Centinaia di arresti arbitrari, denunce di tortura, profonde limitazioni alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica, processi irregolari nelle corti marziali: è questa l’atmosfera di paura che si respira in Thailandia, denunciata da Amnesty International in un rapporto sulle violazioni dei diritti umani commesse della giunta militare che ha preso il potere il 22 maggio, due giorni dopo la proclamazione della legge marziale.
Con l’obiettivo di “cambiare le attitudini” e azzerare il dissenso, il governo militare del Consiglio nazionale per la pace e l’ordine (Ncpo) ha ordinato centinaia di arresti e detenzioni arbitrarie, molte delle quali ai danni di persone legate al precedente governo.
Sebbene nella maggior parte dei casi la detenzione sia durata al massimo una settimana, queste persone vivono con la paura di essere incriminate nonostante abbiano firmato un impegno a non prendere parte ad “attività politiche” come condizione per il loro rilascio.
La polizia e l’esercito hanno arrestato o minacciato di arrestare parenti di alcune persone che si erano rifiutate di rispondere a un ordine di comparizione. Molte altre rischiano di essere incriminate per non aver risposto a una convocazione e si sono viste revocare il passaporto.
Amnesty International ha ricevuto denunce credibili di torture, anche nel corso dei primi giorni di detenzione in isolamento, tra cui pestaggi, soffocamento e finte esecuzioni. La tortura è un problema di lungo periodo in Thailandia e fu particolarmente usata nei centri di detenzione durante precedenti periodi di legge marziale.
Kritsuda Khunasem, un’attivista politica arrestata il 27 maggio, ha riferito le torture subite durante gli interrogatori:
Centinaia di siti Internet sono stati chiusi o bloccati, i mezzi d’informazione sono stati rigorosamente monitorati dai comitati per la censura e sono stati minacciati gli arresti per chiunque intendesse postare opinioni critiche.
Il divieto di raduni superiori a cinque persone, in vigore dall’inizio della legge marziale, costituisce una chiara violazione del diritto alla libertà di manifestazione pacifica.
Un numero senza precedenti di persone è stato incriminato ai sensi della legge sulla lesa maestà, che vieta le offese ai membri della famiglia reale. Dal colpo di stato, quattro persone sono state condannate e altre 10 rinviate a processo.
Sintomatico del modus operandi della giunta militare è la repressione della benché minima manifestazione di dissenso, come indossare magliette che “promuovono la divisione”, leggere determinati libri o mangiare panini in pubblicocome forma simbolica di protesta.
Le limitazioni alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica hanno avuto gravi implicazioni per il lavoro fondamentale dei difensori e delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui la sezione locale di Amnesty International.
Ai gruppi per i diritti umani è stato vietato di organizzare eventi pacifici e attivisti e giornalisti hanno continuato, come prima del colpo di stato, a essere incriminati per diffamazione.
Il diritto a un processo equo è stato accantonato: una sessantina di imputati attende di essere processata dalle corti marziali, senza diritto d’appello contro la sentenza, per aver violato ordini militari che a loro volta violavano i diritti umani.
Amnesty International, ricordando che gli obblighi internazionali sui diritti umani non possono essere ignorati in nome della “sicurezza nazionale”, ha sottoposto alla giunta militare una serie di richieste per il ripristino dei diritti umani fondamentali tra cui porre fine alle detenzioni arbitrarie per aver violato gli ordini di comparizione, indagare in modo indipendente su tutte le denunce di tortura, annullare tutte le norme contrarie al diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica e rilasciare tutti coloro in carcere per aver esercitato in modo pacifico tale diritto.
Riccardo Noury
Sebbene nella maggior parte dei casi la detenzione sia durata al massimo una settimana, queste persone vivono con la paura di essere incriminate nonostante abbiano firmato un impegno a non prendere parte ad “attività politiche” come condizione per il loro rilascio.
La polizia e l’esercito hanno arrestato o minacciato di arrestare parenti di alcune persone che si erano rifiutate di rispondere a un ordine di comparizione. Molte altre rischiano di essere incriminate per non aver risposto a una convocazione e si sono viste revocare il passaporto.
Amnesty International ha ricevuto denunce credibili di torture, anche nel corso dei primi giorni di detenzione in isolamento, tra cui pestaggi, soffocamento e finte esecuzioni. La tortura è un problema di lungo periodo in Thailandia e fu particolarmente usata nei centri di detenzione durante precedenti periodi di legge marziale.
Kritsuda Khunasem, un’attivista politica arrestata il 27 maggio, ha riferito le torture subite durante gli interrogatori:
“Se ci mettevo troppo tempo a rispondere, se non parlavo, se non rispondevo in modo diretto, mi prendevano a pugni in faccia, allo stomaco, su tutto il corpo… Il momento peggiore è stato quando mi hanno avvolto la testa con una busta di plastica, l’hanno stretta in fondo, poi una sacca di tessuto. Sono svenuta e mi hanno fatto rinvenire coi getti d’acqua. Ho capito allora cosa vuol dire avere costantemente paura di morire…”Le limitazioni alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica hanno avuto un effetto raggelante sul dibattito pubblico e hanno dato vita a un’ampia autocensura.
Centinaia di siti Internet sono stati chiusi o bloccati, i mezzi d’informazione sono stati rigorosamente monitorati dai comitati per la censura e sono stati minacciati gli arresti per chiunque intendesse postare opinioni critiche.
Il divieto di raduni superiori a cinque persone, in vigore dall’inizio della legge marziale, costituisce una chiara violazione del diritto alla libertà di manifestazione pacifica.
Un numero senza precedenti di persone è stato incriminato ai sensi della legge sulla lesa maestà, che vieta le offese ai membri della famiglia reale. Dal colpo di stato, quattro persone sono state condannate e altre 10 rinviate a processo.
Sintomatico del modus operandi della giunta militare è la repressione della benché minima manifestazione di dissenso, come indossare magliette che “promuovono la divisione”, leggere determinati libri o mangiare panini in pubblicocome forma simbolica di protesta.
Le limitazioni alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica hanno avuto gravi implicazioni per il lavoro fondamentale dei difensori e delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui la sezione locale di Amnesty International.
Ai gruppi per i diritti umani è stato vietato di organizzare eventi pacifici e attivisti e giornalisti hanno continuato, come prima del colpo di stato, a essere incriminati per diffamazione.
Il diritto a un processo equo è stato accantonato: una sessantina di imputati attende di essere processata dalle corti marziali, senza diritto d’appello contro la sentenza, per aver violato ordini militari che a loro volta violavano i diritti umani.
Amnesty International, ricordando che gli obblighi internazionali sui diritti umani non possono essere ignorati in nome della “sicurezza nazionale”, ha sottoposto alla giunta militare una serie di richieste per il ripristino dei diritti umani fondamentali tra cui porre fine alle detenzioni arbitrarie per aver violato gli ordini di comparizione, indagare in modo indipendente su tutte le denunce di tortura, annullare tutte le norme contrarie al diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica e rilasciare tutti coloro in carcere per aver esercitato in modo pacifico tale diritto.
Riccardo Noury
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