Per fortuna, ogni tanto c’è un’escalation che non spegne vite ma ne salva. Ecco dunque il voto dell’Assemblea Generale dell’Onu con cui, l’altra notte, 114 Stati su 193 hanno detto 'sì' alla moratoria totale della pena di morte.
È un crescendo di consapevolezza: 94 Stati membri hanno sponsorizzato la mozione, il numero più alto nella storia della mobilitazione; nel 2007, quando per la prima volta una mozione analoga era passata all’Assemblea, i voti a favore erano stati 103, e due anni fa 111. Per non dire che nel 1945, quando l’Onu fu fondata, solo 8 Stati, dei 51 che allora erano membri, avevano abolito la pena di morte.
L’ultimo scatto, da 111 a 114, è stato compiuto con le adesioni di Eritrea, Fiji, Niger e Suriname e il dietrofront della Papua Nuova Guinea. Ma nella conta entra anche il fatto che per la prima volta la Russia, uno dei cinque Paesi che hanno un posto fisso nel Consiglio di Sicurezza, ha aderito alla proposta. Il Cremlino ha sospeso fin dal 1996, per iniziativa di Boris Eltsin, l’applicazione della pena capitale. E forse, oggi, alla Russia può tornar utile porgere al mondo anche una guancia benevola, visto che quella dura è già piuttosto nota.
Resta però che un Paese per tradizione diffidente dei trattati collettivi, e non incline al sentimento, ha deciso di aggregarsi a un movimento che guadagna di anno in anno velocità. Speriamo serva da traino anche a Cina e Stati Uniti, sordastri quando sentono parlare di pena capitale e diritto internazionale.
Se la moratoria totale è ora un esito possibile, parte non piccola del merito spetta all’Italia. È indiscutibile che negli ultimi vent’anni tutti i nostri governi, quale più quale meno, abbiano dato un contributo. In Italia, inoltre, si è sviluppata quella collaborazione tra governo, Ong e associazioni umanitarie (come Sant’Egidio o Nessuno tocchi Caino, esempi che citiamo sapendo di lasciarne fuori altri meritevoli) che è ormai un piccolo ma efficace soft power.
L’ultimo scatto, da 111 a 114, è stato compiuto con le adesioni di Eritrea, Fiji, Niger e Suriname e il dietrofront della Papua Nuova Guinea. Ma nella conta entra anche il fatto che per la prima volta la Russia, uno dei cinque Paesi che hanno un posto fisso nel Consiglio di Sicurezza, ha aderito alla proposta. Il Cremlino ha sospeso fin dal 1996, per iniziativa di Boris Eltsin, l’applicazione della pena capitale. E forse, oggi, alla Russia può tornar utile porgere al mondo anche una guancia benevola, visto che quella dura è già piuttosto nota.
Resta però che un Paese per tradizione diffidente dei trattati collettivi, e non incline al sentimento, ha deciso di aggregarsi a un movimento che guadagna di anno in anno velocità. Speriamo serva da traino anche a Cina e Stati Uniti, sordastri quando sentono parlare di pena capitale e diritto internazionale.
Se la moratoria totale è ora un esito possibile, parte non piccola del merito spetta all’Italia. È indiscutibile che negli ultimi vent’anni tutti i nostri governi, quale più quale meno, abbiano dato un contributo. In Italia, inoltre, si è sviluppata quella collaborazione tra governo, Ong e associazioni umanitarie (come Sant’Egidio o Nessuno tocchi Caino, esempi che citiamo sapendo di lasciarne fuori altri meritevoli) che è ormai un piccolo ma efficace soft power.
Fino alla recente creazione di una task force per promuovere la campagna contro la pena capitale da parte dell’ex ministro degli Esteri Mogherini. Che ora, come commissario alle politiche internazionali della Ue nella fase finale del semestre di presidenza dell’Italia, potrà sfruttare una ribalta ancora più vasta e significativa.
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