Carenza cronica di interpreti e mediatori culturali. Misure alternative mai concesse a chi è in attesa di giudizio.
Due mediatori culturali per cento stranieri. Interpreti qualificati che si contano sulle dita di una mano. Al punto che, quando occorre parlare con una persona appena arrestata, si chiede aiuto al traduttore automatico di Google. Diritti basilari che vengono sepolti e che degenerano in risse, pestaggi, aggressioni agli agenti della polizia penitenziaria. E poi, ancora, più in generale, decessi e suicidi che non si fermano in un lento e anonimo stillicidio.
Fra le emergenze del nostro sistema carcerario che richiedono con urgenza di essere affrontate, il sovraffollamento non è più al primo posto, ma in pole position troviamo la violazione dei diritti dei detenuti stranieri, la cui presenza in carcere è ancora altissima, soprattutto quelli in attesa di giudizio, ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere.
E’ il ritratto delle nostre prigioni fatto dall’Osservatorio Antigone, che redige un bilancio sull’anno appena trascorso anticipando i dati ufficiali che saranno contenuti nel rapporto annuale del 2014 e che ha focalizzato i suoi studi sulla presenza degli stranieri nelle celle italiane.
Rispetto a un anno fa, infatti, dati alla mano, il totale dei detenuti risulta diminuito in maniera significativa dopo l’approvazione del decreto carceri che ha fatto evitare al nostro Paese, per un soffio, la sonora condanna da parte dell'Unione Europea per trattamenti inumani e degradanti. E mentre manca ancora la figura di un garante nazionale a tutela dei detenuti, scende il numero totale dei carcerati - al 31 dicembre 2014 erano 53.623 contro i 62.157 dell’ anno precedente - ma continua a rimanere alto quello degli stranieri dietro le sbarre ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere: il 32,56% del totale della popolazione carceraria. Di questi il 34% è ancora in attesa di giudizio, mentre gli italiani nella stessa condizione sono il 29 per cento.
Fra le emergenze del nostro sistema carcerario che richiedono con urgenza di essere affrontate, il sovraffollamento non è più al primo posto, ma in pole position troviamo la violazione dei diritti dei detenuti stranieri, la cui presenza in carcere è ancora altissima, soprattutto quelli in attesa di giudizio, ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere.
E’ il ritratto delle nostre prigioni fatto dall’Osservatorio Antigone, che redige un bilancio sull’anno appena trascorso anticipando i dati ufficiali che saranno contenuti nel rapporto annuale del 2014 e che ha focalizzato i suoi studi sulla presenza degli stranieri nelle celle italiane.
Rispetto a un anno fa, infatti, dati alla mano, il totale dei detenuti risulta diminuito in maniera significativa dopo l’approvazione del decreto carceri che ha fatto evitare al nostro Paese, per un soffio, la sonora condanna da parte dell'Unione Europea per trattamenti inumani e degradanti. E mentre manca ancora la figura di un garante nazionale a tutela dei detenuti, scende il numero totale dei carcerati - al 31 dicembre 2014 erano 53.623 contro i 62.157 dell’ anno precedente - ma continua a rimanere alto quello degli stranieri dietro le sbarre ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere: il 32,56% del totale della popolazione carceraria. Di questi il 34% è ancora in attesa di giudizio, mentre gli italiani nella stessa condizione sono il 29 per cento.
Tutto questo - spiegano da Antigone - avviene perché mancano investimenti dello Stato sulle comunità, ormai colme, e molto spesso gli stranieri non sono in grado di fornire l'indirizzo di un'abitazione dove scontare eventuali domiciliari. E quindi tutto il sistema si ingolfa.
Così si scopre che nelle celle si continua a morire. Nell’anno appena trascorso i decessi ammontano a 131, di cui 43 sono suicidi. L'ultimo caso si è verificato lo scorso 29 gennaio nel carcere di Palermo. A togliersi la vita è stato un ragazzo di 26 anni. E soprattutto, l’emergenza nazionale diventa la difficile convivenza e lo stato di abbandono dei detenuti stranieri, ai quali vengono negati anche i diritti più elementari previsti dall'ordinamento giudiziario. Come quello ad avere a disposizione interpreti e mediatori culturali.
Una situazione, questa, che mette ben in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai mediatori culturali che, ad oggi, lavorano solo con piccoli bandi e sono legati ad associazioni e cooperative e non direttamente agli istituti di pena. Figure professionali che il più delle volte vengono garantite, a rotazione, soltanto una volta a settimana.
“I mediatori culturali sono assolutamente pochi – ha spiegato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella - . Non possono reggere il peso della quantità di detenuti stranieri presenti in carcere. Di fronte ad una utenza straniera così significativa, parliamo di un detenuto straniero su tre, dovrebbe esserci un grosso investimento nel sistema penitenziario e nel sistema delle figure professionali”. “Capita spesso che i detenuti italiani non capiscano la terminologia di un atto ad esempio di una custodia cautelare – ha aggiunto Natalia Moraro, mediatrice culturale per l’ associazione Medea - figuriamoci una persona straniera. Per questo il mediatore dovrebbe essere presente per lo meno al servizio nuovi giunti”.
