui l'uomo ha esalato l'ultimo respiro, ucciso da un attacco cardiaco. Lockett era stato condannato per aver sparato a una donna di 19 anni nel 1999 e per averla poi seppellita viva.

A questo punto la seconda esecuzione è stata rinviata. Per almeno 14 giorni, hanno informato i dirigenti del penitenziario, che ora avvieranno un'indagine per capire cosa è successo e perchè. Ma di sicuro la morte di Clayton è destinata a sollevare polemiche, in una fase in cui ricorrere alla pena di morte nei vari stati Usa che lo permettono è diventato sempre più difficile. Questo anche per la decisione di molti Paesi europei di vietare l'esportazione dei farmaci letali, le cui scorte stanno per esaurirsi, costringendo anche a realizzare mix letali 'meno efficaci'. Tanto che qualcuno - forse una provocazione, ma non troppo - ha già proposto un ritorno alla sedia elettrica.

martedì 29 aprile 2014

Iran executes four juvenile offenders in one week

Iran Human Rights
The increased number of prisoners executed for offences committed before they turned 18 is in clear violation of Iran’s international commitments, the World Coalition says in the statement below.


The World Coalition Against the Death Penalty strongly condemns the increase in juvenile executions in Iran. According to reports by the World Coalition’s Steering Committee member, Iran Human Rights (IHR), at least six juvenile offenders have been executed this year already, four of them over the past week. This worrying trend has carried on from 2013, which saw at least eight juvenile offenders executed in Iran.
President of the World Coalition, Florence Bellivier, stated: “The death penalty for juvenile offenders is a severe violation of human rights. We call upon the Islamic Republic of Iran to stop the execution of juvenile offenders.”
Mahmood Amiry-Moghaddam, the spokesperson of IHR, stated: “Repealing all death sentences issued for offences committed before 18 years of age must be one of the principal demands of the international community in dialogues with Iran.”
Iran has executed more juveniles than any country since 1990. At least 50 juvenile executions have been confirmed since 2005 and more than 100 juvenile offenders are currently on death row in Iran.
Juvenile executions are increasingly viewed by the international community as a severe violation of human rights. In 2012, the UN General Assembly adopted the United Nations moratorium on the death penalty resolution (Resolution A/RES/67/176), with 111 votes in its favour. The resolution calls upon all States “to progressively restrict the use of the death penalty and not to impose capital punishment for offences committed by persons below eighteen years of age”.
This trend is buttressed by the UN Convention on the Rights of the Child (CRC) which prohibits the use of the death penalty for offences committed by a person under 18 years of age, and the International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), which in its Article 6 restricts the use of the death penalty to the “most serious crimes” and forbids its use for crimes committed by persons under the age of 18. Iran has ratified both of these treaties although it has made reservations to the CRC that facilitate the execution of juveniles.
During its last Universal Periodic Review in 2010, however, Iran accepted the recommendation of Belgium to “respect at least the minimum standards and the provisions of ICCPR and CRC concerning the death penalty”. Notably, Iran also accepted the recommendation of Kazakhstan to “consider the abolition of juvenile execution”.
In spite of the substantial weight of international human rights opinion and instruments rejecting this practice, Article 91 of the Islamic Penal Code contains provisions that can be used to execute juveniles if judges deemed that the juvenile was mature enough to understand the nature of the offence.
The World Coalition calls upon the Islamic Republic of Iran to place an immediate moratorium on juvenile executions and honour its obligations under international law. It calls upon the state to ensure that juveniles currently on death row are granted their right to appeal their sentences as provided for under international law and that their sentences be subsequently commuted.

Catania, carcere di Giarre, Daniele Sparti muore in cella a 5 giornidalla libertà perché l'ossigeno è finito

Il Messaggero
Ennesimo decesso in un carcere italiano, ennesima dimostrazione che di carcere si muore troppo spesso in Italia.

Daniele Sparti, di 32 anni, è morto nel carcere di Giarre in provincia di Catania lo scorso 25 aprile, ma la notizia è stata divulgata solo oggi. Lo riporta una nota stampa dell’agenzia Adnkronos che riprende un comunicato dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, che ha ufficialmente reso noto la tragica vicenda.


Daniele era malato da tempo e veniva quotidianamente sottoposto a ossigenoterapia. L’ossigeno che lo aiutava a respirare, però, secondo le prime ricostruzioni si sarebbe esaurito nella nottata senza che nessuno se ne accorgesse. Daniele sarebbe, quindi, morto da solo, in una cella, con un macchinario a cui era semplicemente finito l’ossigeno all’interno. 


L’hanno trovato senza vita solo la mattina successiva. La salma è stata, quindi, trasportata presso l’obitorio dell’Ospedale Garibaldi di Catania. Intanto, la Procura competente ha già avviato un’inchiesta, per ora senza indagati, per capire come si sono svolti realmente i fatti e se la morte di Daniele può essere attribuita a qualcuno.

Quello che fa davvero rabbrividire è pensare che dopo otto anni di carcere scontanti, Daniele sarebbe divenuto nuovamente un uomo libero fra soli cinque giorni, solo cinque. Invece, il suo nome e la sua storia si aggiungono a quelle di tanti altri detenuti che hanno trovato la morte nelle carceri italiane. Secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, dall’inizio del 2014 si contano 45 morti, tra cui 12 suicidi, con dati relativi al 26 aprile, cioè di soli due giorni fa. Nel 2013, invece, 153 morti e 49 suicidi e l’anno precedente il 2012 andò ancora peggio, con ben 60 suicidi per un totale di 154 decessi avvenuti in tutte le carceri del territorio italiano.
[...]
La notizia della morte di Daniele arriva in un momento davvero critico per la situazione delle carceri italiane, che da anni fanno i conti con un sovraffollamento cronico, strutture inadeguate, mancanza di diritti e torture celate. Tra un mese, infatti, scadrà l’ultimatum imposto all’Italia dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo riguardo le disumane condizioni delle carceri italiane. Nel maggio del 2013, infatti, la Corte ha condannato l’Italia a risolvere entro un anno (maggio 2014) il problema del sovraffollamento carcerario, sentenza poi ribadita ancora una volta quando, l’8 gennaio scorso, è stata rigettato il ricorso presentato dal governo italiano.


Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, proprio ieri, era ritornato sul problema carceri, esprimendo un concetto molto semplice: “Il sovraffollamento deriva da una malfunzionamento cronico del nostro sistema penitenziario”.

Ma intanto, proprio a causa di quel malfunzionamento cronico, un altro ragazzo ha trovato la morte a soli cinque giorni dalla libertà.

Iran, Teheran, massacro nel carcere di Evin il "giovedí nero" dei detenuti nel braccio 350

La Repubblica
Centinaia di guardie carcerarie hanno fatto irruzione nel braccio Ward 350 del penitensiario nelle periferia della capitale iraniana. I detenuti sono stati picchiati a bastonate. Molti sono stati ricoverati in terapia intensiva. La denuncia del giornale Kamele. L'attacco é iniziato dopo che i detenuti politici si erano rifiutati di lasciare le loro celle durante un controllo di sicurezza


Teheran - Lo hanno già chiamato il "giovedí nero" dell'Iran, il 17 aprile scorso dopo l'attacco dei Pasdaran ad un gruppo di prigionieri politici nel braccio 350, nel famigerato carcere di Evin, 16 chilometri dal centro di Teheran. 

É stato il giornale Kaleme ha darne notizia per primo. Il 17 aprile agenti del IRGC, il ministero dell'Intelligence e centinaia di guardie carcerarie hanno fatto irruzione nel braccio Ward 350 del carcere di Evin e picchiato violentemente i detenuti con bastoni e altre armi contundenti. Almeno trenta prigionieri sono stati feriti durante l'assalto e quattro prigionieri sono stati trasferiti in terapia intensiva. L'attacco é iniziato dopo che i detenuti politici si erano rifiutati di lasciare le loro celle durante un controllo di sicurezza. Le guardie avrebbero agito con violenza estrema, hanno distrutto televisori, attrezzature ed effetti personali. I prigionieri di questo reparto, accusati di attentare alla sicurezza dello Stato, includono blogger, giornalisti e centinaia di iraniani fermati durante le manifestazioni di protesta contro la rielezione di Ahmadinejad nel 2009.

