Il 19 giugno 2009, la cattolica Asia Bibi veniva presa in custodia dalla polizia per una presunta offesa al profeta Maometto denunciata da alcune donne musulmane del suo villaggio nella provincia del Punjab.
Formalmente incriminata il mese successivo e condannata a morte per blasfemia in prima istanza l’11 novembre 2010, da allora ha trascorso in carcere, spesso in isolamento per tutelarne l’incolumità, il tempo dell’attesa dell’avvio del processo d’appello. Non solo allontanatosi più volte, ma ora nemmeno più previsto dall’Alta Corte di Lahore competente per territorio.
Continua così il calvario di questa donna di umili origini, separata dai cinque figli e dal marito, sostenuta dalla fede, ma anche dalla speranza che la sua vicenda possa servire alla causa della convivenza in un paese assediato da estremismi, radicalismo religioso e terrorismo.
Di Asia Bibi a cinque anni dall’arresto abbiamo parlato con padre James Channan, già provinciale dei Domenicani, direttore del Centro per la Pace di Lahore e tra i più autorevoli cultori del dialogo interreligioso in Pakistan
Qual è la sua reazione a cinque anni dall’avvio di una vicenda che non solo ha cambiato la vita di Asia Bibi, ma ha aperto anche alla consapevolezza delle difficoltà che vivono le minoranze in Pakistan?
È una tragedia che questa donna sia ancora dietro le sbarre dopo tanto tempo. Inevitabile pensare alla sofferenza e al dolore che ha provato e continua a provare, lontana anche dai figli, dal marito, dai parenti. Devono essere tempi molto duri per lei, aggravati dalla constatazione che l’impegno a livello nazionale e internazionale non le sono stati di nessun aiuto concreto.
Sono certo che tutti questi anni passati in carcere hanno cambiato la sua vita e anche la sua prospettiva di fede cristiana. Una fede, che per quanto posso dire, si è rafforzata per il suo essere perseguitata per motivi religiosi.
Che cosa rende così significativo il “caso” di Asia Bibi? Possiamo vederlo come normale nel contesto dei rapporti problematici della minoranze con i musulmani, oppure speciale per come è nato e si è sviluppato? Anche per la personalità della protagonista?
In quanto cristiano e cittadino pachistano ritengo che quanto è successo a Asia Bibi sia di particolare significato. Mostra come una religione e le leggi religiose possano essere piegate a fini personali. Mostra anche come una legge religiosa possa essere nella pratica tanto severa. Nel caso pachistano, al punto da non lasciare spazio per il perdono o di mettere a rischio la vita di coloro che simpatizzano per gli accusati oppure che intervengono per chiedere clemenza.
Come è successo per Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab, e per Shahbaz Bhatti, ministro cattolico per le Minoranze, assassinati perché sia erano impegnati a salvarle la vita e avevano chiesto il suo rilascio.
Le accuse ammesse dalla legge antiblasfemia sono diventate molto comuni e il loro uso ha privato di volontà di reazione i cristiani. I battezzati a volte sono doppiamente perseguitati. Da un lato un cristiano rischia perché accusato ingiustamente (finora tutte le accuse sono state dimostrate false nei gradi superiori di giudizio), dall’altro l’intera comunità di cui fa parte soffre e finisce sotto attacco. I casi sono numerosi, ultimo quello che riguarda il ghetto cristiano di Joseph Colony a Lahore. Qui, dopo la condanna a morte di Sawan Masih da parte del tribunale di primo grado lo scorso 27 marzo, l’intera colonia è stata distrutta. Fatti come questo pongono i cristiani in una situazione di grande incertezza e dolore.
Che cosa possiamo aspettarci in termini di evoluzione della vicenda?
Temo che per Asia Bibi i tempi duri non siano finiti. Non sembra ci siano possibilità per un rilascio imminente, dato che il suo appello all’Alta Corte di Lahore non è ancora iniziato. La prima udienza prevista lo scorso 14 febbraio è stata posticipata più volte fino alla scomparsa del suo nome dall’elenco delle cause in corso. Le ragioni le conoscono solo i giudici. Sono fiducioso in un suo rilascio, ma i tempi sono assolutamente imprevedibili in questo momento.
Visti inutili i tentativi di arrivare a un processo d’appello e date anche le costanti pressioni dei radicali islamisti, molti cristiani hanno scelto di avviare un dialogo con i musulmani e un atteggiamento meno aggressivo che non faccia apparire la difesa di Asia Bibi come una crociata. Qual è la sua opinione?
Sicuramente, molti che avevano fatto la scelte di impegno aperto nei suoi confronti sono stati costretti a iniziative meno aperte dagli omicidi di Taseer e Bhatti e dalle minacce verso molti esponenti della società civile e della politica, anche musulmani.
In generale, i cristiani pachistani sono oggi spaventati, hanno difficoltà a prendere apertamente le difese di Asia Bibi o a mettere in discussione la legge antiblasfemia. Hanno scelto di conseguenza un approccio più nascosto per risolvere questo caso ma anche per individuare una diversa prospettiva per le minoranza in questo paese dove crescono fanatismo e radicalismo.
