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venerdì 16 gennaio 2015

Reportage - Libano, i campi profughi nella morsa del freddo - «Meglio la guerra di questo gelo»

Lettera 43
Mille siriani vivono a 10° sotto zero. Senza energia né acqua potabile. In tanti muoiono: «Meglio la guerra di questo gelo».
da Fayda (Libano)
Nella nebbia si intravedono i frammenti dei visi e dei corpi di modelle che reclamizzano profumi o biancheria. Creano un paesaggio surreale.
I rifugiati siriani a Fayda, nel Nord del Libano, «usano i cartelloni pubblicitari per costruirsi i ripari», spiega Anna Maria Laurini, direttore di Unicef Libano, «dicono che sono migliori dei teli di plastica per proteggersi dal freddo» (guarda le foto).
Proprio il gelo è l’ultima tragedia ad avere investito le migliaia di profughi fuggite dalla violenza della guerra civile siriana.
UN BIMBO: «PREFERIVO LE BOMBE». A gennaio sul Libano si è abbattuta con violenza Zeina, una tempesta che ha portato con sé freddo polare, neve e vento. Strade e scuole chiuse in tutte il Paese, diverse vittime per crolli e incidenti, ma il prezzo più alto lo ha pagato il popolo di questi accampamenti. Almeno due i morti nei primi giorni del 2015.
«Un bambino di otto anni qui al campo mi ha detto che preferiva le bombe che sentiva ad Aleppo a questo freddo», dice a Lettera43.it Maria, un’operatrice di Beyond, Ong locale attiva in molti di questi campi informali, cioè non riconosciuti e non autorizzati dal governo libanese.
TEMPERATURA 10 GRADI SOTTO ZERO. A Fayda sono caduti almeno 25 centimetri di neve e la temperatura è scesa fino a 10 gradi sotto lo zero. Non ci sono stufe, non c’è energia elettrica, non c’è acqua potabile. Il terreno s'è trasformato in una palude fangosa e la neve ammucchiata ai lati delle tende inizia a ghiacciare.
Quello di Fayda è uno dei 15 campi che sorgono in questa zona, non lontana dal confine siriano. Ci vivono circa 1.000 persone, in maggioranza donne e bambini.
«Questi insediamenti non sono riconosciuti», spiega Joseph Hawad, responsabile di Beyond nella regione, «e questo accentua di molto i problemi. Non si possono fare lavori per migliorare le condizioni di vita della gente. Non si può portare acqua, energia o realizzare strutture migliori di queste tende».
I medici: «Anche un raffreddore può essere fatale»


Lettera43.it arriva al campo di Fayda in un giorno importante, si aspetta l’arrivo della clinica mobile dell'Unicef.
«Abbiamo messo in piedi queste strutture», dice Anna Maria Laurini, «per cercare di garantire un servizio sanitario di base a tutti gli insediamenti».
Le mamme escono dalle tende con i bambini e aspettano il loro turno in mezzo al fango.
«Malattie respiratorie, dissenterie, malnutrizione. Quasi tutti i bambini che visitiamo non sono in salute», spiega Hassan, uno dei due medici arrivati con la clinica. «In queste condizioni climatiche, igieniche e di cattiva alimentazione anche un semplice raffreddore può essere veramente pericoloso».

NERVI TESI TRA I RIFUGIATI. Mentre i due medici sono al lavoro, si sentono delle urla. Due uomini litigano, quasi vengono alle mani, poi torna la calma. Hassan non si ferma neanche per un istante: «Non ho tempo da perdere, guardate quanti bambini ho da visitare».
Joseph spiega che a scontrarsi erano i capi delle due sezioni dell’accampamento, litigavano per chi dovesse avere la precedenza nelle visite. Spesso nelle tendopoli si riproducono le divisioni politiche e settarie che erano vissute in patria. «Hanno perso tutto e non sanno immaginare il loro futuro», commenta Maria, «litigano per questo».

L'EMERGENZA RIGUARDA 300 MILA PERSONE. Non è facile stabilire quante persone siano costrette a vivere in queste condizioni. Secondo l'Unhcr sono circa 160 mila, ma l’Agenzia per i rifugiati tiene conto solo di chi si è regolarmente registrato come profugo nel Paese. Stime più attendibili parlano di almeno 300 mila persone.
E mentre in Libano il freddo stringe i profughi d'assedio, in Siria regala un giorno di tregua. Il primo dopo quasi quattro anni: «L'altro giorno non abbiamo registrato nessun nuovo decesso», dice il presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, Rami Abdel Rahman. «Sebbene abbia aggravato le necessità umanitarie, la tempesta di neve ha protetto i siriani dalle bombe».

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