La Corte d’appello di Lahore ha confermato la condanna a morte di Asia Bibi e respinto il suo appello. Durante l’udienza, in tribunale erano presenti circa 20 o 25 mullah (autorità religiose) e gli avvocati ritengono che la loro presenza possa aver creato pressione sui giudici.
L’udienza che doveva iniziare alle 9.45 è stata rinviata alle 10.20 e ulteriormente alle 11.30. Secondo alcuni osservatori, i giudici hanno voluto pensare al caso e hanno voluto prendere un po’ di tempo per valutare la situazione.
Molti avvocati cristiani, tra i quali Khalil Tahir Sindhu, ministro della provincia del Sindhu per gli affari delle minoranze e dei diritti umani, era presente nel gruppo della difesa di Asia Bibi.
Molti avvocati cristiani, tra i quali Khalil Tahir Sindhu, ministro della provincia del Sindhu per gli affari delle minoranze e dei diritti umani, era presente nel gruppo della difesa di Asia Bibi.
Dopo aver ascoltato le argomentazioni dell’accusa e della difesa il giudice ha confermato la condanna a morte di Asia Bibi per blasfemia. “Il giudice ha ritenuto valide e credibili le accuse delle due donne musulmane, due sorelle, che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia commessa da Asia. Sono quelle con cui Asia aveva avuto l’alterco e da cui è nato il caso”, ha spiegato Naeem Shakir, uno degli avvocati della difesa, non nascondendo amarezza e delusione. “La giustizia è sempre più in mano agli estremisti” ha commentato Shakir annunciando che, d’accordo con il marito di Asia, si ricorrerà alla Corte Suprema, terzo e ultimo grado di giudizio in Pakistan.
Asia Bibi, madre di cinque figli e da tempo simbolo della lotta contro il reato di blasfemia, si trova nel braccio della morte dal novembre 2010 dopo che è stata riconosciuta colpevole di aver fatto commenti sprezzanti sul profeta Maometto durante una discussione con una donna musulmana.
Asia Bibi, madre di cinque figli e da tempo simbolo della lotta contro il reato di blasfemia, si trova nel braccio della morte dal novembre 2010 dopo che è stata riconosciuta colpevole di aver fatto commenti sprezzanti sul profeta Maometto durante una discussione con una donna musulmana.
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