Bastonati alle spalle.
 Uno dei prigionieri ha raccontato alla famiglia: "Ci hanno tenuti in fila, in piedi, di fronte al muro nel corridoio mentre ognuno di noi veniva ammanettato e bendato. Hanno cominciato a picchiarci da dietro con i manganelli. Si sentivano le urla, si sentiva l'odore del sangue". Almeno trentadue prigionieri politici sono stati trasferiti in isolamento (Ward 240) e osservano ancora oggi lo sciopero della fame. Le famiglie di questi detenuti non hanno loro notizie dal giorno dell'aggressione. Alcuni prigionieri sostengono di aver avuto fratture alle braccia, alle costole e alle gambe. Per protestare contro questo attacco settantaquattro detenuti hanno scritto una lettera di denuncia sollecitando il procuratore di Teheran ad interessarsi della questione. La lettera é visibile sul sito dell'opposizione Kaleme in cui si annoverano i nomi dei feriti e i dettagli dell'incidente.

Le proteste delle famiglie. In tutto questo il Presidente Hassan Rohani non si é ancora pronunciato e molti attivisti temono invece che questo attacco sia stato progettato proprio per dare un segnale al nuovo Governo moderato aperto all'Occidente. Il messaggio é chiaro: sulla Magistratura e i prigionieri politici non si discute. Le famiglie dei detenuti picchiati hanno protestato nei giorni scorsi davanti al Parlamento e sotto la casa di Rouhani per chiedere di far luce sulla vicenda. Alcuni parlamentari iraniani hanno reclamato l'apertura di un'inchiesta sui pestaggi subiti; la decisione è stata presa all'indomani di un incontro con i familiari dei detenuti. Le famiglie hanno raccontato di aver visto segni di sanguinamento, escoriazioni, echimosi e pesanti lividi su decine di corpi dei loro cari. "Quando hanno tirato su le tende e abbiamo visto i nostri parenti tutti abbiamo cominciato a piangere."

Le autorità negano.
 Il capo della sicurezza e delle carceri iraniane, Gholam Hossein Esmaeili, ha negato tutto, aggiungendo che si tratta solo di propaganda contro la Repubblica Islamica. Due giorni dopo, peró, nonostante le smentite, è stato rimosso dall'incarico e sostituito da Asghar Jahangir, attuale capo dell'ufficio per le Indagini Speciali della Magistratura. Anche il Ministro della Giustizia Mostafa Pourmohammadi ha tentato di minimizzare gli incidenti cosí come l'Ayatollah Sadegh Larijani, capo della Magistratura iraniana, il quale ha affermato che nessuna violazione si è verificata all'interno del carcere. Larijani anzi sostiene che questi episodi siano stati appositamente orchestrati da persone contrarie allo Stato che insieme ai nemici al di fuori dell'Iran rilanciano le loro ambizioni sediziose. Nonostante peró le incisive negazioni da parte delle autoritá il giornale riformista Ebtekar é stato chiuso due giorni fa accusato di ''diffondere menzogne'' proprio in relazione all'articolo 'cosa é successo nel reparto di Evin 350?' in cui si lanciano sospetti sulla sostituzione del responsabile delle carceri iraniane.

La solidarietá iraniana. Le Autoritá non hanno peró fatto i conti con i frequentatori della Rete internet, perché ormai la foto del detenuto Abdolfattah Soltani, avvocato e difensore dei diritti umani, sta spopolando sui social network. Le guardie lo hanno rasato a zero in segno di umiliazione e ora é nata la pagina Facebook dal titolo "Con i prigionieri politici della sezione 350 del carcere di Evin", sulla quale familiari e amici postano le foto delle loro teste rasate con la scritta "sarfaraz" 350 (orgoglioso) in segno di solidarietá.  

lunedì 28 aprile 2014

R.D. Congo espulsioni, Brazzaville accusata di “barbarie”

MISNA
Alimenta “forte preoccupazione” e “sdegno” l’ondata di “espulsioni di massa, operate in condizioni disumane” ai danni di centinaia di cittadini congolesi nella confinante Repubblica del Congo. 

A denunciare l’operazione ‘Mbata ya Mokolo’ (“Lo schiaffo dei maggiori”, in lingala) avviata da Brazzaville lo scorso 3 aprile è, tra le altre, l’organizzazione di difesa dei diritti umani Voix des sans voix (Vsv) dopo una nuova ondata di espulsioni nel fine-settimana.

“Nonostante i negoziati aperti tra Kinshasa e Brazzaville l’operazione continua, accompagnata da stupri, trattamenti crudeli e disumani che hanno causato vittime e feriti, ma anche estorsioni e offese morali” si legge nell’appello di ‘Vsv’ intitolato “stop alle espulsioni di massa barbare e selvagge”. L’operazione ‘Mbata ya Mokolo’ è stata lanciata ufficialmente per “lottare contro gli stranieri che vivono in condizioni irregolari a Brazzaville e seminano l’insicurezza in alcuni quartieri”.

Tuttavia l’ong con sede a Kinshasa riferisce dell’espulsione di alcuni cittadini congolesi che erano in possesso di regolare titolo di soggiorno. ‘Vsv’ teme che l’attuazione dell’operazione di sicurezza “senza alcun rispetto dei diritti umani e della dignità umana” possa “compromettere le relazioni di buon vicinato, di fratellanza e di consanguineità tra i popoli delle due capitali più vicine al mondo”. L’ong chiede ai due governi di impegnarsi sul piano politico e umanitario per “fare cessare immediatamente le espulsioni” e “assicurare adeguata assistenza alle vittime”.

Più duro è il tono della denuncia dell’associazione nota come ‘Nuova società civile’, il cui presidente Jonas Tshiombela ha criticato “la passività incomprensibile del governo di Kinshasa”, chiedendo alle autorità di “attuare a loro volta l’espulsione di tutti i congolesi irregolari” che vivono in Repubblica democratica del Congo. Temendo rappresaglie, un gruppo di 500 studenti congolesi è stato rimpatriato a Brazzaville lo scorso fine settimana.

In base ad un bilancio ufficiale, nelle ultime tre settimana circa 1300 cittadini congolesi sono stati espulsi da Brazzaville, causando una nuova crisi umanitaria a Kinshasa. Il governo ha allestito un sito di accoglienza nello stadio Cardinal Malula della capitale. All’emittente locale dell’Onu Radio Okapi, il ministero provinciale dell’Interno a Kinshasa ha riferito della difficoltà a identificare le persone espulse, di cui la maggior parte dice di aver perso la propria carta d’identità nelle operazioni di rimpatrio forzato, attuate tramite i battelli della Società congolese di trasporti e porti (Sctp). Brazzaville e Kinshasa, capitali ‘gemelle’ distanti soltanto 4 chilometri, sono separate dal fiume Congo. Secondo il ministero provinciale dell’Interno sarebbero 30.000 i congolesi espulsi che sono transitati nello stadio Cardinal Malula.

[VV]

Egitto: la pena di morte in massa per i Fratelli Musulmani - 683 condanne a morte

Il Journal
Quasi 700 persone sono state condannate all'esecuzione capitale. Nella sentenza figura anche Mohamed Badie, leader dei Fratelli Musulmani.


Una condanna a morte di massa per i Fratelli Musulmani: 683 persone dovranno essere giustiziate in Egitto per gli scontri avvenuti nella città di Minya, capoluogo della provincia situata nel sud del Paese, lo scorso 14 agosto. Il Tribunale ha emesso una sentenza che rischia di acuire le tensioni: tra i nomi dei condannati c’è anche quello di Mohamed Badie, il leader della Fratellanza.

