Ritorno alla Prima repubblica? Assolutamente no. L’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella segna la chiusura del ciclo della Seconda repubblica, che è stato caratterizzato dalle presidenze di Ciampi e Napolitano e anche dal protagonismo della Cei nei confronti delle forze politiche”. Andrea Riccardi, storico della Chiesa, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ministro della Cooperazione internazionale nel governo Monti, spiega ad Huffpost come, a suo avviso, sarà la presidenza di Sergio Mattarella.
“Sono certo che lui non gradirebbe una interpretazione confessionale della sua elezione ‘in quanto cattolico’. La sua sarà una presidenza laica e capace di unità. I numeri della votazione dicono questo: sul nome di Mattarella c’è stata anche una opposizione confessionale sull’asse Alfano-Lupi, c’è stata una parte di mondo politico cattolico che ha cercato di mettersi di traverso. A mio avviso per ragioni sbagliate, non ha senso schiacciare Mattarella sulla dimensione del cattocomunismo o del cattolico adulto. Il suo è un cristianesimo profondamente vissuto che ha concepito con laicità e passione l’impegno politico".
Perché parla di fine della Seconda Repubblica?
"Penso al percorso avviato della riforma istituzionale, alla nuova legge elettorale, al governo Renzi e ora al nuovo inquilino del Quirinale. Finisce a mio avviso anche il ruolo politico che la Cei aveva acquisito dentro il bipolarismo degli ultimi vent’anni. Vedo la possibilità di una riemersione dei laici cattolici come figure di riferimento, e questo non va banalizzato nel ritorno dei vecchi Dc. Nel mondo cattolico e anche ecclesiastico si sono registrate in questi giorni molte simpatie per Mattarella, però non va trascurata anche la presenza di quella che ho definito ‘opposizione confessionale’".
Il vero rivale secondo lei era il presidente Casini?
Non direi questo. Ma c’è stata una ostilità che proveniva dalle antiche divisioni del cattolicesimo italiano, tra cattolici della presenza come l’area vicino a Comunione e liberazione e cattolici della mediazione come l’area dell’Azione cattolica. Ma si tratta di linee di frattura datate, superate, che non interpretano la realtà di oggi, della Chiesa di Papa Francesco. In questo contesto e nel nuovo quadro istituzionale si chiude una fase di emergenze che ha visto il protagonismo politico della Cei. Una fase che ha già iniziato ad esaurirsi con il governo Monti”.
Immagina un ritorno a un presidente-notaio e silente?
“Si apre un nuovo ciclo, non ci sarà un ritorno indietro ai tempi di Leone, al ruolo di presidente-notaio della Repubblica dei partiti che si limita a tagliare i nastri. Ci sarà un presidente garante e rappresentante dell’unità nazionale, un presidente che parla al Paese, perché gli italiani hanno bisogno anche di una narrazione diversa da quella del governo, un discorso che racconta l’unità del Paese e il suo destino”.
Crede che nell'arco del suo mandato Mattarella saprà rompere il suo riserbo per rivolgersi direttamente agli italiani?
“Per parlare agli italiani non è necessario essere protagonisti estroversi, ma avere delle cose da dire. E il nuovo presidente le ha…”.
Secondo lei è possibile raccontare Mattarella anche con lo scontro tra la Dc di sinistra e quella che guardava al Cavaliere, rappresentata da Buttiglione?
“Allora ci fu questo scontro tra cattolicesimo della presenza e della mediazione, tra Cl e Azione cattolica. Ma oggi tutto questo è passato. Certo, c’è stata anche in queste ore una opposizione confessionale che ancora si riferisce a quella logica dei ‘valori non negoziabili’, ma ora il papato di Francesco ha rimosso il cortocircuito italiano. Non c’è più il primato della difesa dei valori non negoziabili. Ma questo non significa assolutamente poter schiacciare il nuovo presidente sulla dimensione del cattocomunista distratto verso i richiami della Chiesa. Mattarella a mio avviso è uomo di sintesi: questa è una dimensione tipica di grandi cattolici italiani come Montini e Moro. Il nuovo presidente è un politico concreto, laico e cattolico, che sa dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare, un moroteo che vive e proietta nell’impegno politico la sua cultura giuridica e da credente. In lui si coglie anche una sapienza umana, maturata non solo nei lunghi anni al servizio dello Stato ma anche nell’esperienza di chi sa che si può pagare con la vita il servizio alla cosa pubblica, come è accaduto al fratello ucciso dalla mafia”.
