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Mentre i fragili colloqui di pace procedono senza via d'uscita, nel cuore dello Stato ebraico migliaia di persone scandiscono il loro rifiuto delle bombe su Gaza e dell'occupazione in Cisgiordania. Nel frattempo, però, il governo israeliano vieta l'ingresso nella Striscia ad Amnesty international e Human rights watch
Potrebbe non portare a nulla di concreto nell’immediato. Ma la manifestazione che si è tenuta sabato 16 agosto 2014 in piazza Rabin a Tel Aviv è destinata a rimanere impressa nella mente di tutta Israele e non solo: erano parecchie migliaia (le stime più ottimiste arrivano a 10mila presenze) gli israeliani scesi in strada per chiedere al proprio governo di smetterla con i bombardamenti su Gaza, che hanno causato almeno 1800 morti palestinesi, mentre le armi di Hamas hanno ucciso 67 israeliani, 64 dei quali soldati.
“Cambiare direzione: verso la pace, lontano dalla guerra” , era lo slogan ufficiale del meeting di Tel Aviv, organizzato da decine di associazioni e partiti della sinistra israeliana. Tra gli interventi dal palco che hanno ricevuto più consenso (come riporta la testata web 972mag.com, scritta in inglese da israeliani), quello dell’affermato scrittore David Grossman: “In Israele non potremo mai respirare profondamente sapendo che a Gaza le persone vivono sotto shock continuo. Siamo i loro vicini, lo saremo per sempre, dobbiamo convivere”.
La richieste principali dei dimostranti, oltre alla cessazione delle ostilità e alla prosecuzione dei colloqui di pace in svolgimento in Egitto, riguardavano la necessità di porre fine all’occupazione delle colonie israeliane in Cisgiordania e all’embargo della Striscia di Gaza. Era presente l’associazione Peace now, la più nota del paese, così come il partito Meretz, accusati dai manifestanti di avere ritardato nella propria denuncia contro la guerra in corso, cosa che non ha fatto il gruppo politico Hadash.
Se a più riprese è stato chiesto al primo ministro Benjamin ‘Bibi’ Netanyahu di dimettersi, la soluzione politica al conflitto è stata l’esortazione più invocata dai presenti. Tra i quali c’era Naomi Tzion, arrivata da Sderot, cittadina nota per essere quella più vicina alla striscia e quindi oggetto del maggior numero di lanci di missili di Hamas. “Non pensiamo solo ai nostri problemi, a Gaza ci sono famiglie che hanno dovuto lasciare anche per tre volte di fila il luogo in cui cercavano rifugio. Stiamo parlando della prigione più grande del mondo”.
Mentre gli echi della manifestazione generano dibattiti sui media israeliani e nessun segno di risoluzione positiva arriva dai colloqui al Cairo, l’ultima notizia è negativa per il mondo delle organizzazioni umanitarie: il governo di Israele, denuncia il quotidiano israeliano Haaretz, tramite mezzi burocratici sta di fatto impedendo l’ingresso a Gaza di Amnesty international e Human rights watch, le due organizzazioni per i diritti umani che ora vorrebbero raccogliere prove e testimonianze di quanto avvenuto nel mese dell’operazione bellica Protective edge, ‘Margine protettivo’.
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