Le accuse mosse nei confronti degli imputati erano quello di omicidio e tentato omicidio. Durante i disordini, infatti, ci furono delle vittime anche tra i militari. Il giudice, inoltre, ha modificato il pronunciamento riguardante un “primo lotto” di condanne emesse a marzo nell’ambito di un altro processo: per 492 dei 529 condannati a morte, la pena è stata commutata in ergastolo.

La sentenza che riguarda Mohamed Badie rappresenta comunque un ulteriore pericolo per l’ordine pubblico del Paese. L’uomo, dal 2010, era a capo della divisione egiziana dell’organizzazione islamica, dichiarato fuori legge dal governo ad interim in cui il generale Al Sisi ricopre un ruolo fondamentale pur essendo “solo” il ministro della Difesa.

Subito dopo il colpo di Stato che ha rovesciato Morsi, Badie ha annunciato di non riconoscere altre autorità: nei giorni successivi è stato quindi arrestato nel clima di contrasto militare e giudiziario verso i Fratelli Musulmani.

Badie ha rappresentato sempre l’ala più intransigente dell’organizzazione, pur nella consapevolezza di giungere a compromessi per gestire il potere: il suo primo arresto risale al 1965 con una condanna a 15 anni. La scarcerazione è arrivata prima del previsto, però, nel 1974 per volere dell’allora presidente Sadat. Nel 1998 è finito nuovamente in carcere per altri 5 anni, ma anche dopo ha sempre dichiarato che l’obiettivo della Fratellanza era la costruzione di uno Stato retto dalla sharìa (la legge islamica). Un principio che si scontra con il laicismo della Repubblica egiziana.

domenica 27 aprile 2014

Iran - Three Prisoners Hanged Publicly in Iranian Town of Zabol

Death Penalty News
Iran Human Rights - Three prisoners who were charged with the assassination of the prosecutor of Zabol in November 2013, were hanged publicly at the site of the assassination early this morning.


According to the state run Iranian news agency Fars, the prisoners were identified as Omid Piri, Iman Galavi, Alireza Dehmardeh.

The prisoners were sentenced by the Revolutionary Court on February 24, and their sentences were approved by the Supreme Court on April 7.

IHR strongly condemns today’s executions. Mahmood Amiry-Moghaddam, the spokesperson of IHR said: “These prisoners have been subjected to unfair trials and possibly torture, followed by public execution which is an inhumane and brutal punishment meant to spread fear in the society.”

Organizzazione per i diritti umani: 200 morti nel Sinai dal golpe egiziano

InfoPal
Il Cairo-Quds Press. L’”Osservatorio egiziano dei diritti e delle libertà” ha dichiarato che, a partire dal colpo di Stato del 3 luglio 2013, guidato dal feldmaresciallo ed ex ministro della Difesa ‘Abd al-Fattah al-Sisi, le forze di sicurezza e l’esercito egiziano hanno ucciso almeno 200 persone, ne hanno arrestate altre 1500, hanno demolito 350 case in varie province e villaggi nel nord del Sinai, nel quadro che definisce l’attuale potere dei militare come “guerra al terrorismo”.
Nel rapporto pubblicato sui crimini contro l’umanità commessi ai danni di cittadini egiziani nel nord del Sinai, sotto l’ombrello della guerra al terrorismo, con il titolo “appena diventano reati, solo numeri e dati”, il Centro ha dichiarato che le operazioni dell’esercito egiziano nel Sinai costituiscono violazioni sistematiche che, esorbitando dall’ambito della legalità, delineano un quadro di crimini contro l’umanità.

Il rapporto enumera tali crimini, affermando che comprendono l’omicidio “al di fuori del quadro previsto dalla legge, così come la tortura e l’arresto arbitrario di centinaia di egiziani”.

Il Centro ha quindi sottolineato come l’espressione “guerra al terrorismo” non sia uno strumento che garantisce all’esercito egiziano il diritto di fare quello che vuole senza una base giuridica.

I dati forniti dal portavoce militare, continua il Centro, “sono diventati uno strumento per legittimare violazioni, per lanciare accuse di apostasia, di terrorismo e di pericolosità, senza chiarire il quadro legislativo adottato alla base di queste disposizioni”.

Francia: drammatici casi di violenza nelle carceri minorili, ma anche i genitori tacciono

www.west-info.eu
Sono drammatici i casi di violenza all'interno dei penitenziari minorili francesi. Dove le aggressioni fra giovanissimi detenuti vengono tollerati con una certa rassegnazione dal personale carcerario. Con il silenzio delle vittime e dei loro genitori. Come se si trattasse di qualcosa contro cui poco o niente si può fare.
Il j'accuse arriva dal rapporto del Controllore Generale degli istituti di detenzione d'Oltralpe. Che, in particolare, ha portato alla luce l'emblematico caso della prigione di Villeneuve-lès-Maguelone. All'interno della quale solo l'anno scorso si sono registrati 24 casi di aggressioni gravi. 

Che per lo più sono avvenute mentre i ragazzi si trovavano insieme nei cortili. Tuttavia, secondo il documento, gli episodi di violenza tra minori sono molto più numerosi di quelli effettivamente identificati. Per questo si raccomandano azioni più incisive che, oltre a una maggiore cooperazione fra famiglie e amministrazione penitenziaria, prevedano: 1) interventi di contrasto più rapidi; 2) corsi di "educazione al rispetto reciproco"; 3) supporti adeguati per le vittime; 4) la messa di fronte alle loro responsabilità degli autori degli attacchi.

di Ivano Abbadessa

sabato 26 aprile 2014

Papa Francesco chiama al telefono Pannella "l'aiuterò nella battaglia per le carceri..."

Ansa
Papa Francesco e Marco Pannella, fianco a fianco in difesa dei carcerati. È bastata una telefonata per far nascere una nuova, inedita alleanza: quella tra l'anziano leader Radicale, campione di mille battaglie laiche, e il papa che sta rivoluzionando la Chiesa di Roma.
Nel giorno di San Marco, Papa Francesco ha chiamato Pannella, reduce da un delicato intervento per un aneurisma all'aorta addominale, per informarsi delle sue condizioni di salute e per capire fino a che punto voglia portare avanti i suoi digiuni per i diritti dei detenuti.

Dopo i saluti, Papa Bergoglio ha chiesto a Pannella se corrispondeva al vero quanto letto sui giornali circa la sua decisione di riprendere subito lo sciopero della fame e della sete in favore dei carcerati. "È così", ha confermato il leader Radicale, spiegando che solo in questo modo riesce a tenere alta l'attenzione dei media sulla sua denuncia contro le condizioni disumane dei detenuti.

Anche a costo di mettere a repentaglio la sua salute, già debilitata a causa dell'intervento. Poi la telefonata è entrata nel vivo. Pannella ha ricordato l'impegno di papa Woytila per le condizioni dei carcerati. E papa Bergoglio, il papa che l'anno scorso celebrò la messa di giovedì santo lavando i piedi di 12 giovani detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha dato tutto il suo appoggio alla battaglia del vecchio leone radicale, promettendo un suo intervento diretto.

"Sia coraggioso, eh, anche io l'aiuterò, contro questa ingiustizia... ne parlerò di questo problema, ne parlerò dei carcerati", è stato l'impegno che si è assunto il papa durante il colloquio con il leader radicale. E Pannella ha risposto ricordando che c'è "una parola chiave" per sbloccare l'emergenza carceri: l'amnistia.

Alla fine della telefonata, durata una ventina di minuti, Pannella ha deciso di dar retta al Papa, e ha interrotto per un momento lo sciopero della sete: ha bevuto un caffè e ha accettato di sottoporsi a due trasfusioni di sangue che erano state richieste dai medici del Gemelli.

