La Carovana Italiana per i diritti dei Migranti (http://carovanemigranti. org/), che ha attraversato l'Italia da Lampedusa a Torino, dà voce ai Difensori dei diritti umani in Centroamerica. Riflettori puntati sul Messico, dove secondo le Nazioni Unite (http://www. unodc. org/) il tasso di omicidi è salito del 165% dal 2007 al 2013. Prime vittime della violenza diffusa sono gli indocumentados, i migranti che provano a entrare illegalmente negli Stati Uniti. I dubbi della società civile sulla sparizione dei 43 studenti di Guerrero.
Milano - Il Messico è un cimitero di migranti centramericani, un cimitero senza croci controllato dall'alleanza sistemica tra criminalità organizzata e Stato. È questo il messaggio dei Difensori dei diritti umani lanciato dalla Carovana Italiana per i diritti dei Migranti, che ha attraversato l'Italia da Lampedusa a Torino (23 novembre - 6 dicembre). Nella tappa milanese, alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Statale, in una conferenza organizzata il 4 dicembre da Soleterre e Amnesty International, si è parlato dei 400mila migranti indocumentados, senza documenti, che ogni anno provano a inseguire "el sueño" americano, l'American dream in salsa latinoamericana. Per loro il Messico, come l'Italia per i profughi che sbarcano al Sud per andare verso il Nord Europa, è una terra di transito, una ruta obbligata.
Le madri con le foto dei figli appese al collo. Partono dall'Honduras e dagli altri Paesi centramericani fino ai confini con gli Usa, attraversano il Messico da un fiume a un altro, dal Rio Suchiate nel sud al Rio Bravo nel nord. Possono finire nei bordelli della tratta attorno a Tapachula, o nelle sabbie del deserto di Sonora. "Viaggiano aggrappati sui treni cercando di non cadere, dormono nei rifugi per migranti spesso gestiti da religiosi e temono i sequestri della criminalità organizzata", racconta l'hondureña Rosa Nelly Santos, una delle fondatrici delle Madri Mesamericane. "Nasciamo - aggiunge - dal dolore, dal pianto e dall'angoscia di tante donne". Una volta l'anno, girano il Messico con le foto dei figli appese al collo, visitano le fosse comuni, sensibilizzano gli abitanti locali a non criminalizzare i migranti di passaggio. Soprattutto, cercano i figli, di cui non hanno più notizie. Lei, insieme a sua sorella, ha ritrovato il nipote che non vedeva da 17 anni ed era rimasto bloccato in Messico, fallendo il progetto di passare la frontiera. "Abbiamo potuto vedere di tutto - racconta - dai mutilati perché caduti da treni ai giovani assassinati e alle donne vendute e morte per Aids e altre infezioni". Tra il 2007 e il 2012, almeno 47mila sono i migranti uccisi in Messico dalla criminalità organizzata, 70mila i desaparecidos e 24.102 i cadaveri non identificati dal servizio forense messicano.
I ragazzini che passano la frontiera. "Ma ora la situazione è decisamente peggiorata", dice Suor Leticia Gutierrez, direttrice della Missione con i migranti e rifugiati delle Scalabriniane che tra dal 2007 al 2013 ha promosso la creazione di 66 rifugi dove gli indocumentados possono fermarsi qualche giorno, in attesa di passare verso gli Stati Uniti. "La frontiera - spiega - è lunga 3mila chilometri: quando aumentano i controlli e le barriere, le organizzazioni e i coyote, come si chiamano i passeur, semplicemente si spostano, magari in un punto più pericoloso". La novità dell'ultimo periodo sono i ragazzini soli che cercano di costruirsi un futuro migliore, scappando dalla violenza diffusa e dalle maras, le bande delle città centramericane. Per le Nazioni Unite, il Paese più violento è l'Honduras, dove nel 2013 ci sono stati 90,4 omicidi ogni 100mila abitanti, una cifra record. Kevin, 17 anni, racconta: "È stata mia nonna a dirmi di partire. Mi ripeteva: se non ti unisci alle maras, ti spareranno; se lo fai, la banda rivale o la polizia ti ammazzerà; se invece parti, nessuno ti ucciderà". Dal 2011, il numero dei minori non accompagnati che passano la frontiera Usa-Messico è raddoppiato ogni anno, arrivando a 62mila da giugno 2013 a giugno 2014.
Rapiscono anche bambini di un anno e mezzo. La maggior parte di chi arriva nei rifugi è stata vittima di sequestri finalizzati all'estorsione di gruppi criminali legati ai vari cartelli messicani, che agiscono con la connivenza delle autorità locali. "Sono riusciti a rapire anche un bambino di 18 mesi", dice Suor Leticia. "Una volta sequestrato, fanno chiamare i familiari al telefono: il migrante racconta le minacce di morte, le torture e le bastonature subite. Una delle frasi più comuni è: se non paghi, te lo restituisco fatto a pezzi. I parenti devono pagare una cifra tra i 3mila e i 10mila dollari". Chi non può pagare, spesso finisce veramente a pezzetti o in fosse comuni.
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