Non hanno commesso un reato, non lavorano per l’amministrazione penitenziaria, non sono nemmeno volontari. Eppure trascorrono le loro giornate in carcere.
Sono i circa sessanta bambini che stanno crescendo all’interno di cinque istituti di reclusione in Italia. Una realtà poco conosciuta: la legge 354 dell’ordinamento penitenziario permette alle detenute madri di piccoli dai 0 ai 3 anni di tenerli con sé.
Si evita così il trauma del distacco, ma per i bambini il prezzo rimane altissimo.
Nonostante la grande umanità degli operatori, i piccoli trascorrono i primi anni di vita in cella, in un ambiente opprimente, lontani dal padre e dai fratelli fino al compimento del terzo anno d’età. A quel punto dovranno lasciare la mamma.
Il carcere di Rebibbia a Roma è uno degli istituti che ospita una sezione nido.
In alcuni momenti è arrivato ad accogliere fino a diciannove bambini, molti di origine rom. “I nostri bambini stanno male. Non hanno colpe ma scontano una pena”, ci hanno raccontato le ragazze recluse che abbiamo incontrato. Madri e figli trascorrono le giornate in un luogo protetto e separato dal resto del carcere, ma senza libertà.
“Una vergogna, i casi sono così pochi che è inconcepibile che lo Stato non intervenga”, spiega Gioia Passarelli, presidente di ‘A Roma Insieme‘. L’associazione si prende cura dei piccoli che vivono nel nido di Rebibbia da 22 anni, organizzando feste di compleanno, gite al mare e in montagna.
Le detenute e i bambini potrebbero vivere in strutture diverse dal carcere, ad esempio in case famiglia. A Milano esiste l’Icam, l’Istituto a custodia attenuata, ma si tratta di un caso unico: per realizzare progetti simili in altre parti d’Italia non ci sono i fondi di Irene Buscemi e Maria Itri
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