Poi ha comunicato che da quel momento sarebbe tornato a non bere più nulla. L'annuncio di volere proseguire la sua protesta era stata comunicata da Pannella nella conferenza stampa di giovedì al Gemelli, l'ospedale dove è stato operato e dove è ancora ricoverato. Pannella si era presentato con un sigaro in bocca, ("l'unico lusso che mi permetto") e aveva rilanciato la battaglia per giustizia più giusta e per l'amnistia che "alleggerirebbe la disumana situazione carceraria". Pannella ha ricordato che l'Unione Europea ha condannato lo Stato italiano innumerevoli volte imponendo anche il risarcimento dei danni ai detenuti. "Questa situazione è inaccettabile - ha detto Pannella - dovrebbe essere giudicata dal Tribunale di Norimberga".

di Marco Dell'Omo

Stati Uniti: e ora "peace on drugs"... arriva l'amnistia di Obama per di neri, ispanici e tossicodipendenti

Il Manifesto
Il presidente Usa grazia otto carcerati e annuncia la clemenza generalizzata per liberare le celle piene di neri, ispanici e tossicodipendenti. È il tramonto dell'era reaganiana segnata dalla crociata proibizionista e dalla carcerazione di massa. Qualche mese fa Barack Obama ha concesso la grazia ad otto detenuti federali. Nel darne l'annuncio a dicembre aveva detto: "Commutare le sentenze di questi otto Americani è un passo importante per ribadire ideali fondamentali di giustizia ed equità, ma non deve essere l'ultimo".
L'affermazione è storica perché denuncia implicitamente la generale ingiustizia che l'ha preceduta e annuncia un inversione ideologica di portata potenzialmente più radicale di quella della riforma sanitaria che tanto ha assorbito la sua amministrazione. Questa settimana Obama ha tenuto fede a quella dichiarazione annunciando l'allargamento delle "clemenze esecutive" che potrebbe equivalere ad una sostanziale amnistia per migliaia di detenuti federali.

Uno degli otto "graziati", Clarence Aaron di 43 anni era stato arrestato poco più che ventenne. Studente modello e giocatore di football aveva avuto un ruolo secondario in una "transazione di droga": aveva presentato un suo ex compagno di liceo, ora spacciatore, ad un compagno di università il cui fratello trafficava anch'egli in droga.

I due spacciatori in seguito si erano messi d'accordo per la compravendita di 9kg di cocaina e quando la polizia li aveva arrestati avevano implicato il giovane Aaron in cambio di un alleggerimento delle pene. Il ragazzo che invece si era rifiutato di collaborare con gli inquirenti e denunciare i suoi amici, era stato condannato a tre ergastoli.

Per incredibile che possa sembrare la pena "esemplare" non fu fuori dal comune, specie per l'epoca, negli anni 90 all'apice della war on drugs, l'escalation del proibizionismo "armato" che in 40 anni ha fatto scempio nelle comunità emarginate programmatica mente rappresentate in questo caso dal giovane afroamericano Aaron.

Dopo essere stata dichiarata da Richard Nixon, come parte della famigerata "tolleranza zero contro la criminalità", la war on drugs è assurta a fondamentale componente della demagogia politica, codificata negli statuti giudiziari in misura sempre più imprescindibile dal "mandatory sentencing" maxi pene obbligatorie che i giudici erano (sono) tenuti ad imporre. In molti Stati sono state varate leggi come la famosa 3 strikes californiana che impone l'ergastolo obbligatorio alla terza infrazione, qualunque essa sia.

Così per oltre 30 anni il flusso di prigionieri di lungo corso per crimini nonviolenti legati agli stupefacenti si è ingrossato senza sosta. Risultato: un ipertrofico complesso penale-industriale articolato in migliaia di penitenziari e prigioni, un gulag nazionale in cui sono incarcerati un incredibile 2,3 milioni di persone, una popolazione che dal 1985 è quintuplicata.

Oggi gli Usa che rappresentano circa il 5% della popolazione mondiale detengono notoriamente dietro le sbarre il 25% dei prigionieri del mondo, la gran maggioranza dei quali condannati per reati "di droga" spesso irrisori. Intanto la "droga" come fenomeno non accenna minimamente ad essere sconfitta. La crociata giustizialista ha trovato nuovo impulso negli anni del reaganismo ed è stata particolarmente virulenta nell'era neoconservatrice, diventando sempre più strumento di controllo sociale.

[...]

Anche l'amnistia di Obama ufficialmente è motivata dal ridimensionamento dei costi della carcerazione, ma nel contesto storico si tratta in realtà di una radicale inversione di rotta rispetto al giustizialismo rampante che per trent'anni ha riempito le galere americane e contro il quale il suo l'attorney general, il ministro della giustizia Eric Holder nel secondo mandato si è espresso sempre più esplicitamente.

Holder ha apertamente denunciato "un utilizzo eccessivo della carcerazione" come rimedio sociale economicamente insostenibile oltreché eccessivamente costoso in termini "umani e morali". Il discorso che Holder ha fatto a questo riguardo lo scorso agosto alla conferenza degli avvocati americani era stato in alcuni suoi passaggi, nientemeno che epocale: "Ora che la cosiddetta war on drugs sta per entrare nel suo quinto decennio - ha detto il ministro - dobbiamo chiederci se sia davvero stata efficace.

Con la nostra enorme popolazione di detenuti dobbiamo chiederci se la carcerazione sia davvero usata per punire, dissuadere e riabilitare o se si tratti in realtà di un semplice strumento per immagazzinare e dimenticare

La pura verità è che sia a livello federale che statale che locale è ormai divenuta inefficace e insostenibile. (Inoltre) dobbiamo riconoscere che una volta nel sistema, le persone di colore subiscono punizioni molto più severe delle loro controparti. Le sentenze "obbligatorie" hanno avuto con la loro inflessibilità un effetto destabilizzante sulle popolazioni povere e di colore. Negli ultimi anni - ha concluso Holder - i detenuti neri hanno ricevuto condanne più lunghe del 20% rispetto a quelli bianchi per delitti simili. Questo non solo è inaccettabile, non è degno della giustizia in questo Paese ed è vergognoso".

Una vergogna cui occorrerebbe porre rimedio con una integrale riforma delle leggi e sanzioni troppo per il presidente che in questo anno elettorale difficilmente avrebbe potuto superare l'ostruzionismo repubblicano su un tema "caldo" come l'ordine pubblico. Obama ha invece agito per decreto, usando la facoltà presidenziale della grazia ed estendendola potenzialmente migliaia di detenuti. Anche se l'amnistia dovrà essere concessa di volta in volta ai singoli detenuti c'è chi, come Jerry Cox, presidente dell'associazione degli avvocati ha parlato di "inizio della fine dell'era della carcerazione di massa".

Il ministero di giustizia intanto sembra intenzionato a fare sul serio. Per cominciare è stato rimosso Ronald Rodgers, il procuratore preposto a valutare le domande di clemenza, un noto falco che si adoperava di fatto per insabbiare le pratiche - compresa quella di Clarence Aaron che per molti anni ha cestinato - prima che giungessero al presidente. E in secondo luogo mettendo a diposizione difensori d'ufficio a chiunque voglia inoltrare una pratica. Se riuscirà in seguito ad ampliare le riforme, l'intervento sulle carceri potrebbe essere il retaggio più tangibile del primo presidente afroamericano.

di Luca Celada

Arabia Saudita: donna sfida divieto guida, condannata a 150 frustate e 8 mesi di carcere

Aki
Una donna saudita è stata condannata a 150 frustate e otto mesi di carcere per aver osato sfidare il vecchio e controverso divieto di guidare. La donna, riferisce l'agenzia di stampa Dpa che cita i media locali, è anche accusata di resistenza a pubblico ufficiale.
Il divieto per le donne di guidare non è contenuto in alcuna legge saudita, ma nel 1990 un decreto ministeriale ha formalizzato quella che era una consuetudine. Secondo diverse fonti la sentenza nei confronti della donna è particolarmente dura per l'aggravante della resistenza a pubblico ufficiale.

