Quasi 700 persone sono state condannate all'esecuzione capitale. Nella sentenza figura anche Mohamed Badie, leader dei Fratelli Musulmani.
Una condanna a morte di massa per i Fratelli Musulmani: 683 persone dovranno essere giustiziate in Egitto per gli scontri avvenuti nella città di Minya, capoluogo della provincia situata nel sud del Paese, lo scorso 14 agosto. Il Tribunale ha emesso una sentenza che rischia di acuire le tensioni: tra i nomi dei condannati c’è anche quello di Mohamed Badie, il leader della Fratellanza.
Le accuse mosse nei confronti degli imputati erano quello di omicidio e tentato omicidio. Durante i disordini, infatti, ci furono delle vittime anche tra i militari. Il giudice, inoltre, ha modificato il pronunciamento riguardante un “primo lotto” di condanne emesse a marzo nell’ambito di un altro processo: per 492 dei 529 condannati a morte, la pena è stata commutata in ergastolo.
La sentenza che riguarda Mohamed Badie rappresenta comunque un ulteriore pericolo per l’ordine pubblico del Paese. L’uomo, dal 2010, era a capo della divisione egiziana dell’organizzazione islamica, dichiarato fuori legge dal governo ad interim in cui il generale Al Sisi ricopre un ruolo fondamentale pur essendo “solo” il ministro della Difesa.
Subito dopo il colpo di Stato che ha rovesciato Morsi, Badie ha annunciato di non riconoscere altre autorità: nei giorni successivi è stato quindi arrestato nel clima di contrasto militare e giudiziario verso i Fratelli Musulmani.
Badie ha rappresentato sempre l’ala più intransigente dell’organizzazione, pur nella consapevolezza di giungere a compromessi per gestire il potere: il suo primo arresto risale al 1965 con una condanna a 15 anni. La scarcerazione è arrivata prima del previsto, però, nel 1974 per volere dell’allora presidente Sadat. Nel 1998 è finito nuovamente in carcere per altri 5 anni, ma anche dopo ha sempre dichiarato che l’obiettivo della Fratellanza era la costruzione di uno Stato retto dalla sharìa (la legge islamica). Un principio che si scontra con il laicismo della Repubblica egiziana.
Le accuse mosse nei confronti degli imputati erano quello di omicidio e tentato omicidio. Durante i disordini, infatti, ci furono delle vittime anche tra i militari. Il giudice, inoltre, ha modificato il pronunciamento riguardante un “primo lotto” di condanne emesse a marzo nell’ambito di un altro processo: per 492 dei 529 condannati a morte, la pena è stata commutata in ergastolo.
La sentenza che riguarda Mohamed Badie rappresenta comunque un ulteriore pericolo per l’ordine pubblico del Paese. L’uomo, dal 2010, era a capo della divisione egiziana dell’organizzazione islamica, dichiarato fuori legge dal governo ad interim in cui il generale Al Sisi ricopre un ruolo fondamentale pur essendo “solo” il ministro della Difesa.
Subito dopo il colpo di Stato che ha rovesciato Morsi, Badie ha annunciato di non riconoscere altre autorità: nei giorni successivi è stato quindi arrestato nel clima di contrasto militare e giudiziario verso i Fratelli Musulmani.
Badie ha rappresentato sempre l’ala più intransigente dell’organizzazione, pur nella consapevolezza di giungere a compromessi per gestire il potere: il suo primo arresto risale al 1965 con una condanna a 15 anni. La scarcerazione è arrivata prima del previsto, però, nel 1974 per volere dell’allora presidente Sadat. Nel 1998 è finito nuovamente in carcere per altri 5 anni, ma anche dopo ha sempre dichiarato che l’obiettivo della Fratellanza era la costruzione di uno Stato retto dalla sharìa (la legge islamica). Un principio che si scontra con il laicismo della Repubblica egiziana.
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