Kalma, Sudan - Non c'è pace per i rifugiati del Darfur, la regione occidentale del Sudan alle propaggini del Sahara, dilaniata da una feroce guerra civile. Il campo profughi sudanese di Kalma all'inizio era considerato un porto sicuro. Oggi si è trasformato in un carcere a cielo aperto.
Darfur nel campo di Kalma |
Per decine di migliaia di sfollati uscire dalle recinzioni è diventato estremamente pericoloso a causa delle milizie che battono la regione. Nel cuore di un territorio semi-arido, le vie polverose del campo, disseminate di capanne fatte di fango secco, canne e paglia, ospitano 163mila rifugiati, uomini, donne e bambini giunti sin da qui a partire dal 2003 quando gruppi di comunità tribali non arabe hanno dato vita a una rivolta contro il governo di Khartum.
Desertificazione, conflitti in Ciad e nel Sud Sudan e, soprattutto, la scoperta di petrolio dato che i principali giacimenti sudanesi sono in Darfur, hanno innescato e alimentato un conflitto sotto traccia attivo sin dagli anni '80.
La calma relativa dei profughi a Kalma è solo un ricordo come spiega, la voce tremante di collera, lo sheikh Ali, portavoce della comunità. "Se un uomo si reca all'esterno per coltivare un campo o se una donna si avventura per fare legna, il primo viene ucciso, la seconda stuprata".
Gruppi armati controllano i dintorni e i caschi blu della missione congiunta dell'Onu e dell'Unione africana, 16mila uomini per un territorio di 500mila chilometri quadrati, quasi il doppio dell'Italia, non sono sufficienti per intervenire e porre fine alle violenze.
Secondo i dati dell'Onu, il conflitto in Darfur ha provocato oltre 300mila morti e due milioni di profughi in undici anni.
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