USA: The slow death of the death penalty

The Economist
So far this year 19 prisoners have been put to death in America, seven of them in Texas. Another 14 are scheduled to die. According to Amnesty International, America executes more people than any country except China, Iran, Iraq and Saudi Arabia—disreputable peers for the land of the free. But capital punishment is less common and less popular than it was, and concerns over cost, efficacy and execution methods may be hastening its demise.


Even if all the executions scheduled for this year are carried out—which is unlikely—a total of 33 would be the lowest since 1994, and would have fallen by two-thirds from the peak of 98 in 1999 (see chart). In 2013 American juries handed out just 80 death sentences: a slight increase from the previous year, but still close to the lowest level in 40 years. As of October 1st 2013, 3,088 Americans were on death row—down from a peak in 2000 of 3,593.

Several factors have driven death sentences and executions down. The simplest may be that America’s homicide rate has declined sharply—from 10.2 per 100,000 people in 1980 to 4.7 in 2012.

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France - Dans un jardin public a Saint-Ouen, 200 réfugiés syriens - Les carences du système d'asile

Le Monde
C'est dans un jardin public entouré d'immeubles résidentiels, à Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis) que sont installés, depuis plusieurs semaines, quelque 200 Syriens, dont une quarantaine d'enfants. Une situation inédite et difficile pour cette commune défavorisée. 

Mardi 22 avril, son maire, William Delannoy (divers droite), qui vient de ravir la ville au Parti communiste, a lancé un appel solennel à l'aide de l'Etat. Plusieurs associations sont mobilisées, alors que le sort de ces Syriens vient une nouvelle fois souligner les carences du système d'asile français, saturé.

Mardi, plusieurs femmes avec enfants étaient toujours là, assises à l'ombre des arbres. Installées sur des couvertures fatiguées, elles donnent à grignoter des biscuits secs à leurs enfants. Les hommes fument à l'écart. Il y a aussi des nouveau-nés. La plus jeune, Asala, offre ses sourires aux adultes : une petite fille née il y a cinq mois, en Espagne, sur la route de l'exil. L'Espagne, la plupart de ces réfugiés disent y être passés pour venir en France. Souvent après un périple qui leur a fait traverser l'Egypte, l'Algérie et le Maroc.

Comme Younès, 28 ans, qui enseignait le français à Alep quand la guerre a commencé. « Avec ma femme et ma fille, on a quitté la Syrie il y a presque trois ans, raconte-t-il dans un français parfait. On s'est faits conduire en voiture jusqu'au Maroc et on est resté deux mois à Melilla [enclave espagnole au nord du Maroc] avant de passer la mer. »

[...]

Verona, multa fino a 500 € a chi porta cibo ai senzatetto

Lettera 43
Il Comune di Verona corre ai ripari per evitare i bivacchi di senzatetto e sbandati in alcune piazze del centro storico. Scatenando inevitabili polemiche sulle sanzioni previste per chi porta cibo ai meno fortunati.
In data 22 aprile, infatti, il sindaco Flavio Tosi ha emesso un'ordinanza che vieta, pena multe da 25 a 500 euro, la distribuzione di alimenti e bevande in una serie di aree di pregio. Ne fanno parte - ha riferito L'Arena di Verona - piazza Viviani, piazza Indipendenza (compresi i giardini), cortile Mercato vecchio, cortile del Tribunale e piazza dei Signori.

ORDINANZA FINO A OTTOBRE. L'ordinanza è destinata a restare in vigore fino al 31 ottobre 2014. Una misura nata sulla scorta delle proteste dei residenti di queste aree, che hanno visto portici e piazze di alcune delle zone più belle della città trasformarsi in bivacchi per chi non ha fissa dimora, con tanto di materassi, bottiglie e avanzi di cibo abbandonati.

VINCOLO MONUMENTALE. Alcune di queste aree, come i giardini di piazza Viviani, sono sottoposte a vincolo monumentale e paesaggistico, altre danno accesso a sedi espositive prestigiose, come il palazzo della Ragione, dove gli accessi finiscono talvolta per essere ostruiti da «accampamenti» improvvisati.

TOSI SI DIFENDE. La permanenza in queste zone di senzatetto e bisognosi risente del fatto che associazioni caritatevoli e singoli cittadini sono soliti lasciare loro cibo e bevande. Il sindaco Tosi ha voluto chiarire che non si tratta di una misura contro i poveri, dato che il Comune ha predisposto da tempo locali adeguati per una somministrazione dignitosa dei pasti a chi ne ha bisogno. La stessa Ronda della carità ha già trasferito la propria attività fuori dal centro, in lungadige Rubele.

PREDISPOSTI SPAZI IDONEI. «Questa amministrazione», ha spiegato il primo cittadino, «ritiene fondamentale l’assistenza verso i più bisognosi, ma in un contesto di equilibrio con la civile convivenza, con il rispetto dei residenti e delle norme igienico-sanitarie. Per questo il Comune ha predisposto da tempo idonei locali per garantire una dignitosa somministrazione dei pasti e collabora attivamente con il privato sociale, laico e religioso, impegnato nel sostegno dei soggetti bisognosi».

venerdì 25 aprile 2014

Israele: 200 detenuti palestinesi in carcere hanno iniziato sciopero fame

Aki
Duecento palestinesi detenuti nelle carceri israeliane hanno iniziato oggi uno sciopero della fame fino a data da definirsi per protestare contro la politica detentiva di Israele. 

Lo ha annunciato l'avvocato per i diritti umani Jawab Boules da Ramallah all'agenzia di stampa Anadolu. "I detenuti hanno rifiutato il cibo oggi e annunciato l'inizio di uno sciopero della fame", ha spiegato il legale palestinese.

"Alcuni detenuti amministrativi sono in carcere da anni senza processo - ha aggiunto Boules. Le carceri sono diventate come case per loro". La detenzione amministrativa viene applicata da Israele ai palestinesi per motivi di sicurezza e senza processo. Può variare da uno ai sei mesi, ma può anche essere estesa a cinque anni da un Tribunale militare israeliano.

Boules ha però accusato le autorità israeliane di aver violato i termini di un accordo firmato con la mediazione egiziana per mettere fine a uno sciopero della fame collettivo dei detenuti palestinesi nel 2012 durante il quale Israele si impegnava a non rinnovare la detenzione amministrativa senza giustificazioni legali. Secondo i dati diffusi dalla ong palestinese Centro di studi e ricerche sui detenuti, sono circa cinquemila i palestinesi in 22 tra carceri e centri di detenzione in Israele. Tra questi si contano 200 minori e 19 donne.

Siria: Giordania apre nuovo campo per 130.000 profughi - Struttura attrezzata con scuole e ospedale

ANSAmed
Amman - Un secondo campo per i rifugiati, che potrà ospitare fino a 130.000 persone, è stato aperto in Giordania per aggiungersi a quello di Al Zaatari, nel nord del Paese.


La nuova struttura, il campo di Mehkheizen al Gharbia, nel deserto orientale, e' stata costruita con una donazione di dieci milioni di dollari dal Kuwait e da alcuni Paesi occidentali. I primi profughi, hanno fatto sapere le autorita' di Amman, cominceranno ad arrivare quando sara' al completo il campo di Al Zaatari. Il nuovo campo e' stato organizzato per facilitare la vita dei rifugiati, dopo una serie di proteste anche violente scoppiate ad Al Zaatari a causa delle precarie condizioni.

Mehkheizen al Gharbia sara' diviso in 12 villaggi, avra' due scuole, per una capacita' complessiva di 10.000 studenti, ha sottolineato il suo direttore, Atef al Omoush. Almeno parte dell'energia necessaria sara' prodotta da pannelli solari.

