Mobilitazione internazionale, ed espressioni di solidarietà anche al Cairo, per i giornalisti della tv satellitare Al Jazira condannati pesantemente in Egitto per presunto "sostegno ai Fratelli musulmani". Ma nonostante le proteste, il presidente e nuovo uomo forte egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha indirettamente respinto al mittente una richiesta di grazia avanzata dagli Stati Uniti.
A Londra, .di fronte alla sede della Bbc, centinaia di giornalisti si sono radunati per denunciare l'esito del processo sotto lo slogan "journalism is not a crime".
I partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio tappandosi la bocca con un nastro adesivo nero per sottolineare come il verdetto del Cairo rappresenti una violazione della libertà d'informazione. Intanto da Doha l'emittente panaraba ha moltiplicato i suoi appelli usando l'hashtag #freeajstaff.
E molte altre sono state le manifestazioni di sostegno ai reporter incarcerati diffuse in rete con foto o slogan. A turbare il mondo dei media è anche l'entità delle pene: con la condanna a sette anni inflitta al pluripremiato reporter australiano Peter Greste e all'egiziano-canadese Mohamed Fahmi (ex capo dell'ufficio cariota di Al Jazira) e quella a 10 anni di reclusione al producer locale Baher Mohamed.
Accusati di "disinformazione" e "sostegno materiale alla Confraternita" - di nuovo bandita come 'organizzazione terroristica dal nuovo potere egiziano - i tre sono ora nel carcere di Torà, al Cairo, assieme a quattro fotografi e operatori egiziani. Mentre7 altri 11 reporter imputati (tra cui due britannici e una olandese) sono stati condannati a 10 anni in contumacia. Ma l'allarme e gli appelli non sembrano smuovere Sisi.
"Non si compiono ingerenze nelle attività della magistratura, che è indipendente", ha sostenuto oggi il presidente ed ex generale al Cairo durante una cerimonia presso l'accademia militare. Una replica indiretta al coro di critiche internazionali, con Onu, Gran Bretagna e organizzazioni per la difesa dei diritti umani in testa, che aveva spinto Washington a sollecitare un atto di clemenza presidenziale come soluzione della vicenda.
"Chiediamo al governo egiziano di concedere la grazia a queste persone", aveva detto apertamente un portavoce della Casa Bianca, in linea con quanto chiesto dall'Australia e da decine di media stranieri presenti al Cairo e uniti in un appello alla scarcerazione. Il presidente americano Barack Obama, se vuole, ha comunque un forte strumento di pressione: il miliardo e mezzo di dollari l'anno in aiuti soprattutto militari che da ottobre sono stati congelati (e solo parzialmente sbloccati questa settimana) proprio in attesa di prove di rispetto dei diritti fondamentali da parte della nuova leadership egiziana. Nel negare la grazia, Sisi non ha del resto nascosto le difficoltà economiche e di bilancio dell'Egitto, su cui insiste da mesi.
I partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio tappandosi la bocca con un nastro adesivo nero per sottolineare come il verdetto del Cairo rappresenti una violazione della libertà d'informazione. Intanto da Doha l'emittente panaraba ha moltiplicato i suoi appelli usando l'hashtag #freeajstaff.
E molte altre sono state le manifestazioni di sostegno ai reporter incarcerati diffuse in rete con foto o slogan. A turbare il mondo dei media è anche l'entità delle pene: con la condanna a sette anni inflitta al pluripremiato reporter australiano Peter Greste e all'egiziano-canadese Mohamed Fahmi (ex capo dell'ufficio cariota di Al Jazira) e quella a 10 anni di reclusione al producer locale Baher Mohamed.
Accusati di "disinformazione" e "sostegno materiale alla Confraternita" - di nuovo bandita come 'organizzazione terroristica dal nuovo potere egiziano - i tre sono ora nel carcere di Torà, al Cairo, assieme a quattro fotografi e operatori egiziani. Mentre7 altri 11 reporter imputati (tra cui due britannici e una olandese) sono stati condannati a 10 anni in contumacia. Ma l'allarme e gli appelli non sembrano smuovere Sisi.
"Non si compiono ingerenze nelle attività della magistratura, che è indipendente", ha sostenuto oggi il presidente ed ex generale al Cairo durante una cerimonia presso l'accademia militare. Una replica indiretta al coro di critiche internazionali, con Onu, Gran Bretagna e organizzazioni per la difesa dei diritti umani in testa, che aveva spinto Washington a sollecitare un atto di clemenza presidenziale come soluzione della vicenda.
"Chiediamo al governo egiziano di concedere la grazia a queste persone", aveva detto apertamente un portavoce della Casa Bianca, in linea con quanto chiesto dall'Australia e da decine di media stranieri presenti al Cairo e uniti in un appello alla scarcerazione. Il presidente americano Barack Obama, se vuole, ha comunque un forte strumento di pressione: il miliardo e mezzo di dollari l'anno in aiuti soprattutto militari che da ottobre sono stati congelati (e solo parzialmente sbloccati questa settimana) proprio in attesa di prove di rispetto dei diritti fondamentali da parte della nuova leadership egiziana. Nel negare la grazia, Sisi non ha del resto nascosto le difficoltà economiche e di bilancio dell'Egitto, su cui insiste da mesi.
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