Domenica 8 marzo, l’account Twitter @HowManySyrians, o “How Many More?”, ha twittato il nome di Ayhman Ahmad al-Hariri, un siriano nato nella città di Dar’a, nel sud-est della Siria, che è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco il 18 marzo del 2011.
Anche se Hariri non era una personalità pubblica, la sua morte è stata ripresa da “How Many More?” e poi da diversi siti di news in giro per il mondo. “How Many More?” è un account che fa riferimento a un gruppo che pochi giorni fa ha cominciato a twittare i nomi di tutte le persone che sono rimaste uccise nella guerra in Siria (finora ha twittato 11 mila nomi, che dovrebbero diventare più di 100 mila alla fine della campagna). Hariri è stata la prima persona uccisa nella guerra civile siriana di cui si conosce con certezza il nome e qualche dettaglio della vita. Fu ucciso pochi giorni dopo il “giorno della rabbia”, che si tenne il 15 marzo 2011 e che viene considerato il momento d’inizio della guerra: quel giorno migliaia di persone manifestarono a Damasco e Aleppo, per chiedere le dimissioni del presidente siriano Bashar al Assad. Nel giro di pochi mesi le proteste si sarebbero trasformate in una guerra civile, e poi in qualcosa di diverso, con l’arrivo in Siria di migliaia di “foreign fighters”, i combattenti stranieri.
Nel marzo del 2011 le proteste anti-governative avevano cominciate a diffondersi in diverse città della Siria. A Dar’a alcuni ragazzini furono arrestati per aver scritto slogan anti-governativi sui muri della città: nel giro di pochissimo tempo, Dar’a divenne il centro delle proteste (CNN la definì “la scintilla che ha innescato l’incendio”). Il 15 marzo di quell’anno almeno tre persone furono uccise dalle forze di sicurezza. Il nome di Hariri non compare nei resoconti di allora. Il suo nome però è stato registrato dal “Violation Documentation Center in Syria” (VDC), un gruppo indipendente che si occupa di monitorare le violazioni dei diritti umani in Siria. In una pagina del sito dell’organizzazione sono raccolti i pochi elementi che si conoscono della vita di Hariri e un video che lo mostra appena prima di essere ucciso.
Oggi Hariri è soltanto uno tra i migliaia di nomi twittati da “How Many More?”, che sta cercando di pubblicarne il più possibile: ogni mezzo minuto un nuovo nome viene twittato dall’account del gruppo, con informazioni su come quella persona è morta. Mercoledì 11 marzo alcuni membri di “How Many More?” sono andati fuori dalla Casa Bianca, a Washington, negli Stati Uniti, per leggere i nomi a voce alta, replicando un evento che avevano già organizzato lo scorso anno.
Contare il numero di morti in Siria è un lavoro complicato. Secondo il gruppo indipendente “Middle East Eye“, “How Many More?” ottiene i nomi che pubblica su Twitter dal VDC e li confronta con quelli di un altro gruppo, l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’associazione pro-ribelli che opera dal Regno Unito. VDC e l’Osservatorio sono i due principali enti che ancora tengono il conto dei morti in Siria, anche se con grandi difficoltà. All’inizio del 2014, le Nazioni Unite hanno annunciato che non avrebbero più aggiornato il numero dei morti nella guerra siriana (allora la loro stima era di “oltre 100 mila persone”). L’ONU ha poi rivisto la sua decisione, specificando però che le nuove stime sarebbero state più che altro “indicative”.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, 100 mila morti è una stima troppo bassa. Nel 2014 il gruppo ha annunciato di essere riuscito a documentare la morte di più di 200 mila persone. Secondo il direttore dell’Osservatorio, la stima più vicina alla realtà è di 280 mila morti. Il VDC ha detto di non contestare le stime degli altri gruppi, ma ha specificato di utilizzare criteri molto rigidi. Ad esempio, per essere registrate nel database tutte le vittime devono avere un nome. Il suo conteggio al momento è di 113.249 morti.
Nel marzo del 2011 le proteste anti-governative avevano cominciate a diffondersi in diverse città della Siria. A Dar’a alcuni ragazzini furono arrestati per aver scritto slogan anti-governativi sui muri della città: nel giro di pochissimo tempo, Dar’a divenne il centro delle proteste (CNN la definì “la scintilla che ha innescato l’incendio”). Il 15 marzo di quell’anno almeno tre persone furono uccise dalle forze di sicurezza. Il nome di Hariri non compare nei resoconti di allora. Il suo nome però è stato registrato dal “Violation Documentation Center in Syria” (VDC), un gruppo indipendente che si occupa di monitorare le violazioni dei diritti umani in Siria. In una pagina del sito dell’organizzazione sono raccolti i pochi elementi che si conoscono della vita di Hariri e un video che lo mostra appena prima di essere ucciso.
Oggi Hariri è soltanto uno tra i migliaia di nomi twittati da “How Many More?”, che sta cercando di pubblicarne il più possibile: ogni mezzo minuto un nuovo nome viene twittato dall’account del gruppo, con informazioni su come quella persona è morta. Mercoledì 11 marzo alcuni membri di “How Many More?” sono andati fuori dalla Casa Bianca, a Washington, negli Stati Uniti, per leggere i nomi a voce alta, replicando un evento che avevano già organizzato lo scorso anno.
Contare il numero di morti in Siria è un lavoro complicato. Secondo il gruppo indipendente “Middle East Eye“, “How Many More?” ottiene i nomi che pubblica su Twitter dal VDC e li confronta con quelli di un altro gruppo, l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’associazione pro-ribelli che opera dal Regno Unito. VDC e l’Osservatorio sono i due principali enti che ancora tengono il conto dei morti in Siria, anche se con grandi difficoltà. All’inizio del 2014, le Nazioni Unite hanno annunciato che non avrebbero più aggiornato il numero dei morti nella guerra siriana (allora la loro stima era di “oltre 100 mila persone”). L’ONU ha poi rivisto la sua decisione, specificando però che le nuove stime sarebbero state più che altro “indicative”.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, 100 mila morti è una stima troppo bassa. Nel 2014 il gruppo ha annunciato di essere riuscito a documentare la morte di più di 200 mila persone. Secondo il direttore dell’Osservatorio, la stima più vicina alla realtà è di 280 mila morti. Il VDC ha detto di non contestare le stime degli altri gruppi, ma ha specificato di utilizzare criteri molto rigidi. Ad esempio, per essere registrate nel database tutte le vittime devono avere un nome. Il suo conteggio al momento è di 113.249 morti.
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