Secondo l'Onu, sono 530.000 i rifugiati siriani arrivati in Giordania negli ultimi tre anni, ma si teme che l'afflusso continui a causa del perdurante conflitto civile.

Italia - Quei 40 bambini in carcere senza colpe e 100mila hanno un genitore detenuto

Il Journal
Quaranta bambini vivono in prigione con le loro madri. Ma qualcosa è cambiato grazie a delle novità. Le ultime notizie su un fenomeno complesso.


In carcere da innocenti, che più innocenti è impossibile. E’ il drammatico destino che vivono quaranta bambini, in prigione insieme alle loro madri. Le cifre sono state comunicate dal ministro ella Giustizia, Andrea Orlando. Dodici bambini, poi, sono in regime di custodia attenuata. Un fenomeno che rischia di segnare profondamente l’infanzia di questi piccoli, che tuttavia non hanno altra possibilità se non quella di pagare le pene dei propri genitori.

Di recente sulla questione, seppure su un piano differente, c’è stato un importante passaggio sui diritti dei figli dei detenuti. Un protocollo di intesa, fortemente voluto dall’associazione Bambini senza sbarre, ha stabilito, tra le tante cose, che «la scelta del luogo di detenzione di un genitore con figli di minore età tenga conto della necessità di garantire la possibilità di contatto diretto tra loro durante la permanenza nell’istituto penitenziario». Inoltre ogni minorenne deve avere la possibilità di fare visita al genitore detenuto entro una settimana dall’arresto e, con regolarità, da quel momento in poi.

Infine, in tutte «le sale d’attesa sia attrezzato uno “spazio bambini”, dove i minorenni possano sentirsi accolti e riconosciuti. In questi spazi gli operatori daranno ospitalità e forniranno ai familiari l’occorrente per un’attesa dignitosa (come scalda biberon o fasciatoio) e, ai più piccoli, strumenti tipo giochi o tavoli attrezzati per il disegno, per prepararli all’incontro con il genitore detenuto», spiega un articolo del documento.

Secondo i numeri dell’associazione Bambini senza sbarre, in Italia 100mila figli hanno un genitori in carcere. E proprio per questo occorre una battaglia culturale e politica per evitare che vengano emarginati.

giovedì 24 aprile 2014

Bahrein: centro diritti umani, quasi 3000 detenuti politici Bchr, morto dopo due mesi coma manifestante colpito da polizia

AnsaMed
Roma, Sono almeno 2.853 i detenuti per ragioni politiche in Bahrein - il piccolo emirato del Golfo a maggioranza sciita ma governato da una minoranza sunnita - investito anch'esso dall'ondata delle rivolte arabe del 2011, represse anche con l'aiuto militare dell'Arabia Saudita. 

A fare il punto è il Bahrain Center for Human Rights (Bchr), che riferisce anche della morte, dopo due mesi di coma, di un manifestante ferito dalle forze dell'ordine nel corso di una protesta a febbraio. La vittima - AbdulAziz Moussa Al-Abbar, 27 anni - sarebbe stato colpito alla testa da un lacrimogeno, oltre che da fucilate a pallini da parte della polizia che sparava contro i manifestanti. Le proteste erano seguito al funerale di una giornalista nel villaggio di Saar.

La settimana scorsa, riferisce ancora il Bchr, vi sono stati una cinquantina di arresti, fra cui almeno sette minori, mentre cinque detenuti sono stati rilasciati. Il mese scorso, ricorda l'organizzazione per i diritti umani, è stato condannato a dieci anni di carcere il fotogiornalista Ahmed Humaidan, insignito di numerosi riconoscimenti internazionali. La sentenza sarebbe stata emesso al termine di un processo non equo, e dopo che l'imputato, durante la detenzione, era stato sottoposto a varie forme di tortura, si afferma. 

Il Bahrain Center for Human Rights è presieduto dal noto attivista Nabeel Rajab, che sta scontando tre anni di carcere, e da Maryam Al-Khawaja, figlia di Abdulhadi Al-Khawaja, condannato all'ergastolo e protagonista di un lungo sciopero della fame in occasione della Formula 1 del 2012.

Iran - Dopo la grazia a Balal si dibatte sulla pena di morte

Corriere della Sera - Amnesty International
Dopo l’incredibile vicenda di Balal, graziato sul patibolo 10 giorni fa dalla madre del ragazzo che egli aveva assassinato, le esecuzioni in Iran sono riprese a pieno regime, arrivando a circa 200 dall’inizio dell’anno.


Tra le persone messe a morte negli ultimi giorni, c’erano anche dei minorenni al momento del reato tra cui Ahmad Rahimi, Ali Fouladi, Ali Sharifi, condannati all’impiccagione per omicidi commessi quando avevano rispettivamente 17, 16 e 14 anni.

L’annullamento della condanna a morte di Balal è stato reso possibile in primo luogo dalla straordinaria umanità della madre di Abdollah Hossainzadeh, che Balal aveva assassinato durante una rissa sette anni prima; ma anche dal fatto che, attorno ai coniugi Hossainzadeh si è coagulato un movimento contrario alla pena di morte che certamente ha avuto un peso nell’influenzare la loro decisione dell’ultimo minuto ma ha anche fatto sapere loro che – nonostante ciò che si pensi in Occidente – tantissime persone in Iran non sono d’accordo con la logica del qisas, dell’occhio per occhio dente per dente.

Ha contribuito anche la popolarità del padre di Abdollah, Ghani Hosseinzadeh, ex calciatore. Suoi vecchi colleghi lo hanno chiamato al telefono per chiedergli di risparmiare la vita dell’assassino di suo figlio. Un milione di telespettatori ha aderito all’appello lanciato alla televisione da un celebre presentatore sportivo, Adel Ferdosipour.

Col risarcimento ottenuto dai parenti di Balal, i coniugi Hosseinzadeh apriranno una scuola calcio intitolata alla memoria del figlio.

Ora il movimento d’opinione contrario alla pena di morte ci riprova. Il caso è quello di Reyhaneh Jabbari, 26 anni, condannata a morte nel 2007 per aver ucciso un uomo. Lei sostiene di aver agito per autodifesa dopo che l’uomo, un ex impiegato del ministero della Sicurezza e dell’Intelligence, l’aveva aggredita con l’intenzione di violentarla. L’esecuzione era prevista il 14 aprile ma è stata sospesa.

Per salvare la vita di Reyhaneh “in nome dell’umanità” si sono mobilitati il celebre regista Ashgar Fahradi (autore di “Una separazione” e de “Il passato”, di un film nel quale l’allora bambina Reyhaneh aveva recitato una piccola parte nonché di “Beautiful city”, proprio sulla pena capitale).

È pronta anche Tahmineh Milani, altra acclamata regista iraniana, che nel 2001 ha rischiato di essere condannata a morte a causa di un film. Da anni mette a disposizione il ricavato dei suoi film per i risarcimenti da offrire alle famiglie delle vittime del crimine in cambio della salvezza dell’assassinio.

Potrebbe andare meglio rispetto a quando, nel 2009, una mobilitazione senza precedenti in Iran non riuscì a evitare l’esecuzione di Behnoud Shojaee. Colpevole di aver ucciso un coetaneo quando aveva 17 anni, non ottenne il perdono dei genitori della vittima e venne impiccato.

Secondo molti, la vicenda di Balal può costituire una svolta. Il giornalista Siamak Bahari ha elogiato il gesto della famiglia Hossainzadeh e ha parlato di una“decisione storica da parte della società, ora pronta a sfidare la pena di morte”. La stessa Milani ritiene che “la gente dovrebbe considerare sul serio quanto può essere importante, ogni firma può cambiare il destino di una persona”.


