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martedì 14 ottobre 2014

Libia nel caos migranti subsahariani usati come schiavi dalle milizie in lotta e poi rinchiusi in centri di detenzione per estorcere un riscatto ai parenti all'estero

La Repubblica
Da luglio si combatte una guerra civile che ha fatto emergere i problemi irrisolti dopo la cacciata di Ghedaffi del 2011. Per l'Unhcr è emergenza sfollati interni: solo nella città di Warshefana, alla periferia di Tripoli, sono 100mila nelle ultime tre settimane (287mila in tutto il paese). Don Mussie Zerai lancia l'allarme per i migranti subsahariani usati come schiavi dalle milizie in lotta e poi rinchiusi in centri di detenzione per estorcere un riscatto ai parenti all'estero. L'unica realtà che prospera è quella dei trafficanti di esseri umani
Due parlamenti e due governi, troppe armi in circolazione, tante fazioni che si combattono con alleanze in continuo mutamento, nazioni estere che sostengono fronti opposti, il primo Stato petrolifero a rischio fallimento economico. "Dire che la Libia in questo momento sia governata da qualcuno è una barzelletta", ha recentemente sintetizzato Ali Zeidan, primo ministro fino al marzo scorso. A tre anni dalla cacciata di Ghedaffi, infatti, la Libia è nel pieno della guerra civile, i combattimenti proseguono senza tregua da quattro mesi.

Uno scenario "somalo". Al momento, gli islamisti dell'Alba libica, nata nella città costiera di Misurata, controllano il potere a Tripoli, mentre il Parlamento frutto delle ultime elezioni, su posizioni opposte, risiede a Tobruk, vicino al confine egiziano. Ma il caos non è iniziato a luglio. La Libia è in queste condizioni dal 2011, quando gli attacchi della Nato hanno accelerato il crollo dello Stato e i nuovi leader non sono riusciti a dare forma a un'autorità centrale. Così le città sono state lasciate in balia delle milizie, che hanno assunto il controllo di infrastrutture importanti. L'aeroporto di Tripoli, per esempio, spettava a quelle di Misurata e della città montana di Zintan: è finita che si sono scontrate fino al prevalere delle prime. Da luglio, però, si è passati dalla violenza diffusa alla guerra civile aperta. Per gli islamisti, è "guerra santa" e non mancano gruppi legati all'Isis, ad Al Qaeda, ad Ansar al Sharia ed altre fazioni salafite.

100mila profughi in tre settimane in una sola città. Ora la nuova emergenza sono gli sfollati: secondo l'Unhcr sono 287mila in 29 città in tutta la Libia, mentre 150mila libici sono scappati all'estero da quest'estate. Solo a Warshefana, alla periferia di Tripoli, i combattimenti hanno spinto circa 100mila persone a fuggire nelle ultime tre settimane, mentre a Benina, alle porte di Bengasi, sono scappati in 15mila. Gran parte degli sfollati vive presso famiglie di altre città che hanno aperto le porte di casa propria, mentre altri dormono in scuole, parchi ed edifici pubblici diventati rifugi di emergenza. L'afflusso continuo sta mettendo a dura prova l'accoglienza delle comunità locali; la cittadina di Ajaylat, a circa 80 chilometri a ovest di Tripoli, ne ospita ora 16mila, cioè oltre il 10% della popolazione locale (100mila). All'ospedale, i pazienti sono aumentati del 30% e le scorte di medicinali per malattie croniche, come l'ipertensione e il diabete, sono finite. I prezzi degli alimentari, invece, sono più che raddoppiati.

Si fa fatica a portare gli aiuti. Spiegano dall'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati: "L'assistenza sanitaria, il cibo e altri generi di prima necessità, oltre a una sistemazione in vista dell'inverno, sono diventate esigenze fondamentali. Stiamo provando a soddisfarle insieme ai nostri partner; tuttavia, ci sono considerevoli restrizioni nei finanziamenti destinati agli sfollati e l'instabilità degli ultimi mesi rende difficile raggiungere chi si trova in situazione di bisogno". Insieme all'International Medical Corps e al Programma Alimentare Mondiale, da agosto inviano dei camion di aiuti. Non aiuta che da metà luglio la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia abbia praticamente abbandonato il paese.

I migranti subsahariani trattati come schiavi. Ancora una volta, nel caos libico la condizione peggiore è quella dei migranti subsahariani, usati per trasportare munizioni, armi e vettovagliamento dalle varie fazioni in lotta. Poi vengono rinchiusi in terribili centri di detenzione, finché i parenti all'estero non pagano un riscatto. Racconta don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo che con la sua associazione Habeshia si occupa di dar voce a chi scappa dal Corno d'Africa: "Anche stamattina mi hanno telefonato disperati. Ci sono state nuove percosse e maltrattamenti ai 400 africani neri, tra cui decine di donne e 20 bambini, chiusi nell'ex scuola di Misurata trasformata in prigione. Tra di loro, alcuni sono stati feriti sul campo di battaglia ma non vengono curati; un ragazzo con schegge di proiettili nelle gambe chiede almeno un antidolorifico". I migranti, che passano dalla Libia per raggiungere l'Europa, chiamano il sacerdote con cellulari nascosti ai controlli delle guardie: "Dal carcere di Zawiya, 700 migranti, soprattutto dell'Africa occidentale, sono ammassati in uno stanzone e continuano a dire che manca acqua e cibo. Tra di loro ci sono alcuni eritrei che sono stati rapiti dai miliziani in un centro per profughi gestito dalla Mezzaluna Rossa: si trovavano lì perché avevano provato a passare in Tunisia, ma erano stati respinti al confine".

La maggiore "agenzia viaggi" del mondo non è in crisi. Anche in tempi di guerra civile, chi non soffre è il network che gestisce il traffico di esseri umani: "All'interno dell'Eritrea - racconta don Mussie - ci sono degli emissari che per 7-8000 euro garantiscono l'arrivo fino alle coste libiche; con una media di altri 1600 euro si arriva via barca in Italia. In Eritrea come nelle diverse fazioni libiche, i trafficanti hanno agganci con esponenti importanti del potere locale". Quasi tutte le 145mila persone che sono sbarcate in Italia dall'inizio del 2014, sono salpate dalla Libia e, secondo Amnesty International, per il 63% partivano da Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, paesi sconvolti dalla guerra. A loro va aggiunto un 2% di profughi che sono affogati nel Cimitero Mediterraneo, spesso finiti mangiati dai pesci o corrosi dal sale. L'Unhcr parla della "necessità di garantire alternative legali e più sicure per rifugiati e richiedenti asilo", mentre don Mussie ripete quello che ha detto anche a Lampedusa, intervenendo all'anniversario della strage del 3 ottobre: "Se l'Europa alza i muri, fa gli interessi e il gioco dei trafficanti, sulla pelle dei profughi. Servono canali legali di ingresso per chi fugge da guerre e dittatura".

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