La denuncia di Human rights watch. Trentaquattro interviste raccolte nel rapporto Fino alla fine dell'organizzazioni umanitaria raccontano gli arresti, le pessime condizioni di prigionia e le torture subite per anni da sostenitori dei diritti umani, giornalisti e politici lasciati per decenni dietro le sbarre
Roma - La libertà d'espressione è un "lusso" per pochi in Uzbekistan. Arresti per motivi politici e condizioni di prigionia inumane sono solo alcune delle ombre che velano il governo di Tashkent, già noto per la violazione sistematica dei diritti umani. In un rapporto di 121 pagine intitolato "Fino alla fine: arresti politici in Uzbekistan",Human rights watch ha raccolto le testimonianze di coloro che hanno provato sulla loro pelle l'intransigenza dello stato centrasiatico.
Volti noti dietro le sbarre. Come prova delle violazioni, Hrw ha intervistato 34 persone, tra le più note in Uzbekistan, recluse per reati politici. Tra gli intervistati ci sono anche i due giornalisti più a lungo imprigionati nel mondo. "Il governo uzbeko - afferma Steve Swerdlow, ricercatore Hrw per l'Asia Centrale - cerca di nascondere al mondo gli abusi nelle sue carceri e la loro stessa esistenza. Ma adesso, viste le prove raccolte, Tashkent non può più far finta che in Uzbekistan non esista la detenzione politica".
Volti noti dietro le sbarre. Come prova delle violazioni, Hrw ha intervistato 34 persone, tra le più note in Uzbekistan, recluse per reati politici. Tra gli intervistati ci sono anche i due giornalisti più a lungo imprigionati nel mondo. "Il governo uzbeko - afferma Steve Swerdlow, ricercatore Hrw per l'Asia Centrale - cerca di nascondere al mondo gli abusi nelle sue carceri e la loro stessa esistenza. Ma adesso, viste le prove raccolte, Tashkent non può più far finta che in Uzbekistan non esista la detenzione politica".
Nelle prigioni sono stati reclusi esponenti di spicco della cultura uzbeka, persone che hanno denunciato la corruzione del governo e sostenitori della democrazia. Alcuni, definiti "nemici dello stato", sono stati arrestati senza una vera e propria accusa. Mentre altri sono stati accusati di attività anti-costituzionali o di estremismo religioso.
Oltre alla prigione, la tortura. Almeno 29 dei 34 prigionieri intervistati da Hrw , hanno denunciato maltrattamenti e atti di tortura. Sono stati picchiati con manganelli di gomma o bottiglie di plastica piene d'acqua e torturati con scosse elettriche, appesi per i polsi e le caviglie, quasi soffocati con sacchetti di plastica e maschere antigas e minacciati di danni fisici ai parenti. Azam Farmonov, un attivista per i diritti dietro le sbarre dal 2006, sostiene che la polizia, per estorcergli una falsa testimonianza, gli abbia messo una maschera sigillata in testa come per soffocarlo e lo abbia picchiato su gambe e piedi. Inoltre ha raccontato che durante la custodia cautelare, è stato malmenato con bottiglie di plastica piene d'acqua e che i servizi segreti uzbeki hanno minacciato di inchiodargli mani e piedi e di ritorsioni sulla sua famiglia.
Morire in carcere. Oltre all'immotivato prolungamento della prigionia, le prove raccolte documentano cinque casi di prigionieri rapiti all'estero dai servizi di sicurezza uzbeki e forzatamente ricondotti in Uzbekistan nonostante l'assenza di un procedimento giudiziario a loro carico. Il governo di Tashkent resta indifferente anche davanti alla malattia di alcuni detenuti politici lasciati in isolamento per lunghi periodi senza un'adeguata assistenza sanitaria. Abdurasul Khudoynazarov, un attivista per i diritti, è morto 26 giorni dopo il suo rilascio nel maggio 2014. Prima della sua morte ha riferito ad alcune associazioni umanitarie che, nonostante le sue richieste, i carcerieri gli avevano negato le cure mediche per tutta la durata, otto anni, della sua prigionia. "Torture - continua Swerdlow - rapimenti, detenzioni in isolamento e l'estensione delle pene sono abusi indicibili che nessuno dovrebbe soffrire. Per vent'anni o per periodi più brevi, queste persone sono state imprigionate ingiustamente e non devono spendere neanche un altro giorno dietro le sbarre".
