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lunedì 2 febbraio 2015

Riconciliazione in Sudafrica: continua la lezione di Mandela... liberato l'aguzzino dell'Apartheid Eugene de Kock

 Il Garantista
In Sudafrica continua il processo di riconciliazione nazionale. Il ministro sudafricano della giustizia, Masutha, ha concesso la libertà condizionata dopo 20 anni di carcere a Eugene de Kock, ex capo di un corpo di polizia segreto durante gli anni dell'Apartheid.

Eugene de Kock
Era stato condannato ad una pena di reclusione di oltre 200 anni per i crimini commessi in qualità di capo di una speciale unità della polizia incaricata di reprimere il dissenso contro il regime segregazionista. De Kock, 66 anni compiuti da qualche giorno, tra gli anni 1980-90 è stato a capo dell'unità C1, un'unità segreta della polizia sudafricana responsabile di rapimenti, torture e omicidi di attivisti anti-apartheid. Un vero e proprio squadrone della morte.

Il compito principale di de Kock, quando era colonnello della polizia, era di mettere a tacere i leader del movimento anti-apartheid, in particolare quelli del Congresso nazionale africano (Anc). Ed ora, gli stessi dell'Anc lo hanno scarcerato.

Nel 1996 è stato riconosciuto colpevole di 89 capi d'accusa e condannato a due ergastoli e ulteriori 212 anni di carcere. Successivamente il killer dell'apartheid mostrò segni di pentimento incontrando da dietro le sbarre alcuni dei parenti delle sue vittime e collaborando alle indagini. Arrivò anche ad accusare alcuni membri del regime dell'apartheid, tra cui Frederik W. De Klerk, ultimo presidente bianco, insignito insieme a Nelson Mandela del Premio Nobel per la pace nel 1993, di aver autorizzato le attività dell'unità C1. Nonostante tutto questo de Kock ha ottenuto la libertà vigilata, "nell'interesse della riconciliazione nazionale", ha spiegato il ministro della Giustizia Michael Masutha, che ha tenuto a precisare che sarebbero stati resi noti il luogo e i tempi del rilascio dell'ex ufficiale di polizia.

La riconciliazione in Sudafrica è stato un processo storico, e soprattutto una lezione sui diritti umani per l'intera umanità. In un processo il colpevole tende a proteggersi, a negare. Il Sudafrica non ha voluto questo, il Sudafrica ha deciso di perdonare, di concedere un'amnistia a chi dice il vero, si assume le proprie colpe e racconta a tutti ciò che ha fatto. 
A stabilire se ciò che è stato raccontato corrisponde a verità, sono state le stesse vittime se sopravvissute o le loro famiglie. L'amnistia è concessa solo se il reato è compiuto tra marzo 1960, quando l'Anc inizia la lotta annata come risposta alla strage di Sharpeville, e il 10 maggio del 1994, quando Mandela è eletto presidente. L'amnistia è concessa solo se il reato ha motivazioni politiche, non per motivazione personale o per crimini comuni. Il colpevole può avere l'amnistia solo con una confessione piena e totale e con la massima accuratezza deve raccontare di ogni persona uccisa e di ogni crudeltà effettuata: ovvero il pentimento.

Le vittime hanno così potuto recuperare la loro dignità, hanno potuto finalmente parlare pubblicamente delle loro sofferenze, gli uomini di colore non hanno così più avuto paura di essere perseguitati e uccisi. Possono parlare padri e madri, fratelli e sorelle. Sono racconti drammatici, storie di vero orrore e tanta sofferenza; storie di persone uccise durante i conflitti politici, persone sottoposte a torture e a gravi maltrattamenti. 
La vera rivoluzione di Mandela è stata quella di aver fatto giustizia attraverso la riconciliazione e non la galera.
Andare di fronte alla Commissione post apartheid per confessare azioni commesse e sofferenze subite è stato il modo per riaccendere le relazioni con la comunità di cui si è parte. Quel ristabilire relazioni si fa giustizia concreta, non ha bisogno di pene e indica la determinazione nel tornare a camminare insieme. Oggi il cammino si è concluso con la liberazione di uno dei più efferati mulinali dell'apartheid. Da noi inconcepibile visto che preferiamo sbattere dentro le persone e, magari, buttare per sempre la chiave.



di Damiano Aliprandi

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