Link correlati: Iran, stop esecuzione all'ultimo minuto - Balal, perdonato sul patibolo dalla madre della vittima

Carcere - Corte europea dei Diritti dell'Uomo: nuova condanna all'Italia

Vita
È del 22 aprile l'ultima condanna da parte della Corte di Strasburgo per la violazione, all'interno delle carceri italiane dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo
Ennesima condanna per l'Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Ancora una volta, infatti, nelle carceri italiane si viola l'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo per trattamento inumano e degradante.

Il riferimento è all'ultima sentenza di ieri della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – la numero 73869/10 – che ha condannato il nostro Paese a risarcire un detenuto, Giovanni Castaldo, ristretto nella Casa circondariale di Bellizzi Irpino, per il ritardo con il quale gli sono state prestate le cure mediche. Per i giudici di Strasburgo, negare la salute dei detenuti, equivale a un trattamento inumano.

Il caso, seguito dal Difensore Civico di Antigone e dall'avvocato Cristiana Bianco, si riferisce ad un detenuto che - racconta una nota dell'associazione Antigone -, arrestato nel febbraio 2009, fu prima rinchiuso nel penitenziario di Poggioreale, posto successivamente agli arresti domiciliari, per essere riportato nuovamente in carcere – a Bellizzi Irpino – nell'ottobre dello stesso anno. All'arrivo nel carcere di Bellizzi Irpino lo stesso fece presente che, essendo stato sottoposto ad un intervento chirurgico che aveva provocato in lui dei gravi postumi, avrebbe dovuto essere collocato in una cella singola dotata di servizi igienici con possibilità di lavaggio quotidiano. Una situazione questa che non ha trovato riscontro immediato da parte dell'autorità penitenziaria tanto da spingere il detenuto a diversi tentativi di suicidio, il primo dei quali nel novembre dello stesso 2009.
Ed è proprio sul tempo trascorso da questo primo tentativo e l'inizio del ciclo di riabilitazione per risolvere i problemi di salute dello stesso che la Corte si è soffermata. Questi ritardi hanno infatti “creato nell'uomo – secondo i giudici – costanti sentimenti di ansia ed inferiorità, sufficienti a costituire una umiliazione e il conseguente trattamento degradante previsto dall'articolo 3 della Convenzione”.
Per questo i giudici hanno accolto il ricorso condannando l'Italia a risarcire economicamente il detenuto con una somma pari a 25.000 euro.

mercoledì 23 aprile 2014

Lettera dll'Egitto: "noi, prigionieri siriani nelle carceri egiziane con donne e bambini"

L'Unità
Quella che segue è una lettera di profughi siriani, fuggiti alla guerra e torture in Siria, che si ritrovano trattenuti in un commissariato di polizia in Egitto.

"Noi prigionieri del posto di polizia al Rashid ad Alessandria d'Egitto, arrestati il 14 aprile 2014, e a nome di tutti i prigionieri siriani presenti nelle carceri egiziane, chiediamo un corridoio umanitario verso l'Europa. Non siamo delinquenti per meritare di essere messi in carcere, con i nostri bambini e le nostre donne. Solo in questo posto di polizia ci sono 44 i bambini che dal 14 dormono a terra, non hanno pannolini a sufficienza , non mangiano e dormono bene. In vita nostra non siamo mai rimasti senza una doccia per una settimana. Qui le condizioni igieniche sono a dir poco pericolose e i nostri bambini si ammalano giorno dopo giorno. Come ha sofferto l'Europa negli anni del nazifascismo stiamo soffrendo oggi noi. Questo è l'olocausto siriano, molti di noi anche dopo l'uscita dal carcere non potranno rinnovare il loro permesso per restare in Egitto. Non possiamo tornare nella nostra terra perché molte delle persone qui presenti hanno i loro nomi nelle liste nere del regime siriano e quindi un ritorno in Siria significa pena di morte.

Con noi è presente una persona che sta male e che ha bisogno di cure di lunga durata, perché è stato torturato nelle prigioni siriane. È arrivato il momento che il mondo senta il nostro grido anche noi siamo essere umani e non vogliamo che il mondo si svegli un giorno per commemorare un altro 27 gennaio.

Salvateci e salvate le vite dei nostri bambini. Potreste mai accettare che i vostri figli vivano in carcere? Potreste mai accettare che i vostri figli muoiano in mare? Accettereste mai come tomba per i vostri figli il mar mediterraneo? Tante persone prima di noi sono annegate e nonostante siamo consapevoli di questo sappiamo benissimo che se non ci verrà concesso un corridoio umanitario tanti siriani come noi tenteranno la fortuna via mare perché non possiamo perdere più di quello che già abbiamo perso"
.

I prigionieri di al Rashed in rappresentanza di tutti i prigionieri siriani nelle carceri egiziane

Iran: impiccato 19enne, era stato condannato a morte in minore età

Aki
Un 19enne iraniano, Ebrahim Hajati, è stato impiccato nel carcere di Mashad, nel nord-est della Repubblica islamica, perché colpevole di un omicidio commesso quando era ancora minorenne. Lo ha denunciato Iran Human Rights (Ihr), un'Ong che si batte contro la pena di morte, secondo cui l'esecuzione è stata eseguita domenica nel carcere di Vakilabad.

Secondo Ihr, Hajati era stato condannato alla pena capitale per aver ucciso durante una lite, quando aveva 16 anni, un ragazzo di tre anni più grande, identificato con il nome di Abdollah. La stessa Ong ha riferito la scorsa settimana che altri tre giovani sono saliti al patibolo per reati commessi quando erano ancora minorenni nel carcere di Bandar Abbas, nel sud della Repubblica islamica.

Siria - Campo profughi di Yarmouk alla catastrofe umanitaria - Onu: 30 persone morte di fame

MISNA
Il campo profughi di Yarmouk, alla periferia di Damasco, è “sull’orlo della catastrofe umanitaria”: a denunciarlo sono i responsabili dell’Onu a cui è impedito di consegnare aiuti alla popolazione – principalmente palestinese – che vive nel campo. Secondo gli attivisti di recente almeno 30 persone sono morte di fame nel campo, un bilancio che porta a più di cento le vittime dall’inizio dell’assedio imposto dall’esercito siriano, circa un anno fa.
Da quando un fragile accordo tra le parti è definitivamente venuto meno, il mese scorso, gli operatori sono riusciti ad accedere ai civili solo in modo sporadico, mentre sono circa 20.000 le persone che necessitano di aiuti per sopravvivere.

Ad oggi – denuncia l’Unrwa, l’organizzazione Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi – sono 12 giorni che nessun pasto viene consegnato a Yarmouk. Secondo gli oppositori al regime del presidente Bashar al Assad, i civili intrappolati nell’assedio militare includerebbero anche alcune zone zone circostanti, per un totale di oltre 50.000 persone.

Dal canto suo, il governo accusa i ribelli del fronte al Nusra di non aver rispettato gli accordi e di essersi re infiltrati nel campo che, di conseguenza, nasconderebbe centinaia di combattenti jihadisti con le loro armi.

Un esponente dei Comitati per il coordinamento rivoluzionario, Ismail al Darani racconta al quotidiano panarabo Asharq al Awsat che molti degli abitanti hanno cominciato a coltivare verdure, erbe e radici sui tetti e sui balconi, ma che l’area su cui sorge il campo manca di terra arabile a sufficienza per far fronte alla crisi.

I pochi alimenti che riescono ad essere contrabbandati vengono venduti al mercato nero a prezzi esorbitanti, con conseguenze penose sulla salute di tutti, soprattutto i bambini.