L'indifferenza. Il rifiuto di Tashkent di rilasciare i detenuti politici non ha influito sui rapporti con le potenze straniere. Europa e Stati Uniti hanno deciso di chiudere un occhio in previsione dell'importanza strategica del paese in vista del ritiro delle truppe dall'Afghanistan. L'Uzbekistan non ha neanche pagato la sua mancanza di cooperazione con le Nazioni Unite che negli ultimi dodici anni hanno visto rifiutare l'ingresso nel paese a undici esperti di diritti umani. "Gli Stati Uniti, l'Unione europea e altri sono consapevoli dell'utilizzo da parte del presidente Islam Karimov di carcere e abusi per stroncare il dissenso interno. I partner internazionali dell'Uzbekistan devono far presente a Karimov che se non fermerà gli abusi e le torture, ci sarà un prezzo da pagare".
Oltre alla prigione, la tortura. Almeno 29 dei 34 prigionieri intervistati da Hrw , hanno denunciato maltrattamenti e atti di tortura. Sono stati picchiati con manganelli di gomma o bottiglie di plastica piene d'acqua e torturati con scosse elettriche, appesi per i polsi e le caviglie, quasi soffocati con sacchetti di plastica e maschere antigas e minacciati di danni fisici ai parenti. Azam Farmonov, un attivista per i diritti dietro le sbarre dal 2006, sostiene che la polizia, per estorcergli una falsa testimonianza, gli abbia messo una maschera sigillata in testa come per soffocarlo e lo abbia picchiato su gambe e piedi. Inoltre ha raccontato che durante la custodia cautelare, è stato malmenato con bottiglie di plastica piene d'acqua e che i servizi segreti uzbeki hanno minacciato di inchiodargli mani e piedi e di ritorsioni sulla sua famiglia.
Morire in carcere. Oltre all'immotivato prolungamento della prigionia, le prove raccolte documentano cinque casi di prigionieri rapiti all'estero dai servizi di sicurezza uzbeki e forzatamente ricondotti in Uzbekistan nonostante l'assenza di un procedimento giudiziario a loro carico. Il governo di Tashkent resta indifferente anche davanti alla malattia di alcuni detenuti politici lasciati in isolamento per lunghi periodi senza un'adeguata assistenza sanitaria. Abdurasul Khudoynazarov, un attivista per i diritti, è morto 26 giorni dopo il suo rilascio nel maggio 2014. Prima della sua morte ha riferito ad alcune associazioni umanitarie che, nonostante le sue richieste, i carcerieri gli avevano negato le cure mediche per tutta la durata, otto anni, della sua prigionia. "Torture - continua Swerdlow - rapimenti, detenzioni in isolamento e l'estensione delle pene sono abusi indicibili che nessuno dovrebbe soffrire. Per vent'anni o per periodi più brevi, queste persone sono state imprigionate ingiustamente e non devono spendere neanche un altro giorno dietro le sbarre".
L'indifferenza. Il rifiuto di Tashkent di rilasciare i detenuti politici non ha influito sui rapporti con le potenze straniere. Europa e Stati Uniti hanno deciso di chiudere un occhio in previsione dell'importanza strategica del paese in vista del ritiro delle truppe dall'Afghanistan. L'Uzbekistan non ha neanche pagato la sua mancanza di cooperazione con le Nazioni Unite che negli ultimi dodici anni hanno visto rifiutare l'ingresso nel paese a undici esperti di diritti umani. "Gli Stati Uniti, l'Unione europea e altri sono consapevoli dell'utilizzo da parte del presidente Islam Karimov di carcere e abusi per stroncare il dissenso interno. I partner internazionali dell'Uzbekistan devono far presente a Karimov che se non fermerà gli abusi e le torture, ci sarà un prezzo da pagare".
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