Resta comunque determinante lasciare aperte le porte al dialogo con i musulmani, in molti casi di idee liberali e aperti al dialogo. Il cambiamento concreto e duraturo deve inevitabilmente passare attraverso un loro contributo. Occorre trovare uno spazio di apertura e di rispetto per tutti e far sì che i diritti umani non vengano violati e che tutte le fedi siano rispettate. Affinché, anche nessuno usi la religione contro genti di altre fedi. Tutto questo va superato con la promozione di una cultura della guarigione, dalla tolleranza, del rispetto e della pace.
[CO]
Continua così il calvario di questa donna di umili origini, separata dai cinque figli e dal marito, sostenuta dalla fede, ma anche dalla speranza che la sua vicenda possa servire alla causa della convivenza in un paese assediato da estremismi, radicalismo religioso e terrorismo.
Di Asia Bibi a cinque anni dall’arresto abbiamo parlato con padre James Channan, già provinciale dei Domenicani, direttore del Centro per la Pace di Lahore e tra i più autorevoli cultori del dialogo interreligioso in Pakistan
Qual è la sua reazione a cinque anni dall’avvio di una vicenda che non solo ha cambiato la vita di Asia Bibi, ma ha aperto anche alla consapevolezza delle difficoltà che vivono le minoranze in Pakistan?
È una tragedia che questa donna sia ancora dietro le sbarre dopo tanto tempo. Inevitabile pensare alla sofferenza e al dolore che ha provato e continua a provare, lontana anche dai figli, dal marito, dai parenti. Devono essere tempi molto duri per lei, aggravati dalla constatazione che l’impegno a livello nazionale e internazionale non le sono stati di nessun aiuto concreto.
Sono certo che tutti questi anni passati in carcere hanno cambiato la sua vita e anche la sua prospettiva di fede cristiana. Una fede, che per quanto posso dire, si è rafforzata per il suo essere perseguitata per motivi religiosi.
Che cosa rende così significativo il “caso” di Asia Bibi? Possiamo vederlo come normale nel contesto dei rapporti problematici della minoranze con i musulmani, oppure speciale per come è nato e si è sviluppato? Anche per la personalità della protagonista?
In quanto cristiano e cittadino pachistano ritengo che quanto è successo a Asia Bibi sia di particolare significato. Mostra come una religione e le leggi religiose possano essere piegate a fini personali. Mostra anche come una legge religiosa possa essere nella pratica tanto severa. Nel caso pachistano, al punto da non lasciare spazio per il perdono o di mettere a rischio la vita di coloro che simpatizzano per gli accusati oppure che intervengono per chiedere clemenza.
Come è successo per Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab, e per Shahbaz Bhatti, ministro cattolico per le Minoranze, assassinati perché sia erano impegnati a salvarle la vita e avevano chiesto il suo rilascio.
Le accuse ammesse dalla legge antiblasfemia sono diventate molto comuni e il loro uso ha privato di volontà di reazione i cristiani. I battezzati a volte sono doppiamente perseguitati. Da un lato un cristiano rischia perché accusato ingiustamente (finora tutte le accuse sono state dimostrate false nei gradi superiori di giudizio), dall’altro l’intera comunità di cui fa parte soffre e finisce sotto attacco. I casi sono numerosi, ultimo quello che riguarda il ghetto cristiano di Joseph Colony a Lahore. Qui, dopo la condanna a morte di Sawan Masih da parte del tribunale di primo grado lo scorso 27 marzo, l’intera colonia è stata distrutta. Fatti come questo pongono i cristiani in una situazione di grande incertezza e dolore.
Che cosa possiamo aspettarci in termini di evoluzione della vicenda?
Temo che per Asia Bibi i tempi duri non siano finiti. Non sembra ci siano possibilità per un rilascio imminente, dato che il suo appello all’Alta Corte di Lahore non è ancora iniziato. La prima udienza prevista lo scorso 14 febbraio è stata posticipata più volte fino alla scomparsa del suo nome dall’elenco delle cause in corso. Le ragioni le conoscono solo i giudici. Sono fiducioso in un suo rilascio, ma i tempi sono assolutamente imprevedibili in questo momento.
Visti inutili i tentativi di arrivare a un processo d’appello e date anche le costanti pressioni dei radicali islamisti, molti cristiani hanno scelto di avviare un dialogo con i musulmani e un atteggiamento meno aggressivo che non faccia apparire la difesa di Asia Bibi come una crociata. Qual è la sua opinione?
Sicuramente, molti che avevano fatto la scelte di impegno aperto nei suoi confronti sono stati costretti a iniziative meno aperte dagli omicidi di Taseer e Bhatti e dalle minacce verso molti esponenti della società civile e della politica, anche musulmani.
In generale, i cristiani pachistani sono oggi spaventati, hanno difficoltà a prendere apertamente le difese di Asia Bibi o a mettere in discussione la legge antiblasfemia. Hanno scelto di conseguenza un approccio più nascosto per risolvere questo caso ma anche per individuare una diversa prospettiva per le minoranza in questo paese dove crescono fanatismo e radicalismo.
Resta comunque determinante lasciare aperte le porte al dialogo con i musulmani, in molti casi di idee liberali e aperti al dialogo. Il cambiamento concreto e duraturo deve inevitabilmente passare attraverso un loro contributo. Occorre trovare uno spazio di apertura e di rispetto per tutti e far sì che i diritti umani non vengano violati e che tutte le fedi siano rispettate. Affinché, anche nessuno usi la religione contro genti di altre fedi. Tutto questo va superato con la promozione di una cultura della guarigione, dalla tolleranza, del rispetto e della pace.
[CO]
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