Lo definirebbe un dossettiano?
“Non direi. Parlerei piuttosto di un cattolico di sintesi, che letto Dossetti ma anche Sturzo e ha appreso la lezione di De Gasperi. Un cattolico conciliare”.
Perché parla di fine della Seconda Repubblica?
"Penso al percorso avviato della riforma istituzionale, alla nuova legge elettorale, al governo Renzi e ora al nuovo inquilino del Quirinale. Finisce a mio avviso anche il ruolo politico che la Cei aveva acquisito dentro il bipolarismo degli ultimi vent’anni. Vedo la possibilità di una riemersione dei laici cattolici come figure di riferimento, e questo non va banalizzato nel ritorno dei vecchi Dc. Nel mondo cattolico e anche ecclesiastico si sono registrate in questi giorni molte simpatie per Mattarella, però non va trascurata anche la presenza di quella che ho definito ‘opposizione confessionale’".
Il vero rivale secondo lei era il presidente Casini?
Non direi questo. Ma c’è stata una ostilità che proveniva dalle antiche divisioni del cattolicesimo italiano, tra cattolici della presenza come l’area vicino a Comunione e liberazione e cattolici della mediazione come l’area dell’Azione cattolica. Ma si tratta di linee di frattura datate, superate, che non interpretano la realtà di oggi, della Chiesa di Papa Francesco. In questo contesto e nel nuovo quadro istituzionale si chiude una fase di emergenze che ha visto il protagonismo politico della Cei. Una fase che ha già iniziato ad esaurirsi con il governo Monti”.
Immagina un ritorno a un presidente-notaio e silente?
“Si apre un nuovo ciclo, non ci sarà un ritorno indietro ai tempi di Leone, al ruolo di presidente-notaio della Repubblica dei partiti che si limita a tagliare i nastri. Ci sarà un presidente garante e rappresentante dell’unità nazionale, un presidente che parla al Paese, perché gli italiani hanno bisogno anche di una narrazione diversa da quella del governo, un discorso che racconta l’unità del Paese e il suo destino”.
Crede che nell'arco del suo mandato Mattarella saprà rompere il suo riserbo per rivolgersi direttamente agli italiani?
“Per parlare agli italiani non è necessario essere protagonisti estroversi, ma avere delle cose da dire. E il nuovo presidente le ha…”.
Secondo lei è possibile raccontare Mattarella anche con lo scontro tra la Dc di sinistra e quella che guardava al Cavaliere, rappresentata da Buttiglione?
“Allora ci fu questo scontro tra cattolicesimo della presenza e della mediazione, tra Cl e Azione cattolica. Ma oggi tutto questo è passato. Certo, c’è stata anche in queste ore una opposizione confessionale che ancora si riferisce a quella logica dei ‘valori non negoziabili’, ma ora il papato di Francesco ha rimosso il cortocircuito italiano. Non c’è più il primato della difesa dei valori non negoziabili. Ma questo non significa assolutamente poter schiacciare il nuovo presidente sulla dimensione del cattocomunista distratto verso i richiami della Chiesa. Mattarella a mio avviso è uomo di sintesi: questa è una dimensione tipica di grandi cattolici italiani come Montini e Moro. Il nuovo presidente è un politico concreto, laico e cattolico, che sa dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare, un moroteo che vive e proietta nell’impegno politico la sua cultura giuridica e da credente. In lui si coglie anche una sapienza umana, maturata non solo nei lunghi anni al servizio dello Stato ma anche nell’esperienza di chi sa che si può pagare con la vita il servizio alla cosa pubblica, come è accaduto al fratello ucciso dalla mafia”.
Lo definirebbe un dossettiano?
“Non direi. Parlerei piuttosto di un cattolico di sintesi, che letto Dossetti ma anche Sturzo e ha appreso la lezione di De Gasperi. Un cattolico conciliare”.
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