«Vivo per strada, io e mio zio non abbiamo i soldi per pagarci un affitto. Guadagno dai tre ai sette dollari al giorno. Se andassi a scuola, chi aiuterebbe la mia famiglia?».
Da qualche mese, si sono aggiunti anche i miliziani dell’Isis, che hanno pericolosamente esteso la loro area di influenza in tutto il Medioriente.
La conquista della Libia da parte dello Stato islamico, infatti, con le minacce dirette all’Italia e al nostro ministro degli Esteri Gentiloni, ha spostato l’attenzione dalla polveriera siriana, forse il dramma più grave tra gli strascichi lasciati dalla Primavera araba.
Il record peggiore riguarda proprio il numero dei bambini rifugiati: più di un milione di minori, fuggiti dalle proprie case, strappati alle loro famiglie per sottrarsi a una morte certa.
L’ultimo rapporto, commissionato dall’Organizzazione mondiale del lavoro, dall’Unicef e da Save the Children, ha messo in luce il dramma dello sfruttamento dei bambini siriani, che lavorano nelle strade di Beirut come meccanici, lustrascarpe, magazzinieri. Tra questi ci sono anche bambini libanesi.
L’ultimo rapporto, commissionato dall’Organizzazione mondiale del lavoro, dall’Unicef e da Save the Children, ha messo in luce il dramma dello sfruttamento dei bambini siriani, che lavorano nelle strade di Beirut come meccanici, lustrascarpe, magazzinieri. Tra questi ci sono anche bambini libanesi.
Tra questi c’è anche Mohamed, 12 anni.
«Ho lavorato in un’officina per 14 ore al giorno, dopo essere arrivato in Libano due anni fa da Aleppo. Lavoravo per aiutare la mia famiglia, siamo in dieci e non potevo permettermi di andare a scuola» racconta ai reporter del Guardian che lo hanno intervistato, insieme a decine di bambini come lui. «Non mi stanco» risponde con fierezza a chi gli chiede come faccia a resistere per tante ore al giorno. Così riesce a guadagnare 100 dollari al mese. Una parte della paga finisce nelle mani del suo boss, che spesso lo picchia.
Lo sfruttamento dei rifugiati siriani, infatti, non si limita solo all’aspetto lavorativo: spesso il rischio è di subire altre forme di sopraffazione, dalle violenze sessuali a quelle verbali, senza alcun rispetto per i diritti umani e, soprattutto, per quelli dei minori, i più indifesi e vulnerabili: sono loro, i bambini, a pagare il prezzo più alto di un conflitto. Antony MacDonald, a capo dell’Unicef in Libano, denuncia: «Quando si parla di bambini coinvolti in situazioni di sfruttamento lavorativo, di solito si guarda solo a un aspetto della faccenda. Sono tante le minacce che questi minori devono fronteggiare. Dietro l’etichetta di “lavoro minorile” si nascondono molteplici istanze di protezione, da casi di spose-bambine alle molestie sessuali, fino al traffico di droga».
Hassan ha lasciato la provincia di Dar’a all’inizio del conflitto. Oggi vive sotto un ponte in un’area depressa della capitale libanese con suo zio: «Dopo aver pulito scarpe nel centro di Beirut, torno in questa topaia, dove lui mi dorme accanto. Non ho nessun altro che mi protegga»
«Ho lavorato in un’officina per 14 ore al giorno, dopo essere arrivato in Libano due anni fa da Aleppo. Lavoravo per aiutare la mia famiglia, siamo in dieci e non potevo permettermi di andare a scuola» racconta ai reporter del Guardian che lo hanno intervistato, insieme a decine di bambini come lui. «Non mi stanco» risponde con fierezza a chi gli chiede come faccia a resistere per tante ore al giorno. Così riesce a guadagnare 100 dollari al mese. Una parte della paga finisce nelle mani del suo boss, che spesso lo picchia.
Lo sfruttamento dei rifugiati siriani, infatti, non si limita solo all’aspetto lavorativo: spesso il rischio è di subire altre forme di sopraffazione, dalle violenze sessuali a quelle verbali, senza alcun rispetto per i diritti umani e, soprattutto, per quelli dei minori, i più indifesi e vulnerabili: sono loro, i bambini, a pagare il prezzo più alto di un conflitto. Antony MacDonald, a capo dell’Unicef in Libano, denuncia: «Quando si parla di bambini coinvolti in situazioni di sfruttamento lavorativo, di solito si guarda solo a un aspetto della faccenda. Sono tante le minacce che questi minori devono fronteggiare. Dietro l’etichetta di “lavoro minorile” si nascondono molteplici istanze di protezione, da casi di spose-bambine alle molestie sessuali, fino al traffico di droga».
Hassan ha lasciato la provincia di Dar’a all’inizio del conflitto. Oggi vive sotto un ponte in un’area depressa della capitale libanese con suo zio: «Dopo aver pulito scarpe nel centro di Beirut, torno in questa topaia, dove lui mi dorme accanto. Non ho nessun altro che mi protegga»
di Antonio Bonanata
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