[AdL]

martedì 22 aprile 2014

Italia - Immigrati: alcuni politici vogliono lasciar morire in mare uomini, donne e bambini

La Repubblica
Abissi spaventosi quelli che sa toccare la peggiore politica. Neri e profondi come il mare che troppe volte ha inghiottito i disperati in cerca di asilo, a poche miglia dalle nostre coste. A prenderli sul serio fanno patirà Salvini e Gasparri che urlano "adesso basta soccorsi" ben sapendo di solleticare istinti diffusi in un popolo sempre incline a cercare nemici e per lo più fiaccato dalla crisi che tutti arrabbia e inaridisce.

E questa volta ha ragione Angelino Alfano, ministro degli interni, contro il quale muove chiaramente l'offensiva elettorale ma che non insegue su questo irresponsabile terreno gli ex colleghi di partito. Ovviamente cosa del tutto diversa è pretendere che l'Europa non ci lasci soli a difendere una frontiera che è continentale. Ed ancora diverso è proporre misure di prevenzione e solidarietà alternative allo spiegamento di forze della Marina militare.
Proposte valide come quelle avanzate sul Mattino da Luigi Manconi che partendo dall'ineluttabilità del crescente fenomeno migratorio, e dalla ormai pacifica preponderanza di chi domanda asilo, chiede di invertire le tappe di quei viaggi disperati collocando nei porti di partenza le verifiche che oggi effettuiamo caoticamente all'esito degli sbarchi.

Per poter poi governare con meno spreco di risorse e meno ambasce i trasferimenti. Per non dire ancora del vergognoso stato dei centri di accoglienza ridotti a lager per innocenti. Ma tutto questo, come è persino avvilente dover sottolineare, nulla ha a che fare con il tribale appello a fermare i soccorsi, in buona sostanza a "lasciarli morire".

Il punto è che dimentichiamo tutto. Ogni giorno seppellisce il precedente senza una scala di valore. Scordiamo cosi l'immane tragedia di ottobre a pochi metri da Lampedusa, con centinaia di morti stipati in sale motori peggio che in carri bestiame.
Tutti allora piangevamo ma molte erano lacrime di coccodrillo che basta una campagna elettorale a spazzare via. Senz'altro si può fare meglio, ma fermare i soccorsi vuol dire nuove sfilate di bare e nuovi fiori in un mare di ipocrisia. A quel punto insieme al triste sciabordio delle onde, nelle orecchie ci resterebbe solo l'impietosa e struggente voce di Candice Bergen in Soldato blu davanti al massacro dei Cheyenne: e ora non piangi più, soldato, non reciti poesie?

di Gianluigi Pellegrino

lunedì 21 aprile 2014

Testimonianza dal Centrafrica: tra gli orrori della guerra le suore con coraggio salvano 4mila rifugiati

Città Nuova
Una religiosa appena rientrata da Bangui ci racconta le indicibili sofferenze della popolazione e l'eroismo delle sue consorelle che hanno salvato la vita a quattromila rifugiati. Mercoledì è stato rapito il vescovo e giovedì è stato ucciso un sacerdote. Si continua a sperare e a chiedere la pace


In questi lunghi mesi di guerra nella Repubblica centrafricana, suor Lorenza è stata la voce, attraverso cui, anche Città Nuova ha potuto raccontare l'orrore di un conflitto assurdo, gli eroismi delle religiose, l'impegno dei medici. L'11 marzo, in piena crisi politica, suor Fiorenza ha preso di corsa un volo per raggiungere le sue consorelle. Lasciamo a lei la parola.

«Appena iniziata la manovra di atterraggio, appare sotto di noi uno sterminato campo profughi, un immenso ammucchiarsi di tende. Una voce dal microfono ci dà il benvenuto a Bangui e ci ricorda che è proibito scattare fotografie.

È da più di un anno che la popolazione soffre, e le nostre suore hanno vissuto momenti difficilissimi: alcune sfollate e rifugiate come tanti nelle parrocchie, altre minacciate per aver accolto famiglie che sono rimaste senza casa perché bruciata dai ribelli. Le chiese, case di Dio, sono diventate case del popolo, dove tanta gente ha trovato riparo. La nostra missione di Bouca a 400 chilometri da Bangui, è stata rifugio di più di quattromila persone che sono state risparmiate ai massacri, grazie al coraggio delle suore, Figlie di Maria Missionarie, che le hanno accolte nelle aule della scuola e nel cortile. I militari sono arrivati, hanno circondato la missione e intimato ai missionari di far partire i rifugiati, minacciando di uccidere tutti se l’ordine non fosse stato eseguito. I missionari hanno scelto di morire insieme ai rifugiati piuttosto che costringerli a fuggire. La loro determinazione nel sostenere la decisione, ha significato la salvezza per tutti.

Purtroppo, le atrocità continuano, molti sono ancora bloccati in campi di fortuna, dove le condizioni di vita rimangono precarie. Non vi è ancora stato alcun passo in avanti per incrementare l’assistenza umanitaria di cui c’è estremo bisogno. Con la stagione delle piogge, le poche équipe che lavorano in ambito igienico-sanitario, stanno lottando per non lasciare il terreno dove vivono gli scampati, si trasformi in una palude. La possibilità di focolai di malattie aumenta ogni giorno che passa e la situazione nutrizionale è al collasso. "Medici senza frontiere" sta facendo di tutto per rispondere ai bisogni degli sfollati e le altre agenzie umanitarie devono riadattare la propria strategia all’emergenza in corso.

Ho visitato Bouca, dove negli anni passati ho lavorato per otto anni: una vera desolazione. Interi quartieri sono stati bruciati. Il tetto delle case, fatto di paglia, è completamente andato in fumo. C’è tanta, tanta riconoscenza nei confronti delle suore, gratitudine per la loro presenza. Molti tra gli abitanti, hanno detto: «Senza le suore sarei già cadavere». Grazie alla preghiera di tanti ed alla tenacia delle suore, molte vite umane sono state risparmiate e si può continuare a credere nella presenza di Dio che salva.

In questi momenti difficili le mie consorelle si sentono sostenute dallo spirito missionario trasmesso dal nostro fondatore padre Giacinto Bianchi che diceva alle prime missionarie. «Bisogna correre dove maggiore è il pericolo per aiutare a salvare l’umanità. Siate miracolo di gioia cristiana in mezzo alle tante difficoltà che la vita presenta.»

La nostra scuola “Siriri” (che vuol dire “Pace”) di Bangui ha riaperto i battenti e si fa lezione fra spari e scoppi di granate. A Bouca le suore stanno sensibilizzare i genitori per mandare i bambini a scuola; si va molto piano, ma dobbiamo comprendere la perplessità dei genitori che hanno paura di fare uscire i figli che corrono il pericolo di essere sequestrati per farne bambini soldati. In tutto il Centrafrica ne sono stati arruolati più di seimila. È una pena incontrare per le strade soldati armati che ci controllano, molti dei quali sono bambini.

Ho incontrato tanti bambini e tante famiglie che conosco da parecchi anni, vi assicuro che la fame e la sofferenza hanno sfigurato i loro volti, gli atti di violenza di cui sono stati testimoni e anche vittime, hanno cambiato le loro coscienze, più di una persona mi ha detto. “Non sono più la stessa!” Sì, bisogna costruire ciò che è stato distrutto, ma la cosa più difficile è ricostruire i cuori, sanare le ferite e formare cuori nuovi. Tuttavia, nonostante l'estrema povertà, la paura e lo squallore di quelle tende (abitazioni), tanti bambini riuscivano a correrci incontro con ancora un sorriso, con ancora la voglia di abbracciare.

Mercoledì il vescovo del luogo è stato rapito assieme a tre sacerdoti e dopo una notte di interrogatori incessanti è stato rilasciato. Ha provato a lasciare la curia, ma una raffica di proiettili glielo ha impedito, mentre proprio giovedì un giovane prete del paese di Paoua è stato assassinato, secondo fonti d'agenzia dai ribelli Seleka.

Ho voluto condividere ciò che ho vissuto perché anche voi possiate pregare per questa realtà sofferta e chiedere e credere che la pace sia ancora possibile».