Ed è stata anche l’Europa a chiedere un investimento maggiore su queste figure professionali. “La raccomandazione del 2012 del Consiglio d’Europa ci dice che bisogna investire in mediatori culturali, interpreti e traduttori – ha aggiunto Gonnella -, perché è un problema di tutta l’Europa. Non possiamo pensare di avere un’organizzazione tutta pensata per un detenuto che non esiste più, il detenuto italiano, e non tradotta nella lingua delle persone che ci sono dentro. Questo aumenta la conflittualità”.
[...]
E, poi, ancora, “prevedere che l‟insegnamento della legislazione interna e internazionale sugli stranieri in vigore, compresa la raccomandazione europea del 2012, e delle lingue più parlate dai detenuti facciano parte dei programmi di aggiornamento professionale e formazione continua”. Più in generale, si chiede che all'interno delle nostre prigioni si mantengano i diritti finora faticosamente conquistati, come l'apertura delle celle nella fascia pomeridiana della giornata, fortemente osteggiate invece dai sindacati di polizia penitenziaria. Mentre la nascita di laboratori internet, aree verdi e corsi di aggiornamento professionale potrebbero essere una risposta all'alto tasso di recidiva dei detenuti. Perché le celle - come prevede il nostro ordinamento giudiziario - non si trasformino in un abisso ma in un luogo di recupero.
Così si scopre che nelle celle si continua a morire. Nell’anno appena trascorso i decessi ammontano a 131, di cui 43 sono suicidi. L'ultimo caso si è verificato lo scorso 29 gennaio nel carcere di Palermo. A togliersi la vita è stato un ragazzo di 26 anni. E soprattutto, l’emergenza nazionale diventa la difficile convivenza e lo stato di abbandono dei detenuti stranieri, ai quali vengono negati anche i diritti più elementari previsti dall'ordinamento giudiziario. Come quello ad avere a disposizione interpreti e mediatori culturali.
Niente interpreti
Secondo i dati resi noti da Antigone, infatti, sono 379 in tutta Italia. Ovvero meno di due mediatori ogni cento detenuti stranieri. Una penuria di personale che dà vita a storie al limite dell’incredibile, come quella raccontata dalla direttrice di Regina Coeli Silvana Sergi: “Per poter allentare le tensioni negli istituti quando i detenuti entrano ed escono e non abbiamo l’aiuto prezioso dei mediatori, non ci resta che utilizzare il traduttore di Google”, spiega.Una situazione, questa, che mette ben in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai mediatori culturali che, ad oggi, lavorano solo con piccoli bandi e sono legati ad associazioni e cooperative e non direttamente agli istituti di pena. Figure professionali che il più delle volte vengono garantite, a rotazione, soltanto una volta a settimana.
“I mediatori culturali sono assolutamente pochi – ha spiegato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella - . Non possono reggere il peso della quantità di detenuti stranieri presenti in carcere. Di fronte ad una utenza straniera così significativa, parliamo di un detenuto straniero su tre, dovrebbe esserci un grosso investimento nel sistema penitenziario e nel sistema delle figure professionali”. “Capita spesso che i detenuti italiani non capiscano la terminologia di un atto ad esempio di una custodia cautelare – ha aggiunto Natalia Moraro, mediatrice culturale per l’ associazione Medea - figuriamoci una persona straniera. Per questo il mediatore dovrebbe essere presente per lo meno al servizio nuovi giunti”.
Ed è stata anche l’Europa a chiedere un investimento maggiore su queste figure professionali. “La raccomandazione del 2012 del Consiglio d’Europa ci dice che bisogna investire in mediatori culturali, interpreti e traduttori – ha aggiunto Gonnella -, perché è un problema di tutta l’Europa. Non possiamo pensare di avere un’organizzazione tutta pensata per un detenuto che non esiste più, il detenuto italiano, e non tradotta nella lingua delle persone che ci sono dentro. Questo aumenta la conflittualità”.
[...]
Diritti dimenticati
L’Osservatorio Antigone, quindi, sempre focalizzandosi sulla presenza degli stranieri nelle nostre prigioni, sottolinea l’incompletezza della legislazione interna alle carceri, che dà per scontato che il detenuto sia italiano e non tiene conto della forte presenza degli stranieri. “Nel codice di procedura penale - si legge - non esiste ancora una norma che preveda il divieto di trasferimento di una persona da noi detenuta verso Paesi dove vi sia il rischio di essere sottoposti alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti”.[...]
E, poi, ancora, “prevedere che l‟insegnamento della legislazione interna e internazionale sugli stranieri in vigore, compresa la raccomandazione europea del 2012, e delle lingue più parlate dai detenuti facciano parte dei programmi di aggiornamento professionale e formazione continua”. Più in generale, si chiede che all'interno delle nostre prigioni si mantengano i diritti finora faticosamente conquistati, come l'apertura delle celle nella fascia pomeridiana della giornata, fortemente osteggiate invece dai sindacati di polizia penitenziaria. Mentre la nascita di laboratori internet, aree verdi e corsi di aggiornamento professionale potrebbero essere una risposta all'alto tasso di recidiva dei detenuti. Perché le celle - come prevede il nostro ordinamento giudiziario - non si trasformino in un abisso ma in un luogo di recupero.
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