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giovedì 26 febbraio 2015

Profughi reclusi dell'isola di Nauru nel tentativo di entrare in Australia presto trasferiti in Cambogia

MISNA
Una mossa di carattere umanitario, che non influisce sulle scelte repressive del governo australiano in materia di immigrazione e su quelle di Phnom Penh di accoglienza di profughi finora o in futuro detenuti per conto australiano nello Stato isolano di Nauru.
L’impegno è di garantire una migliore sistemazione a quanti sono in attesa di una qualche forma di ricollocazione una volta accertata la condizione formale di rifugiato, oppure che aspettano una verifica che potrebbe durare molti mesi.

L’accordo firmato lo scorso anno tra i governi australiano e cambogiano ha suscitato non poche perplessità, dato anche la fama non certo gratificante del governo di Phnom Penh riguardo ai diritti umani e al controllo di fenomeni di abuso sui gruppi sociali più fragili. Tuttavia, se sotto il controllo internazionale, l’accoglienza in un paese più vasto, già fortemente segnato dal lavoro delle ong e che per la sua debolezza economica comunque ha necessità di ulteriori fonti di guadagno che possano derivare da forme di cooperazione internazionale, rende l’opzione meno rischiosa – soprattutto per i soggiorni a lungo termine – rispetto al famigerato centro di Nauru.

Ancor più, a essere positiva è la possibilità di una ricollocazione temporanea sul territorio al di fuori dei campi per alcune categorie di profughi. Possibile in Cambogia, impossibile a Nauru o sull’isola di Manus (altro centro di raccolta off-shore in Papua-Nuova Guinea), per spazio, isolamento, opportunità.
Sono attualmente 400 i profughi provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Iran al momento ospitati a Nauru con il riconoscimento dello status di rifugiato. Altri 800 attendono che sia verificata la loro condizione. 

Una decisione non facile, quella dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), e non si sa al momento quanti degli “ospiti” di Nauru possano optare per il trasferimento. Tuttavia, la leadership dell’organizzazione internazionale ritiene che la sua esperienza nel settore, con milioni di individui ricollocati in nuove destinazioni in 64 anni di attività, potrebbe consentire una prospettiva migliore a quanti hanno cercato inutilmente di raggiungere l’Australia e una vita più sicura.

[CO]

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