Nel 2013 oltre 11 mila persone, per lo più in fuga dalla Siria, hanno presentato richiesta di asilo alla Bulgaria mettendo a dura prova la capacità delle autorità bulgare di gestire l'emergenza.
In un primo momento, infatti, il Governo Oresharski si è mostrato del tutto impreparato e incapace ad accogliere un flusso di questa portata soprattutto a causa delle problematiche interne legate alla crisi economica, alla mancanza di fondi sufficienti e di strutture di accoglienza per i rifugiati. In seguito, la mobilitazione di una fetta consistente dell'opinione pubblica, che non ha risparmiato gli atteggiamenti xenofobi nei confronti degli immigrati, e le pressioni ricevute dall'opposizione al governo e da formazioni politiche nazionaliste come il partito Ataka hanno portato all'adozione di misure più rigide per il contenimento del flusso di rifugiati.
A questo proposito, il "Piano per la gestione della situazione di crisi", adottato dal Parlamento nel novembre del 2013, si basa su tre punti cardine: l'incremento del presidio della polizia (circa 3.000 agenti) al confine con la Turchia, il respingimento degli immigrati illegali oltre frontiera e la costruzione di una rete di 32 km lungo il confine bulgaro-turco per bloccare l'ingresso illegale attraverso i distretti bulgari più difficili da controllare.
È evidente, quindi, che il repentino cambio di posizione di Oresharski, che solo il 3 ottobre affermava che "la Bulgaria non può chiudere le proprie frontiere poiché firmataria di convenzioni internazionali", non sia stato provocato solo dalle pressioni esterne ma rappresenti una chiara affermazione, a livello internazionale, della sovranità dello Stato bulgaro. Infatti, benché esista una progressiva comunitarizzazione della materia dei rifugiati, spetta ancora ai singoli Stati membri dell'Unione Europea adottare le misure del caso.
La costruzione della rete, conclusa lo scorso mese di febbraio, ha comunque rappresentato una scelta difficile a fronte dei 7,7 milioni di leva (3,9 milioni di euro) spesi per la sua realizzazione e del danno all'immagine della Bulgaria che le violente critiche da parte dell'UNHCR e dell'UE le hanno provocato. In questo senso, anche Michele Cercone portavoce del Commissario europeo agli affari interni, Cecilia Malmstrom, aveva affermato che "è vietato respingere [i rifugiati].
Questi rinvii, non sono infatti conformi agli obblighi europei e internazionali". Tuttavia, egli aveva anche ammesso che gli Stati membri sono sovrani e liberi di adottare le misure necessarie per la protezione delle proprie frontiere e dunque, di costruire dei muri. Appare quindi facilmente comprensibile perché, nonostante le rimostranze, l'UE non abbia imposto o potuto imporre alcuna sanzione alle misure prese dalla Bulgaria a protezione dei propri confini.
[...]
Sono molti i siriani e gli iracheni, inclusi i curdi di entrambi gli Stati, che guardano alla Bulgaria come a una via di transito verso altri Paesi economicamente più sviluppati come la Svezia, la Germania o la Svizzera. E questo ruolo rimanda inevitabilmente al nocciolo della questione: la difesa del confine bulgaro con la Turchia. Se Sofia non proteggesse le proprie frontiere non potrebbe essere accettata all'interno della zona Schengen e, d'altro canto, lascerebbe volontariamente il via libera a un incontrollato flusso illegale di persone.
Nel frattempo, mentre a livello internazionale si disquisisce sulla legalità del "muro bulgaro", il confine tra Grecia e Turchia resta chiuso. La Bulgaria rimane quindi l'unica porta a est verso l'Europa per i siriani in fuga e l'ultimo baluardo orientale della UE che gli Stati membri mostrano però di avere poco a cuore nonostante ne costituisca il confine esterno.
Autore: Anna Miykova
A questo proposito, il "Piano per la gestione della situazione di crisi", adottato dal Parlamento nel novembre del 2013, si basa su tre punti cardine: l'incremento del presidio della polizia (circa 3.000 agenti) al confine con la Turchia, il respingimento degli immigrati illegali oltre frontiera e la costruzione di una rete di 32 km lungo il confine bulgaro-turco per bloccare l'ingresso illegale attraverso i distretti bulgari più difficili da controllare.
È evidente, quindi, che il repentino cambio di posizione di Oresharski, che solo il 3 ottobre affermava che "la Bulgaria non può chiudere le proprie frontiere poiché firmataria di convenzioni internazionali", non sia stato provocato solo dalle pressioni esterne ma rappresenti una chiara affermazione, a livello internazionale, della sovranità dello Stato bulgaro. Infatti, benché esista una progressiva comunitarizzazione della materia dei rifugiati, spetta ancora ai singoli Stati membri dell'Unione Europea adottare le misure del caso.
La costruzione della rete, conclusa lo scorso mese di febbraio, ha comunque rappresentato una scelta difficile a fronte dei 7,7 milioni di leva (3,9 milioni di euro) spesi per la sua realizzazione e del danno all'immagine della Bulgaria che le violente critiche da parte dell'UNHCR e dell'UE le hanno provocato. In questo senso, anche Michele Cercone portavoce del Commissario europeo agli affari interni, Cecilia Malmstrom, aveva affermato che "è vietato respingere [i rifugiati].
Questi rinvii, non sono infatti conformi agli obblighi europei e internazionali". Tuttavia, egli aveva anche ammesso che gli Stati membri sono sovrani e liberi di adottare le misure necessarie per la protezione delle proprie frontiere e dunque, di costruire dei muri. Appare quindi facilmente comprensibile perché, nonostante le rimostranze, l'UE non abbia imposto o potuto imporre alcuna sanzione alle misure prese dalla Bulgaria a protezione dei propri confini.
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Sono molti i siriani e gli iracheni, inclusi i curdi di entrambi gli Stati, che guardano alla Bulgaria come a una via di transito verso altri Paesi economicamente più sviluppati come la Svezia, la Germania o la Svizzera. E questo ruolo rimanda inevitabilmente al nocciolo della questione: la difesa del confine bulgaro con la Turchia. Se Sofia non proteggesse le proprie frontiere non potrebbe essere accettata all'interno della zona Schengen e, d'altro canto, lascerebbe volontariamente il via libera a un incontrollato flusso illegale di persone.
Nel frattempo, mentre a livello internazionale si disquisisce sulla legalità del "muro bulgaro", il confine tra Grecia e Turchia resta chiuso. La Bulgaria rimane quindi l'unica porta a est verso l'Europa per i siriani in fuga e l'ultimo baluardo orientale della UE che gli Stati membri mostrano però di avere poco a cuore nonostante ne costituisca il confine esterno.
Autore: Anna Miykova
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