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giovedì 24 aprile 2014

Carcere - Corte europea dei Diritti dell'Uomo: nuova condanna all'Italia

Vita
È del 22 aprile l'ultima condanna da parte della Corte di Strasburgo per la violazione, all'interno delle carceri italiane dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo
Ennesima condanna per l'Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Ancora una volta, infatti, nelle carceri italiane si viola l'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo per trattamento inumano e degradante.

Il riferimento è all'ultima sentenza di ieri della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – la numero 73869/10 – che ha condannato il nostro Paese a risarcire un detenuto, Giovanni Castaldo, ristretto nella Casa circondariale di Bellizzi Irpino, per il ritardo con il quale gli sono state prestate le cure mediche. Per i giudici di Strasburgo, negare la salute dei detenuti, equivale a un trattamento inumano.

Il caso, seguito dal Difensore Civico di Antigone e dall'avvocato Cristiana Bianco, si riferisce ad un detenuto che - racconta una nota dell'associazione Antigone -, arrestato nel febbraio 2009, fu prima rinchiuso nel penitenziario di Poggioreale, posto successivamente agli arresti domiciliari, per essere riportato nuovamente in carcere – a Bellizzi Irpino – nell'ottobre dello stesso anno. All'arrivo nel carcere di Bellizzi Irpino lo stesso fece presente che, essendo stato sottoposto ad un intervento chirurgico che aveva provocato in lui dei gravi postumi, avrebbe dovuto essere collocato in una cella singola dotata di servizi igienici con possibilità di lavaggio quotidiano. Una situazione questa che non ha trovato riscontro immediato da parte dell'autorità penitenziaria tanto da spingere il detenuto a diversi tentativi di suicidio, il primo dei quali nel novembre dello stesso 2009.
Ed è proprio sul tempo trascorso da questo primo tentativo e l'inizio del ciclo di riabilitazione per risolvere i problemi di salute dello stesso che la Corte si è soffermata. Questi ritardi hanno infatti “creato nell'uomo – secondo i giudici – costanti sentimenti di ansia ed inferiorità, sufficienti a costituire una umiliazione e il conseguente trattamento degradante previsto dall'articolo 3 della Convenzione”.
Per questo i giudici hanno accolto il ricorso condannando l'Italia a risarcire economicamente il detenuto con una somma pari a 25.000 euro.

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